Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21483 del 19/09/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 1 Num. 21483 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: RAGONESI VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 29600-2011 proposto da:
AGENZIA DEL TERRITORIO

(C.F.

06455481009),

in

persona del Direttore Generale pro tempore,
domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

Data pubblicazione: 19/09/2013

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente-

2013

contro

1290

INFONET S.R.L. (c.f. 02559240961), STUDIO BROGGI DI
ARNAI,TDO

BROGGI

(c.f.

00402600134),

OSSUZIO

1

TETTAMANTI

S.R.L.

(c.f.

01520660125),

TECNIKE

S.R.L. (c.f. 13077870155), in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore,
elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE G. MAllINI
55, presso l’avvocato MASTROSANTI ROBERTO, che le

FANTIGROSSI UMBERTO, giusta procura in calce al
controricorso;
– controricorrenti contro

CONSIT SICI S.A.S.;
– intimata –

.
M.

avverso la sentenza n.

114/2011 della CORTE

D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 18/07/2013 dal Consigliere
Dott. VITTORIO RAGONESI;
udito,

per

le

controricorrenti,

l’Avvocato

FANTIGROSSI che ha chiesto il rigetto del ricorso;

rappresenta e difende unitamente all’avvocato

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO APICE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 13.1.2006, le società Consit Sici
sas di Paola Biasci, Infonet srl, Ossuzio Tettamanti srl, Tecnike srl,
V.IP. srl, nonché Arnaldo Broggi, convenivano dinanzi alla Corte

che da tempo operavano nel settore delle informazioni economiche
e finanziarie, fornendo alla clientela, formata in prevalenza da
banche e da studi professionali, rapporti informativi sulla
consistenza patrimoniale di persone fisiche e giuridiche, realizzati
anche attraverso la consultazione di vari archivi e registri pubblici
(in particolare le conservatorie del registri immobiliari e il catasto
terreni e fabbricati) ad accesso libero, consentito a qualsiasi
richiedente (art 2673 cc) senza necessità del consenso delle
persone cui si riferivano le informazioni, al cui rilascio i richiedenti
corrispondevano le tariffe previste dalla normativa vigente;
che la situazione sopra descritta, con l’approvazione della cd legge
finanziaria (L. 311/2004, art. 1, commi da 367 a 372), era stata
sottoposta a una nuova disciplina;
che tale nuova disciplina’, attuata con tre successive circolari
dell’Agenzia del territorio, avrebbe alterato il regime di ‘libera
concorrenza’ che contraddistingueva il settore, palesando una
‘azione di monopolizzazione del settore’ stesso, espressiva di una
strategia dell’Agenzia, avallata dal legislatore della finanziaria
2005, intesa a ‘mettere fuori mercato le imprese private e offrire
direttamente i servizi in questione’, e con ciò ponendosi in

d’appello di Milano 1′ Agenzia del territorio, esponendo:

conflitto con le regole comunitarie e nazionali della concorrenza;
che con la circolare n 2/2005 del 10 2 2005 il regime del divieto di
riutilizzo, salvo convenzione, e la posizione di ‘privilegio’
dell’amministrazione statale ‘ erano rafforzati a danno delle imprese
del settore;
monopolistiche nei settore, con l ‘estromissione delle altre imprese
e con l’offerta diretta dei servizi in questione, proseguiva e si
completava con l’entrata in vigore di una nuova ‘tabella delle tasse
ipotecarie’ (approvata con il 131 7/2005, convertito nella L.
43/2005);

