Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21492 del 18/10/2011

Cassazione civile sez. III, 18/10/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 18/10/2011), n.21492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.R.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 318, presso lo studio dell’avvocato

CAPPUCCILLI VITTORIO, che la rappresenta e difende giusto mandato in

atti;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A. già BANCA DI ROMA S.P.A. e per essa UNICREDIT

CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CASSIODORO N. 1/A, presso lo studio dell’avvocato UVA GENNARO, che la

rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrente –

e contro

IMMOBILIARE MIRO SRL (OMISSIS);

– intimata –

sul ricorso 15807-2009 proposto da:

IMMOBILIARE MI.RO. S.R.L. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore Sig. A.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio

dell’avvocato SALONIA GIOVANNI, che la rappresenta e difende giusto

mandato in atti;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A. già BANCA DI ROMA S.P.A. e per essa UNICREDIT

CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CASSIODORO N. 1/A, presso lo studio dell’avvocato UVA GENNARO, che la

rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrente –

e contro

V.R.C. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 4943/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/11/2008, R.G.N. 3996/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato VITTORIO CAPPUCCILLI;

udito l’Avvocato GENNARO UVA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico che ha concluso per l’inammissibilità di entrambi

di ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 30 settembre 1995 la S.p.a. Banco Ambrosiano Veneto, premesso di essere creditrice di V.R. C. della somma di L. 146.694.832 oltre interessi dall’1.4.95, in virtù di un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma il 15 giugno 1995, la conveniva in giudizio unitamente alla Immobiliare Miro Srl e chiedeva che fosse dichiarata la nullità, per simulazione assoluta, o in subordine l’inefficacia ex art. 2901 c.c., della compravendita rogata dal notaio Gianfranco Palavera di Gallarate in data 12.10.1994, con la quale la V. aveva ceduto alla Miro alcune unità immobiliari site in (OMISSIS). A sostegno della domanda assumeva fra l’altro che la società acquirente faceva capo alla stessa V. e che il capitale della società era solo fittiziamente intestato ad altri soggetti. Interveniva in giudizio la Banca di Roma che, dedotto di vantare nei confronti della V. un credito di L. 400.022.253 proponeva analoga domanda ex art. 2901 c.c. in relazione allo stesso atto di compravendita.

Intervenivano anche Gi. e Ma.Gi., assumendo di essere titolari effettive e non fiduciarie del capitale dell’Immobiliare Miro, e chiedevano sul punto una pronuncia di accertamento, nonchè Intesa Gestione Crediti S.p.a., quale successore a titolo particolare del Banco Ambrosiano. In esito al giudizio, il Tribunale di Roma dichiarava inammissibili gli interventi autonomi della Banca di Roma e delle Ma., respingeva la domanda di simulazione proposta dall’Ambrosiano ed accoglieva invece la revocatoria dichiarando inefficace l’atto impugnato nei confronti di Intesa, successore del Banco Ambrosiano.

Avverso tale decisione proponevano appello con atti separati la V., l’immobiliare Miro, la Banca di Roma e nel corso del giudizio, riuniti gli appelli, la Corte di Appello di Roma con sentenza non definitiva n. 175/08 dichiarava ammissibile l’intervento spiegato in primo grado dalla Banca di Roma. Quindi, in esito al giudizio, con sentenza definitiva, depositata in data 27 novembre 2008, dichiarava cessata la materia del contendere tra la V., l’Immobiliare Miro, l’Intesa Gestione Crediti Spa ed il Banco Ambrosiano; ordinava al Conservatore dei registri Immobiliari di (OMISSIS) la cancellazione della trascrizione della citazione a favore del Banco Ambrosiano; dichiarava inefficace ex art. 2901 c.c. nei confronti della Banca di Roma Spa l’atto di compravendita;

provvedeva al governo delle spese.

Avverso la detta sentenza n. 4943/08 hanno quindi proposto ricorso per cassazione con atti separati la V. e la Immobiliare MI.Ro. articolandoli in tre motivi. Resiste con controricorso UniCredit Credit Management Bank Spa, successore della Banca di Roma Spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, deve rilevarsi che in questa medesima udienza sono stati fissati il giudizio recante il n. 14936/09 R.G. ed il giudizio recante il n. 15807/09 R.G., relativi, il primo, al ricorso proposto dalla V., il secondo al ricorso proposto dalla Immobiliare MI.RO, entrambi avverso la medesima sentenza della Corte di Appello di Roma, contrassegnata dal n. 4943/08 depositata in data 27 novembre 2008.

