Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21486 del 18/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 18/10/2011), n.21486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18684/2009 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

TRASTEVERE 209, presso lo studio dell’avvocato ARRIGONI SILVIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati VERILE Fabio, ZINGRILLO NICOLA

LIBERO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PALMADA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20,

presso lo studio dell’avvocato D’AREZZO MARCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FATIGATO Pasquale, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1401/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 31/03/2009 R.G.N. 2897/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato ZINGRILLO NICOLA LIBERO;

Udito l’Avvocato FATIGATO PASQUALE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 31 marzo 2009) – riformando integralmente la sentenza del Tribunale di Foggia del 28 febbraio 2005 – accoglie l’appello proposto dalla Palmada s.r.l.

avverso la suddetta sentenza e respinge l’appello incidentale di F.A. e conseguentemente rigetta la domanda proposta dal F. volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento irrogatogli dalla suddetta società, con lettera del 26 settembre 2003, per insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto.

La Corte d’appello di Bari precisa che:

a) dalla documentazione in atti – e, in particolare, dalla corrispondenza intercorsa fra le parti a decorrere da quando al F. è stata irrogata la prima sanzione disciplinare, poi revocata, conseguente al rifiuto del lavoratore di provvedere allo scarico della merce cui l’interessato rispose con lettera del 6 maggio 2003 – si desume chiaramente che fino a quel momento, per un periodo di circa sette mesi (dal 9 ottobre 2002 al maggio 2003), il F. ha accettato di svolgere mansioni inferiori al 2^ livello posseduto, continuando a percepire la retribuzione corrispondente al livello superiore e senza sollevare problemi particolari;

b) da quel momento il lavoratore ha cominciato a reagire manifestando la volontà di non svolgere più mansioni non corrispondenti a proprio livello di inquadramento;

c) la datrice di lavoro ha reiteratamente esposto che non era possibile adibire il dipendente a mansioni di 2^ livello, per mancanza del corrispondente profilo nell’ambito dell’organizzazione aziendale ed ha invitato il lavoratore ad indicare le mansioni preferite;

d) a fronte della posizione negativa del F. – che ribadiva che, a suo avviso, esistevano mansioni corrispondenti al proprio livello – la datrice di lavoro gli ha proposto un accordo novativo di lavoro, diretto all’inquadramento del F. con mansioni compatibili con l’organizzazione aziendale;

e) al rifiuto opposto dal dipendente la datrice di lavoro non ha avuto altra scelta che procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo;

f) appaiono insoddisfacenti le conclusioni raggiunte dal Giudice di primo grado sul fatto che l’organizzazione aziendale fosse compatibile con la presenza di un lavoratore di 2^ livello e sul fatto che vi fossero lavoratori, con qualifiche inferiori, che svolgevano di fatto le suddette mansioni;

g) tali conclusioni, motivate in modo piuttosto perplesso, si basano su una non condivisibile petizione di principio secondo la quale in un magazzino di 4 piani vendita con circa 27 dipendenti, le funzioni di coordinamento e direzione delle attività aziendali dovevano necessariamente essere affidate ad una figura diversa da quella dei due titolari dell’esercizio commerciale (i fratelli P. M. e Ma.), sovraordinata agli altri dipendenti;

h) tale argomento logico risulta smentito dalla grande maggioranza delle deposizioni testimoniali acquisite, rese in parte da persone non più alle dipendenze della società Palmada (e, quindi, non sospettabili di compiacenze verso la società), dalle quali risulta che i fratelli P. svolgevano in modo accentrato il potere organizzativo e direttivo, sia di carattere generale sia di carattere specifico, senza che esistessero figure intermedie;

i) a fronte di tali testimonianze, si rivela poco attendibile la deposizione dell’unico teste ( N.M.) su cui ha fondato, sostanzialmente, il proprio convincimento il giudice di primo grado;

l) la scelta organizzativa operata dagli imprenditori non può essere sindacata dal giudice, il quale non può neppure sindacare sul fatto che i fratelli P., essendo titolari di altre attività commerciali a (OMISSIS), non potevano assicurare l’esercizio del suddetto potere direttivo nel megastore di (OMISSIS);

m) invero, dall’istruttoria svolta non è emerso che le attività commerciali svolte fuori di (OMISSIS) non fossero organizzate con la presenza di dipendenti adibiti a funzioni direttive e organizzative;

n) inoltre si sono dimostrate insussistenti le “intrinseche contraddizioni” riscontrate nelle deposizioni dei testimoni che hanno reso dichiarazioni radicalmente difformi rispetto a quella dell’unico teste preso in considerazione dal Tribunale;

o) d’altra parte, la scelta del F. di svolgere mansioni di magazziniere, autoescludendosi da altre mansioni dello stesso livello che comportavano contatti con il pubblico sembra sia stata del tutto volontaria, anche se avallata dai titolari dell’azienda, come si desume dal fatto che il lavoratore non ha mai chiesto di cambiare e non ha risposto all’invito della datrice di lavoro di scegliere le mansioni di proprio gradimento, tra quelle disponibili (fatto con lettera del 5 giugno 2003);