che, del resto, tale strategia era già stata annunciata ne! contesto
della convenzione triennale (2004-2006) stipulata tra il ministero
dell’economia e delle finanze e l’agenzia del territorio.
Tutto ciò posto, le attrici osservavano:
che il carattere pubblico dei registri immobiliari (art. 2673 cc)
rendeva pienamente lecita l’attività delle imprese private
d’informazioni, svolta ‘a valle’ della acquisizione del dato, per
produrre una informazione diversa e più completa;
che la posizione dell’agenzia, per l’esclusiva sulla disponibilità
delle fonti dei dati, si delineava come dominante e che eventuali
limitazioni all’accesso ai dati avrebbero comportato un ostacolo
allo svolgimento di attività concorrenziale, con abuso di posizione
dominante;- che l’attribuzione di una riserva esclusiva e di un
monopolio all’agenzia pubblica, con la previsione di una
convenzione„ e la sua estensione anche alle informazioni già

che la strategia dell’agenzia volta al raggiungimento di posizioni

presenti nelle banche-dati delle imprese private risultava
incompatibili e contrastanti con le norme proconcorrenziali,
comunitarie e nazionali.
Su tali basi le attrici chiedevano alla Corte d’appello , previo

dominante da parte dell’agenzia del territorio e del loro diritto a
continuare ad esercitare, in regime di libero mercato e di libera
concorrenza, l’attività di accesso e di consultazione dei pubblici
registri per produrre e cedere a terzi servizi informativi ‘a valore
aggiunto’, di condannare l’agenzia convenuta al risarcimento di
ogni danno patito e patiendo in relazione alla censurata condotta,
previa occorrendo idonea CTU, nonché di ‘inibire, anche a titolo
di risarcimento del danno informa specifica, qualsiasi riserva o
monopolio in ordine a tale attività d’impresa e imponendo alla
convenuta di astenersi da qualsiasi iniziativa, dichiarazione o
comportamento che, anche regolamentando in modo nuovo le
attività di riutilizzazione commerciale. possa risultare
incompatibile con la prosecuzione dell’attività delle società attrici
secondo le modalità in atto a/la data del 31.12.2004. Previo, in
subordine, rinvio alla corte costituzionale delle questioni di
legittimità costituzione dell’art. 1 commi 367-3 74 della L.
311/2004 per contrasto con gli artt. 3, 41, 42, 43, 97 e /17 Cost.’.

L’agenzia del territorio si costituiva in giudizio, eccependo la
carenza di giurisdizione (in favore delle commissioni tributarie) e
l’incompetenza per territorio, prima ancora che per materia, della
Corte (in favore di quella di Roma, sede dell’agenzia); nel merito,

accertamento dell’illecito concorrenziale di abuso di posizione

contestando la fondatezza delle domande avversarie per carenza
dei presupposti e chiedendone ii rigetto, previo, in subordine,
rinvio pregiudiziale ex art. 234 (ora 267) del trattato, alla corte di
giustizia CE sui quesiti trascritti in epigrafe, concernenti la natura
dell’attività svolta dall’agenzia (imprenditoriale o non) e la sua

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n.114/11: dichiarava
estinto, per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio e relativa
accettazione, il rapporto processuale tra V.IP. srl e Agenzia del
territorio, compensando le relative spese; dichiarava che il
comportamento dell’agenzia del territorio volto a consentire il
riutilizzo dei dati del registri immobiliari soltanto in forza di
specifiche convenzioni stipulate con riferimento alle disposizioni
dell’art. 1, commi 367 e ss. della legge 311/04 e sulla base delle
tariffe (incongrue) correlate a detta legge, costituiva illecito
concorrenziale per abuso di posizione dominante in violazione
delta normativa antitrust comunitaria (art. 82, ora 102, comma 2
lett. a) e 86, ora 106, comma 2, trattato UE; artt. 3, 6, 8, 10
direttiva 2003/98/CE) e nazionale (artt. 3 e 8 L.
287190);condannava l’Agenzia del territorio a risarcire alle
seguenti attrici i danni subiti, che liquidava : a favore di Infonet
srl in complessivi euro 48.500, a favore di Ossuzio Tettamanti srl,
in complessivi euro 76.500,a favore dello studio Broggi in
complessivi euro 31.500; in favore della Tecnike srl in euro
48.700; somme in moneta attuale con gli interessi legali dalla
pubblicazione della sentenza al saldo; rigettava la domanda

attitudine anticoncorrenziale (o non).

