Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21490 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. II, 20/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 20/08/2019), n.21490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2607/2017 proposto da:

Ministero Economia Finanze, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso Avvocatura Generale Dello Stato,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

E.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Emilia 81,

presso lo studio dell’avvocato Giovanni Carlo Parente Zamparelli,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2360/2016 della Corte d’appello di Perugia,

depositato il 27/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– ricorso in esame è proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 2360/2016, notificato il 18.11.2016 con cui è stato riconosciuto il diritto all’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, in favore di E.M., per l’eccessiva durata di due procedimenti davanti al TAR iniziati coi ricorsi del 20.04.98 e 25.02.1999 definiti con decreti di perenzione emessi rispettivamente il 24.10.2011 ed il 29.03.2012;

– l’adita corte d’appello aveva con l’impugnato decreto accolto i ricorsi e liquidato l’indennizzo;

-la cassazione del decreto è chiesta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con ricorso articolato in un unico motivo;

– l’intimato E.M. si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il motivo di ricorso del Ministero è basato sull’argomentazione che il giudizio di secondo grado non sarebbe stato procedibile in quanto il signor E.M. non avrebbe presentato l’istanza di prelievo di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54,conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133 (e successive modificazioni), durante il suo giudizio davanti al TAR, presentando solamente un’istanza per la fissazione dell’udienza;

– il motivo è infondato;

– questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27923/2017, relativa al ricorso 5086-2015 proposto da M.G. contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, all. 4 e dal D.Lgs. Correttivo n. 195 del 2011, art. 1, comma 3, lett. a), n. 6), in relazione all’art. 117 Cost., comma 1 e ai parametri interposti dell’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 CEDU;

– si deve prendere atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui alla stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis, atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole);

– la Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex legge Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;

– ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU;

– ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo;

– per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;

-la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6, par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone, quindi, il rigetto del ricorso;

– la sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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