Ciò posto, ritenuto che la riunione dei procedimenti relativi alla stessa causa può essere disposta d’ufficio anche nel corso del giudizio di legittimità, (ex multis v. Cass. n. 10653/99, n. 7966/06, n. 3130/07, Sez. Un. n. 982/79), deve disporsi la riunione dei due suindicati giudizi, a norma dell’art. 335 del cod. proc. Civ..

Passando all’esame del ricorso, proposto dalle ricorrenti, giova premettere che la prima doglianza, comune ad entrambi i ricorsi, è stata articolata sotto un duplice profilo, il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., il secondo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In particolare, con riferimento al primo dei due profili, la Corte territoriale avrebbe errato quando ha ritenuto che, ai fini della ricorrenza dell’eventus damni, sarebbe sufficiente il pericolo costituito da un recupero coattivo del credito. Al contrario, non ricorrerebbe l’eventus danni quando l’atto di disposizione non sia, di per sè, idoneo ad alterare in senso negativo la consistenza quantitativa del patrimonio del debitore.

La censura non è fondata. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 8096/2006; Cass. n. 15257/2004; Cass., n. 3546/2004; Cass., n. 2792/2002), in tema di azione revocatoria ordinaria, non è richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una variazione qualitativa di esso. Il pregiudizio alle ragioni del creditore, che la norma dell’art. 2901 cod. civ. mira ad evitare e che in definitiva si concretizza nella sopravvenuta insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale, può essere quindi arrecato anche da un singolo atto di disposizione ove di per sè sia idoneo a determinare l’accennata variazione del patrimonio del debitore.

Nè, nel caso di specie, risulta dagli atti che il patrimonio residuo della V. sia tale da soddisfare comunque le ragioni del creditore. Ed è appena il caso di osservare che, come ha già statuito questa Corte, se la rilevanza quantitativa e qualitativa dell’atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, resta invece onere del debitore, per sottrarsi agli effetti dell’azione revocatoria, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.

(Cass. n. 16986/07, n. 12678/01, n. 4578/98).

Quanto al profilo di doglianza, attinente al vizio motivazionale, ne va dichiarata l’inammissibilità in quanto non è stato accompagnato dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). E ciò, alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui “in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione. (Sez. Un. 5624/09, Cass. 5471/08).

Passando all’esame della successiva ragione di doglianza, anch’essa comune ad entrambi i ricorsi, deve rilevarsi che essa è stata articolata sotto un duplice profilo, il primo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 1842 e 1843, 2727 e 2729 cod. civ., il secondo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Con riguardo, al primo profilo, le ricorrenti lamentano in particolare che la Corte di merito avrebbe sbagliato quando ha ritenuto che, nella fattispecie, l’atto di disposizione impugnato sia stato successivo al sorgere del credito e che il requisito soggettivo ex art. 2901 cod. civ. dovesse essere costituito dalla mera consapevolezza, da parte del debitore e del terzo, dell’asserito pregiudizio alle ragioni della banca.

Inoltre, la Corte avrebbe altresì sbagliato quando, considerata la revoca degli affidamenti alla Memory Computers Srl, avvenuta nel febbraio 1995, ha ritenuto che già da qualche mese esistesse una situazione debitoria di detta società, e quindi della stessa V., che fungeva da fideiussore, nei confronti della Banca.

Invero, non presenterebbe i requisiti della gravita e della precisione la presunzione secondo cui il conto corrente del beneficiario di un’apertura di credito già presentasse un saldo negativo quattro mesi prima della revoca dei relativi affidamenti bancari.

Anche tale ragione di doglianza è infondata, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di azione revocatoria, è stata recepita una nozione di credito, assai lata, estesa anche alle sole aspettative del creditore, essendosi chiarito che non occorre che il credito sia certo e determinato nel suo ammontare ma è invece sufficiente una ragione di credito, anche eventuale, come si desume dal dettato della legge, che contempla anche crediti soggetti a condizione.

Inoltre, l’azione revocatoria ordinaria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità, con la conseguenza che, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all’apertura di credito regolata in conto corrente, gli atti dispositivi del fideiussore successivi all’apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1, prima parte in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni), ed al solo fattore oggettivo dello avvenuto accreditamento giacchè l’insorgenza del credito va apprezzata con riferimento al momento dell’accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell’effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione (cfr ex multis Cass. N. 9349/02, n. 591/99, n. 1327/93).