risarcitoria della Consit Sici sas con compensazione di spese.
Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione sulla base di sette
motivi l’Agenzia per il territorio .Resistono con controricorso
illustrato con memoria le società , Infonet srl, Ossuzio Tettamanti

Motivi della decisione
Con i primi due motivi viene preliminarmente eccepito il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario.
I motivi ,da esaminarsi congiuntamente, sono manifestamente
infondati essendosi in analoga fattispecie già pronunciate sulla
questione le Sezioni Unite di questa Corte che hanno ritenuto
sussistere in materia la giurisdizione del giudice ordinario ( Cass
sez un 30175/11).
Con terzo motivo si assume che l’Agenzia del Territorio, in
quanto

svolgente un’attività istituzionale, vada esente

dall’applicazione

della

disciplina

proconcorrenziale

sia

comunitaria che nazionale.
Il motivo è infondato.
Il collegio non può che riportarsi a quanto già deciso in analoga
fattispecie dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno stabilito
che ” la nozione d’impresa, nell’ambito del diritto comunitario
della concorrenza, abbraccia qualsiasi entità che eserciti
un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e

srl, Tecnike srl„ nonché Arnaldo Broggi,

dalle modalità di finanziamento

(omissis). Non risulta perciò

rilevante, ai fini che qui interessano, la qualifica di ente pubblico
attribuito dall’ordinamento italiano all’Agenzia del territorio, il cui
assoggettamento alla disciplina antimonopolistica (anche solo
quella interna, stante il disposto dell’art. 1, comma 4, della più

attività che essa svolge e dal modo in cui siffatta attività si esplica
sul mercato. Quel che conta, cioè, è che si tratti di un’attività
economica consistente nell’offerta di beni o servizi sul mercato da
cui esuli l’esercizio di un potere d’imperi°. Ciò posto, appare
subito chiaro come l’indubbio carattere pubblico di una serie di
funzioni esplicate dall’Agenzia del territorio, ed in specie di quelle
attinenti alla tenuta ed alla pubblicità dei dati ipotecari e catastali,
non è risolutivo per dare risposta negativa al quesito posto. E
questo non tanto perché la stessa tenuta dei registri ora richiamati
non necessariamente implica l’esercizio di una potestà d’imperi°,
quanto soprattutto in considerazione dell’ulteriore attività di
carattere economico che lo statuto abilita l’ente a svolgere, che è
destinata a ricadere nell’applicazione della normativa
antimonopolistica a prescindere dal fatto che il medesimo soggetto
contemporaneamente eserciti anche funzioni pubbliche non
connotate da carattere imprenditoriale”.
Del tutto correttamente quindi la Corte d’appello ha ritenuto che
l’attività dell’Agenzia delle entrate, consistente nella messa a
disposizione di servizi a valore aggiunto in relazione ai dati che
essa acquisisce e detiene in via esclusiva, costituisce una attività

volte citata legge n. 287 del 1990) dipende unicamente dai tipo di

d’impresa sul mercato dei servizi relativi alle informazioni
ipocatastali che ,come tale, è soggetta alla normativa
antimonopolistica.
Con il quarto articolato motivo l’Amministrazione deduce : che
qualificabile come “impresa pubblica” … “in quanto esercitata, in
via esclusiva ed in forza di specifiche disposizioni di legge, servizi
di interesse economico generale”….; che sarebbero le stesse