p) quindi il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, come si è detto, è stato inevitabile ed appare del tutto legittimo;

q) va respinto il motivo di ricorso incidentale concernente la pretesa nullità del licenziamento perchè in frode alla legge;

r) non è emerso, infatti, alcuno specifico intento fraudolento, visto che la società ha continuato a corrispondere al F. il trattamento retributivo corrispondente al 2^ livello e gli ha prospettato un recesso modificativo in pejus soltanto dopo che il dipendente ha dichiarato che si sarebbe rifiutato di svolgere mansioni diverse da quelle corrispondenti alla sua qualifica;

s) infondato è anche il secondo motivo dell’appello incidentale col quale si contesta la mancata utilizzazione, da parte del Giudice di primo grado, di documenti ed elementi allegati dal ricorrente nel corso del giudizio;

t) infatti, alcuni di questi atti, ritualmente depositati, non erano stati formalmente acquisiti agli atti (e, in particolare, la acquisizione delle registrazioni ambientali sarebbe stata illegittima perchè riferita ad un teste che non essendo parte non avrebbe potuto disconoscerne la conformità all’originale), mentre altri risultano essere stati depositati irritualmente in allegato alla memoria autorizzata depositata dieci giorni prima dell’udienza di discussione.

2- Il ricorso di F.A. domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con controricorso, la Palmada s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi del ricorso 1- Con il primo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3.

Si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe violato l’indicata disposizione in quanto la fattispecie subjudice non sarebbe, in alcun modo, riconducibile a quella ivi disciplinata.

La nozione di giustificato motivo oggettivo del licenziamento, pur nella sua elasticità e multiformità, non include certamente la mancanza nello apparato organizzativo dell’impresa datrice di lavoro di un profilo professionale adeguato alla qualifica del lavoratore che non sia sopravvenuta ma sia preesistente e concomitante con la relativa assunzione, come si è verificato nella specie secondo il datore di lavoro.

Infatti, tale ultima evenienza porta ad escludere l’assunzione.

Il F. faceva parte dell’apparato organizzativo del ramo d’azienda oggetto di affitto da parte della Gescom s.r.l. – che, a sua volta lo aveva acquistato dalla Coin s.p.a., acquirente dalla Standa – in favore della società Palmada, con conseguente necessità di applicare, nei suoi confronti, l’art. 2112 cod. civ..

Soltanto se l’offerta di demansionamento da parte della società affitruaria fosse stata precedente all’assunzione e rifiutata dal lavoratore il licenziamento avrebbe potuto considerarsi giustificato dal motivo addotto ed avrebbe potuto essere intimato anche dal datore di lavoro cedente.

Ciò, però, non è avvenuto e la Corte d’appello non ne avrebbe tenuto conto.

2- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5, nonchè degli artt. 2697 e 2735 cod. civ..

L’indicato art. 5 pone a carico del datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento, sicchè l’insufficienza o contraddittorietà di tale prova comporta che il giustificato motivo debba essere considerato insussistente.

Nella specie non solo manca la prova della insussistenza, nell’organizzazione aziendale preesistente all’affitto del ramo d’azienda o in quella prefigurata dal datore di lavoro al momento del sub ingresso, di un posizione corrispondente ad un lavoratore di secondo livello (quale era il F.), ma è anche allegata agli atti la lettera di assunzione della Palmada (in data 30 gennaio 2002) da cui risulta inequivocabilmente che la società intendeva inquadrare il lavoratore nel livello di appartenenza.

Tale lettera non è stata valutata dalla Corte d’appello che ha così violato l’art. 2735 cod. civ., visto che essa è una vera e propria confessione stragiudiziale destinata alla parte, come tale dotata di efficacia di piena prova contro colui da cui proviene, al pari della confessione giudiziale, tanto più in assenza di prove contrarie, come avviene nella specie.

Infatti, non può attribuirsi alcun valore probatorio all’asserita sussistenza di un accordo tacito di demansionamento concomitante con l’assunzione, comprovato dall’accettazione da parte del F. di mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla sua qualifica, poi revocato dal lavoratore.

Invero, da un lato la corrispondenza intercorsa tra le parti chiarisce che il lavoratore ha ritenuto, in un primo momento (corrispondente alla fase della ristrutturazione dell’immobile ove aveva sede punto vendita cui era stato addetto), di trovarsi in una transitoria situazione di start up destinata a sfociare in una razionale organizzazione ove sarebbe stato correttamente inquadrato, d’altra parte, le prove valutate non hanno consentito di accertare che il suddetto accordo sia stato coevo e non invece successivo al trasferimento.

3- Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, motivazione insufficiente e contraddittoria su punti decisivi della controversia.

