Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2149 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/01/2017, (ud. 08/11/2016, dep.27/01/2017),  n. 2149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7907-2014 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANDREA BAFILE 3,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO MASSIMO MANCUSI, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARLA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10202/2013 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 25/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Mauro Ricci difensore del controricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, da S.A. ed ha condannato il ricorrente alla rifusione delle spese di lite; ha posto a carico del medesimo, in via definitiva, le spese della consulenza tecnica d’ufficio del procedimento per ATP.

La statuizione di condanna alle spese di lite, l’unica ancora rilevante, è stata fondata sulla mancata produzione da parte dell’interessato della dichiarazione di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 1, convertito in L. n. 326 del 2003.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.A. sulla base di un unico motivo; l’INPS ha resistito con tempestivo controricorso.

Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ha censurato la decisione per avere ritenuto che la dichiarazione di esenzione non fosse stata resa. Ha evidenziato che tale dichiarazione era stata inserita sia nell’atto introduttivo del giudizio per accertamento tecnico preventivo sia e nel successivo ricorso proposto ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6; inoltre, un atto notorio contenente dichiarazione del medesimo tenore, sottoscritta dall’interessato, era stata allegato ad entrambi i ricorsi.

Il Consigliere relatore ha formulato proposta di inammissibilità del ricorso. Il Collegio condivide la proposta del relatore.

Si premette che la condanna alle spese di lite è stata espressamente fondata dal giudice di secondo grado sulla mancanza produzione della dichiarazione prescritta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, convertito in L. n. 326 del 2003 ai fini dall’esonero dalle spese di lite; nella parte motiva manca, infatti, qualsiasi riferimento alle dichiarazioni richiamate da parte ricorrente e cioè a quelle formulate in sede di ricorso per ATP ed in sede di ricorso ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, sottoscritte dal solo difensore, sia all’atto notorio sottoscritto dalla parte personalmente. Quanto ora rilevato induce ad escludere che il mancato riconoscimento dell’esonero delle spese di lite per il S. sia riconducibile ad una valutazione di inadeguatezza ed inidoneità delle dichiarazioni in atti. Dal tenore della decisione, infatti, non risulta in alcun modo che le stesse siano state prese comunque in considerazione dal giudicante.

Consegue che, poichè alla stregua della medesima prospettazione di parte ricorrente, la decisione in tema di spese si configura quale frutto dell’omesso rilievo della esistenza in atti della dichiarazione prescritta dall’art. 152 disp. att. c.p.c., e quindi quale errore meramente percettivo risultante dagli atti e documenti di causa, il rimedio astrattamente esperibile, come eccepito nel controricorso, risulta essere la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e non il ricorso per cassazione.

In base alle argomentazioni che precedono, assorbito ogni ulteriore profilo, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese sono regolate secondo soccombenza non sussistendo i presupposti per farsi luogo all’esonero dalle stesse, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c..

Dall’esame degli atti del giudizio di merito risulta, infatti, che la dichiarazione formulata ai fini dell’esonero dalle spese di lite apposta in calce al ricorso per ATP e al successivo ricorso ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, non è sottoscritta dalla parte personalmente e che l’atto di notorietà rinvenibile nel fascicolo di parte del giudizio per ATP (doc. n. 2) è riferita ai redditi dell’anno 2010 e, quindi, non all’anno precedente a quello del giudizio per ATP instaurato nel 2012, come prescritto dall’art. 152 disp. att. c.p.c..

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all’INPS delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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