disposizioni comunitarie che regolano la materia (cioè la Direttiva
2003/98/CE) a stabilire che solo /e attività che esulano dai compiti
di servizio pubblico possono configurare il riutilizzo.
Anche tale motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte nel ribadire . un orientamento già
in precedenza espresso hanno osservato che” la circostanza che
l’impresa eserciti la gestione di servizi d’interesse generale non è
di per sé sufficiente ai fini dell’esenzione dall’osservanza delle
norme in materia di concorrenza, ed in particolare del divieto di
abuso di posizione dominante, occorrendo altresì che il
comportamento denunciato si ponga come strettamente connesso
all’adempimento degli specifici compiti affidati all’impresa (si
vedano Cass. 13 febbraio 2009, n. 3638; Cass. 10 gennaio 2008, n.
355; e Cass. 16 maggio 2007, n. 11312). E grava sull’impresa
l’onere di allegare gli elementi in forza dei quali possa ritenersi
dimostrata la suindicata connessione con la specifica missione
istituzionale (Cass. n. 3638/09, omissis.).

Alla luce di tale principio il collegio non può non condividere, in

l’Agenzia non sarebbe soggetta alla L. 287/1990 anche se fosse

relazione alla fattispecie in esame, l’orientamento espresso dalla
citata sentenza delle Sezioni unite secondo cui ” ciò che non
risulta dimostrato è il necessario nesso funzionale, nel rispetto del
criterio di proporzionalità del sacrificio delle esigenze
concorrenziali, tra il servizio di formazione, conservazione e

che l’Agenzia del territorio è abilitata a porre nella successiva
utilizzazione economica dei dati da parte di altri soggetti:
limitazioni nascenti dal generale divieto di riutilizzazione dei dati
stessi, dalla possibilità per i privati di sormontare tale divieto solo
previa stipulazione di apposite convenzioni alle condizioni stabilite
dall’Agenzia del territorio e dietro pagamento di tributi e tasse per
ciascun atto di riutilizzaziQne, e dall’obbligo di eliminazione di
ogni archivio privato una volta scaduta la relativa convenzione. Il
che non consente di ritenere operante, in relazione a tali interventi
sul mercato dell’utilizzazione economica delle informazioni
commerciali, la deroga di cui al citato art. 8, comma 2.”
Anche in questo caso quindi la Corte d’appello ha fatto corretta
applicazione dei principi di diritto dianzi riportati.
Con il quinto motivo la difesa erariale deduce che : non vi sarebbe
alcun contrasto tra la Direttiva europea 2003/98/CE – che ha fissato
i criteri in ordine al riutilizzo delle informazioni nel settore
pubblico – e la Legge n. 311/2004 e che l’art. 2 del D.lgs
24/01/2006 avrebbe successivamente recepito, dandovi attuazione,
alla Direttiva 2003/98/CE.
Il motivo è infondato. La decisione sul punto della Corte d’appello

gestione dei registri pubblici, da un lato, e dall’altro le limitazioni

è del tutto conforme a diritto.
Le disposizioni dei commi da 367 a 372 della legge n. 211 del
2004 non appaiono invero compatibili con i dettami, specifici e
vincolanti, contenuti nella direttiva 2003/98/CE.
decisum delle Sezioni Unite secondo cui” è “vero che la direttiva
ammette espressamente la possibilità per il singolo Stato membro
di non consentire il riutilizzo dei dati conservati nei pubblici
registri (si veda, in particolare, il 9 considerando), ma se tale
riutilizzo, come definito dall’art. 2, n. 4, è invece consentito, allora
deve esserlo con modalità e limiti non eccedenti quelli dalla stessa
direttiva indicati (si veda il principio generale enunciato dall’art. 3
della stessa direttiva).
Il che non è garantito affatto dalle disposizioni nazionali di cui si
tratta, né quanto al modo col quale si permette il riutilizzo dei dati
(non già in base a licenze standard, come previsto dall’art. 8 della
direttiva, bensì a specifiche convenzioni), né quanto alla relativa
tariffazione (non già legata ai criteri di economicità e trasparenza
enunciati dagli artt. 6 e 7 della direttiva, bensì alla mera
duplicazione dei tributi o delle tasse previste per l’acquisizione
originaria del dato), né quanto all’esclusione di ogni effetto
limitativo della concorrenza, espressamente prescritta nella parte
terminale dell’art. 8, primo comma, della direttiva”.