Nella specie, è incontestato che l’apertura di credito alla Memory e la prestazione di fideiussione da parte della V., amministratrice della Memory fino al giugno 1994, furono anteriori all’atto dispositivo del fideiussore essendo pacifico che la V. stipulò la compravendita con la società Mi.Ro. solo il 12 ottobre 1994. Ne deriva con tutta evidenza l’infondatezza del profilo di doglianza in esame.

Quanto al profilo di doglianza, attinente all’asserito vizio di motivazione, deve ritenersi l’inammissibilità poichè anche in tale ipotesi la deduzione del vizio non è stata accompagnata dal prescritto momento di sintesi. Resta da esaminare l’ultima censura, anch’essa comune ad entrambi i ricorsi, articolata sotto il profilo della violazione degli artt. 2901, 2727 e 2729 cod. civ. nonchè sotto il profilo dell’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Corte di merito – così, in sintesi, il contenuto delle doglianze – avrebbe violato le norme di diritto in materia di presunzioni, ritenendo che la V. e l’Immobiliare Miro avessero consapevolezza dell’asserito pregiudizio che la compravendita delle unità immobiliari avrebbe potuto arrecare alle ragioni creditorie della Banca. Le circostanze indicate dai giudici di secondo grado, a sostegno della loro tesi, non presentavano invece i requisiti necessari a norma di legge per giustificare le presunzioni su cui si fonda la sentenza impugnata. Inoltre, le valutazioni espresse sulla valenza dei rapporti tra la V. e le Ma. o tra la V. e il dr. Ca., commercialista dell’Immobiliare Miro sarebbero inficiate da gravi vizi di motivazione, essendo affette da incongruenze logiche. Anche quest’ultima censura non coglie nel segno. In primo luogo, deve considerarsi che l’apprezzamento del giudice del merito circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione, la loro rispondenza ai requisiti di idoneità, gravità e concordanza richiesti dalla legge e circa lo stesso ricorso a tale mezzo di prova non è sindacabile in sede di legittimità, qualora la motivazione adottata appaia logicamente coerente, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni. (cfr Cass. 8300/08, 26841/08).

Giova aggiungere che, riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo, vale a dire la consapevolezza del pregiudizio da parte del debitore e del terzo, la Corte di merito ha fondato le ragioni del suo convincimento su molteplici elementi, partendo in primo luogo dal rilievo che la V. aveva rivestito la qualità di socia della Memory Computers e di amministratrice della stessa fino al giugno 1994 ed aveva inoltre intrattenuto rapporti di buona conoscenza con Gi. e Ma.Gi., entrambe socie fino all’estate 1994 – la seconda, anche amministratrice – dell’Immobiliare Miro. Del resto, la stessa V. aveva dichiarato in sede di interrogatorio che Ma.Gi. si occupava di riscuotere i fitti e di curare la manutenzione degli immobili, oggetto della successiva compravendita, quando ancora, erano ancora di proprietà di sua madre (della V. cioè). I giudici di merito hanno quindi posto poi l’accento sui rapporti tra la V. e il dr. Ca.It., il quale aveva dapprima svolto attività professionale in favore della V. o comunque della Memory Computers e quindi nel luglio 1994 acquistò dalla Ma. l’1% del capitale dell’Immobiliare Miro e divenne commercialista della società; nonchè su una lettera inviata al Ca. dall’ Al., socio della Memory Computers ed ex marito della V., con la quale rimproverava al professionista che, nella ricostruzione della situazione della società, volesse “alleggerire” la posizione della V., definita sua cliente;

nonchè, infine, sulla deposizione dell’avv. Enrico Polizzi, il quale dopo aver confermato di aver inviato ai soci della Memory una lettera in cui accennava all’inevitabile fallimento della società, aveva manifestato preoccupazione per il probabile coinvolgimento penale della V..

Alla stregua delle considerazioni riportate, che peraltro riproducono solo parzialmente gli argomenti svolti dai giudici di secondo grado, risulta con chiara evidenza che la Corte territoriale, contrariamente alla tesi della ricorrente, ha invece argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè d’altra parte il motivo del ricorso in esame è riuscito ad individuare effettivi vizi logici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione ed è appena il caso di osservare che il controllo di sufficienza e di logicità della motivazione – consentito al Giudice di legittimità – non permette nè una rivalutazione delle risultanze processuali nè una diversa opzione interpretativa.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che i ricorsi riuniti, siccome infondati, devono essere rigettata Al loro rigetto segue la condanna delle ricorrenti in solido alla rifusione delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi recanti il n. 14936/09 R.G. e il n. 15807/09 R.G., e li rigetta. Condanna le ricorrenti alla rifusione, in solido, delle spese processuali che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2011

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