Si sostiene che sarebbe stato omesso o sarebbe insufficiente l’esame di diversi punti decisivi della controversia dalla ricostruzione del momento genetico del rapporto di lavoro tra le parti, al contenuto della lettera di conferma di assunzione del 30 gennaio 2002 e della lettera di licenziamento del 26 settembre 2003, alla cronologia dei fatti e al contenuto della corrispondenza intercorsa fra le parti a proposito del patto di demansionamento, al mancato esame di tutte le risultanze istruttorie, alla superficiale ricostruzione dell’assetto organizzativo dell’esercizio commerciale ove prestava servizio il F..

A tale ultimo proposito si sostiene la denunciata superficialità avrebbe indotto la Corte barese a considerare legittimo il recesso modificativo proposto al ricorrente, dando per acclarata la mancanza di figure professionali con qualifica di secondo livello e di lavoratori che svolgessero mansioni di supervisione e coordinamento.

Conseguentemente la Corte territoriale del tutto erroneamente ha ritenuto voluto, da parte del F., lo svolgimento delle mansioni di magazziniere e, con motivazione illogica e contraddittoria, ha affermato che avrebbe dovuto essere il lavoratore a chiedere l’assegnazione al reparto vendite, in contrasto con la precedentemente sottolineata insindacabilità delle scelte organizzative datoriali.

4- Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione degli artt. 1344 e 2112 cod. civ..

Si ritiene che la Corte d’appello abbia commesso la suddetta violazione per aver ritenuto – conformandosi, sul punto, alla sentenza di primo grado – non provato che l’intimato licenziamento è stato posto in essere in frode alla legge.

Viceversa dalle prove acquisite risulterebbe con chiarezza che con il recesso la datrice di lavoro ha inteso eludere l’art. 2112 cod. civ. e che, quindi, per tale ragione, tale atto avrebbe dovuto essere considerato nullo ai sensi dell’art. 1344 cod. civ..

5- Con il quinto motivo di ricorso, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., art. 420 cod. proc. civ., comma 5, e art. 421 cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360 cod. proc civ., n. 5, omessa motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, rappresentato dal rigetto dell’istanza del lavoratore relativa all’applicazione dell’art. 421 cod. proc. civ..

Si censura l’operato della Corte d’appello che non ha consentito la richiesta produzione di documenti (gli atti di denuncia per falsa testimonianza, i verbali di trascrizione dell’intercettazione ambientale disposta in sede penale e i verbali di indagini difensive del ricorrente) inerenti a fatti e circostanze sopravvenute rispetto alla proposizione del ricorso e rispetto alla quale, quindi, non si era verificata alcuna decadenza. In ogni caso, nell’eventuale ipotesi di configurazione di decadenze il F. aveva sollecitato la Corte ad esercitare i propri poteri officiosi previsti dall’art. 421 cod proc. civ., sicchè il diniego di tale istanza avrebbe dovuto essere motivato, mentre non lo è stato.

Si aggiunge che analogo inconveniente si è verificato, fin dal giudizio di primo grado, con riferimento alle richieste di prova testimoniale di S.R. e di acquisizione agli atti delle buste-paga del teste D.L..

6.- Con il sesto motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

Si rileva che la Corte d’appello non ha dato alcun conto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello della società, per genericità, formulata ritualmente dal F. nella memoria di costituzione-appello incidentale.

2 – Esame dei motivi del ricorso 7.- I motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono inammissibili per molteplici ragioni.

7.1- In primo luogo, la formulazione dei motivi non è conforme all’art. 366 bis cod. proc, civ. (applicabile nella specie ratione temporis), il quale esige, a pena di inammissibilità, che, nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1, 2, 3 e 4, il motivo sia illustrato con un quesito di diritto – la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza – mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (vedi, per tutte: Cass. 25 febbraio 2009, n. 4556).

Nella specie il suddetto principio risulta essere stato del tutto disatteso e questa è già, di per sè, una ragione sufficiente per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

7.2.- Comunque si deve anche rilevare che tutta l’impostazione del ricorso non consente l’esame del merito delle censure in questa sede infatti – nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nelle intestazioni del primo, del secondo, del quarto, del quinto e del sesto motivo – in realtà tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico- argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dalla ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative della medesima ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

Tanto più che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice dei merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412;

Cass. 24 luglio 2007, n. 16346).

7.3- Va, infine, rilevato che, con riferimento alle censure riferite all’esame delle richieste probatorie e/o alla valutazione delle risultanze processuali, non risulta neppure essere stato rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione in base al quale il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, la Corte di cassazione deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (vedi, per tutte: Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

3 – Conclusioni.

8- In sintesi il ricorso va dichiarato inammissibile.

Sussistono giusti motivi, ravvisabili nella specie nelle contrastanti decisioni dei giudici di merito e nella complessità della vicenda, per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità (analogamente a quanto stabilito dalla Corte d’appello di Bari nella sentenza impugnata).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2011

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