Con il sesto motivo la difesa erariale deduce violazione di norme
di diritto ex art. 360 n. 3 cpc. per inosservanza dell’art. 2697 c.c. e
dell’art. 2043 c.c. da parte del giudice a quo in tema di prova

Sul punto il Collegio non può ,ancora una volta ,che conformarsi al

dell’esistenza del danno e di nesso di causalità in quanto :il danno
sarebbe stato provato solo in termini di alta probabilità logica e per
presunzioni affievolendo esigenze di prova che la giurisprudenza
di legittimità avrebbe, per contra, delineato in maniera pregnante;
tra condotte dell’Ente e il lamentato danno,. c) la CTU avrebbe
supplito alla carenza probatoria delle Società in aperta violazione
del principio dell’onere della prova.
Con il settimo motivo si deduce l’omessa motivazione in ordine
alla sussistenza del danno e del nesso di causalità.
I motivi ,che possono essere esaminati congiuntamente in quanto
tra loro connessi, si rivelano infondati.
Va preliminarmente esaminata la questione dell’acquisizione delle
prove che l’Amministrazione assume essersi impropriamente
effettuata in sede di CTU.
La doglianza è inammissibile.
La sentenza impugnata ha espressamente osservato che” il quesito
posto dalla corte con ordinanza 27.1 1-5.12.2007, sul punto senza
alcuna contestazione delle parti (cfr verbale udienza 9.4.2008),
demanda al CTU l’esame “dei documenti che le parti hanno
prodotto o potranno produrPe in sede di consulenza, compiuto ogni
opportuno accertamento anche mediante accesso presso i pubblici
“, al fine di accertare e quantificare eventuali danni
patrimoniali subiti dalle attrici a seguito dell’entrata in vigore
della finanziaria 2005, “con particolare riferimento alla lamentata
riduzione dell’attività d ‘impresa derivata dalla riduzione delle

b) non sarebbe stato correttamente individuato un nesso eziologico

richieste di visure da parte della clientela, all’incremento dei costi
di riproduzione delle visure da essa fornite e alla mancata
fornitura di visure richieste “, rendendo in tal modo palese che,
net caso in esame, si richiede(va) al CTU non solo di valutare i
fatti già accertati o dati per esistenti (consulente deducente) ma

cosi avviando una consulenza suscettibile di . divenire essa stessa
fonte oggettiva di prova, mentre l’onere probatorio della parte
rimane(va) circoscritto alla deduzione del fatto posto a
fondamento del diritto azionato, fatto non accertabile direttamente
dal giudice per difetto di cognizioni tecniche e per altri motivi di
necessità e opportunità (cfr Cass. SU 4.11.96, n. 9522; cfr altresl
Cass. 2002/15399; 2002/11359; 2001/3343)”.

Tale motivazione risulta corretta in quanto

fondata

sull’orientamento ripetutamente espresso da questa Corte e
riportato dalla sentenza che distingue tra la cosiddetta

44

consulenza deducente” con cui viene affidato al consulente
l’incarico di valutare i fatti accertati ed i dati esistenti e la ”
consulenza percipiente” con cui al consulente viene affidato anche
l’incarico di accertare i fatti stessi , quando si tratta di fatti che la
parte ha dedotto e posto a fondamento della sua domanda ed il cui
accertamento richiede specifiche cognizioni tecniche (si veda da
ultimo, tra le altre, Cass. 13 marzo 2009, n. 6155 e Cass sez un
30175/11).

