Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21492 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. II, 20/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 20/08/2019), n.21492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9918-2017 proposto da:

A.C.G.M., P.A., R.U.,

S.P.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Teulada 38/A, presso

lo studio dell’avvocato Giovanni Mechelli, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Alessandro Mariani;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 58219/11 V.G.V.G. della Corte d’appello di

Roma, depositato il 27/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– gli odierni ricorrenti propongono ricorso avverso della Corte d’appello di Roma con il quale è stato dichiarata l’improponibilità della domanda di indennità per l’irragionevole durata del processo, prevista dalla L. n. 89 del 2001;

– il giudizio presupposto era iniziato con ricorso, avanti il TAR della Sardegna, depositato il 30/11/2001 per l’accertamento del diritto dei ricorrenti alla percezione di un’indennità da impiego operativo, con decorrenza a partire dal 01.01.1999;

– in data 19.03.2002 i ricorrenti depositavano istanza di fissazione d’udienza e relative memorie in data 15.10.2010;

– l’udienza per la discussione nel merito fu fissata per il 27.10.2010 e veniva in decisione con sentenza n. 151 depositata in data 22.02.2011;

– in relazione all’eccessiva durata del giudizio davanti al TAR (9 anni e 3 mesi) gli odierni ricorrenti adivano la Corte d’appello di Roma ai sensi della L. n. 89 del 2001;

-con il decreto qui impugnato la Corte d’appello di Roma dichiara l’improponibilità della domanda per mancata presentazione dell’istanza di prelievo;

– la corte argomentava che il ricorso era stato iscritto in data 15.11.2011 e quindi nella vigenza del testo novellato dal Decreto n. 112 del 2008, art. 54 come modificato dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 3, comma 23, all. 4 4 entrato in vigore nel 16.09.2010;

– avverso il decreto della corte d’appello è stato depositato tempestivo ricorso per la sua cassazione S.P.A., P.A., R.U., A.C.G.M., articolato in un unico motivo;

– il Ministero intimato non ha svolto attività difensive.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il motivo di ricorso denuncia la violazione del principio per cui la legge non dispone che per l’avvenire, previsto dall’art. 11 disp. gen., nell’applicazione della novella legislativa di cui al D.L. n. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, (come poi modificato dal D.Lgs 2 luglio 2010, n. 104, art. 3, comma 23, dell’allegato 4 entrato in vigore il 16.09.2010);

– secondo i ricorrenti, l’aver applicato una norma entrata in vigore successivamente ad un procedimento già in corso, cioè quello davanti al TAR, avrebbe violato il principio del diritto processuale per cui vanno applicate le norme del momento in cui il giudizio è in svolgimento secondo il principio “tempus regit actum”;

– gli esponenti inoltre affermano che l’improponibilità del ricorso verrebbe a confliggere anche col diritto al ricorso effettivo, stabilito dall’art. 13 CEDU, oltre che col già richiamato art. 6 CEDU;

– al riguardo viene richiamata la sentenza Sez. I, Sent. 25 febbraio 2016 della CEDU (causa Olivieri e altri c. Italia), secondo la quale l’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001 è dovuto anche in mancanza della presentazione dell’istanza di prelievo e che tale istanza non costituisce alcun mezzo di tutela effettivo ai sensi dell’art. 13 della Convenzione;

– il ricorso è fondato e merita accoglimento.

– questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27923/2017, relativa al ricorso 5086-2015 proposto da M.G. contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dall’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al D.Lgs. n. 104 del 2010 e dal D.Lgs. correttivo n. 195 del 2011, art. 1,comma 3, lett. a), n. 6), in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, 13 e 46, par. 1 CEDU;

– mcorre prendere atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.Lgs. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui alla stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole);

– la Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex Legge Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;

-ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “Legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU;

– ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo;

– per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2 codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;

– la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6 par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlatìva domanda;

– al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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