Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21488 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/09/2017, (ud. 06/07/2017, dep.15/09/2017),  n. 21488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9369/2012 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte

Zebio n. 37, presso lo studio degli avvocati Furitano Marcello e

Cecilia, rappresentato e difeso dall’avvocato Pecoraro Giovanni,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Germanico n. 213, presso lo studio

dell’avvocato Esposito Elisabetta, rappresentato e difeso

dall’avvocato Impinna Anna Maria, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

Curatela Fallimentare dell’Impresa F.L.B., Thermosud di

G.C.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 409/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/07/2017 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nell’ambito di un contratto di appalto, stipulato con l’ATI L.G. – Thermosud, il Comune di Palermo, con lettera del 31 maggio 1989, incaricò l’arch. M.N. di effettuare il collaudo statico delle opere relative ai lavori di costruzione di un plesso scolastico, in località (OMISSIS).

Il M. ottenne un decreto ingiuntivo per il pagamento del compenso professionale nei confronti dell’ATI, la cui opposizione fu accolta dal Tribunale di Palermo, che dichiarò obbligato al pagamento il solo Comune di Palermo, chiamato in causa a seguito dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dall’ATI.

Avverso questa sentenza proposero appello sia il Comune di Palermo, il quale denunciò il proprio difetto di legittimazione passiva, che assumeva spettare alla sola ATI, sia il M., il quale chiese, in via principale, di accogliere le “domande tutte formulate in primo grado nei confronti di entrambe le parti in causa che qui si intendono riproposte” e, condizionatamente all’accoglimento del gravame del Comune, chiese di condannare l’ATI.

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 28 marzo 2011, ha accolto il gravame del Comune e, in accoglimento del gravame condizionato del M., ha condannato la sola Thermosud di G.C., a seguito del fallimento dell’impresa L.G., al pagamento del dovuto.

Avverso questa sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, notificato al Comune di Palermo, il quale si è difeso con controricorso, nonchè alla Thermosud e alla Curatela del Fallimento L.G., i quali non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, che denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1268 e 1269 c.c., il M. assume che il rapporto trilaterale individuato nella sentenza impugnata doveva essere ricondotto alla delegazione di debito di cui all’art. 1268 c.c. e non a quella di pagamento di cui all’art. 1269 c.c., in quanto la delegata Thermosud non era una mera incaricata dal delegante di effettuare il pagamento, cioè di porre in essere un’attività esecutiva, ma era delegata a norma dell’art. 1268 c.c., avendo assunto in proprio l’obbligo di pagare al creditore delegatario ( M.); sicchè, al delegatario era stato assegnato un nuovo debitore, senza liberazione del debitore originario delegante, restando quest’ultimo (Comune di Palermo) e il terzo delegato (ATI Thermosud) entrambi obbligati in solido verso il creditore.

Il motivo è inammissibile per una duplice ragione.

In primo luogo, perchè travisa la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, pur accennando impropriamente ad una delegazione di pagamento da parte del Comune di Palermo verso l’ATI, parzialmente già eseguita mediante pagamento dell’acconto al professionista collaudatore, non ha individuato nel Comune il debitore originario. Infatti, la Corte di merito, interpretando il capitolato speciale d’appalto, ha ritenuto che le parti avessero inteso “riversare sull’appaltatore l’onere economico del collaudo” e, quindi, ha individuanto nell’ATI l’unico soggetto tenuto al pagamento in favore del professionista, ancorchè nominato dalla stazione appaltante, in tal modo venendo meno il presupposto normativo per ravvisare un delegazione di pagamento da parte del Comune, a norma degli artt. 1268 o 1269 c.c..

In secondo luogo, l’interpretazione della volontà della parti in relazione al contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola contrattuale importa indagini e valutazioni di fatto affidate al potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i canoni normativi di ermeneutica contrattuale e la sentenza impugnata non sia censurabile sotto il profilo della logicità, congruità e completezza della motivazione. Questo principio è costante nella giurisprudenza di legittimità ed è stato enunciato anche in un caso, analogo a quello in esame, in cui era discussa l’interpretazione di un contratto come vera e propria delegazione promittendi, a norma dell’art. 1268 c.c., con assunzione diretta dell’obbligo di pagamento da parte del delegato nei confronti dei delegatario e conseguente esperibilità dell’azione diretta da parte del secondo nei confronti del primo, oppure come semplice delegazione di pagamento, a norma dell’art. 1269 c.c. (Cass. n. 18735/2003).

Il percorso argomentativo svolto nel motivo in esame presuppone una diversa interpretazione del contratto stipulato tra le parti, senza però una specifica critica dei canoni normativi di ermeneutica contrattuale o una denuncia di specifici profili di illogicità o inadegatezza della motivazione, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis), mezzo ques’ultimo neppure proposto.

Il secondo motivo denuncia vizio motivazionale, ai fini della quantificazione delle competenze spettanti al M. per l’incarico svolto di collaudatore, per erroneità del criterio adottato dal c.t.u. ed incompleto esame delle risultanze istruttorie.

Il motivo è inammissibile, essendo diretto ad una revisione del giudizio di fatto operato dai giudici di merito per la quantificazione del corrispettivo. Il ricorrente per cassazione non può limitarsi a censurare l’erroneità o l’inadeguatezza della motivazione o anche l’omesso approfondimento di determinati temi d’indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di una diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il c.t.u., poi recepite dal giudice; è invece necessario che, non solo, precisi e specifichi, svolgendo concrete e puntuali critiche, le risultanze e gli elementi di causa dei quali lamenta la mancata o insufficiente valutazione, ma indichi le esatte controdeduzioni alla c.t.u. che abbia effettivamente svolto nel giudizio di merito e dimostri come le stesse siano state neglette (tra le tante, Cass. n. 10576/2012). Nella specie, non risulta esplicitato se, in quali termini e in quali atti ai giudici di merito fossero stati segnalati errori del c.t.u., nè risulta se e in quali termini fossero stati richiesti una nuova consulenza o un supplemento di quella già espletata.

Il ricorso è quindi inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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