anche quello di accertare ‘i fatti stessi (consulente percipiente),

Del tutto opportunamente pertanto la Corte d’appello ha fatto
ricorso a siffatto tipo di consulenza giustificato dalla complessità
della ricostruzione dei quadro commerciale in cui l’abuso di
posizione dominante si è consumato e la diversità delle possibili

al fine d’identificare e quantificare le conseguenze pregiudizievoli
dell’abuso.
Tale motivazione non risulta specificatamente impugnata
dall’Amministrazione ricorrente onde la doglianza è
inammissibile.
Con le ulteriori doglianze contenute nel motivo in esame si
contesta la correttezza del criterio di alta probabilità e del ricorso a
presunzioni per accertare il danno, negandosi in particolare che il
criterio del decremento del fatturato possa di Per sé costituire prova
del danno.
Le doglianze sono in parte infondate ed in parte inammissibili.
In primo luogo il ricorso a presunzioni per provare l’esistenza del
danno è stato a più riprese ritenuto legittimo da questa Corte ( v da
ultimo Cass 15111/13).
In particolare, poi, anche di recente questa Corte proprio in tema
di azione risarcitoria, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della
legge 10 ottobre 1990, n. 287 proposta nei confronti dell’impresa
di assicurazione che sia stata sottoposta a sanzione dall’Autorità

opzioni tecniche in base alle quali individuare gli elementi decisivi

garante per aver partecipato ad un’intesa anticoncorrenziale ha
ritenuto che ,è sufficiente per l’assicurato allegare la polizza
assicurativa contratta e l’accertamento, in sede amministrativa,
dell’intesa anticoncorrenziale, potendosi su queste circostanze
del comportamento collusivo e della misura di tale aumento.. (
Cass 12551/13).
Sotto diverso profilo la Corte d’appello ha motivato la propria
decisone nel modo che segue :
“Quanto poi alla tipologia del danno, i parametri esposti nel
quesito affidato al CTU per l ‘accertamento delle lamentate
conseguenze patrimoniali (riduzione delle richieste di visure da
parte della clientela, incremento dei coti di riproduzione delle
visure fornite e mancata fornitura di visure) richiamano sia il
concetto di ricavo, sia quello di costo, inducendo quindi a ritenere
congrua la valutazione del CTU circa la stima di un danno
qualificabile in termini di lucro cessante (sulla quale, del resto, i
CTP hanno espresso opinione concorde, cfr A ret. pagg. 24, 28,
42, 46).
Di takhè il pregiudizio da stimare assume il significato di mancato
(o ridotto) conseguimento di un risultato economico positivo da
parte delle attrici, nell’esercizio 2005, cagionato dal noto ‘evento
esterno’ (legge finanziaria 2005 e conseguenti condotte
dell’agenzia) e la grandezza aziendale più idonea ad esprimerlo va

fondare la presunzione dell’indebito aumento del premio per effetto

individuata in un

‘margine economico differenziale’,

rappresentato dalla differenza tra il margine teorico conseguibile
dall’impresa in assenza dell’evento causativo del danno e il
margine effettivo conseguito dall’impresa in presenza dell’evento

Tale motivazione basata sulle risultanze della CTU e sulle
valutazioni tecniche effettuate dal consulente, che ha applicato per
la successiva quantificazione del danno il modello teorico
EDITDA, appare del tutto corretta in quanto basata sia
sull’accertamento delle prove fornite dalle resistenti che dei criteri
di valutazione del consulente d’ufficio.
Le censure dell’amministrazione ricorrente tendono dunque a
prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuali
in tal modo investendo, inammissibilmente il merito della
decisione.
Sotto un ulteriore profilo ,è appena il caso di ricordare che il
giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente
tecnico ed abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei
consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con
l’indicazione delle fonti del suo convincimento. Le critiche di
parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati
dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni
difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione

causativo del danno (cfr reL CTU, pag. 29).”

previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.. ( Cass 8355/07; Cass
17606/07;Cass 12080/00).
Il ricorso va in conclusione rigettato.

pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo .
PQM
Rigetta il ricorso e condanna l’Amministrazione ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 2500,00
oltre euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Roma 18.7.13

Il Presidente
txJ

Segue alla soccombenza la condanna dell’Amministrazione al

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA