Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21482 del 25/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 25/10/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 25/10/2016), n.21482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 22035 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

INTESA SANPAOLO S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del procuratore

C.G., rappresentata e difesa, giusta procura in calce

al ricorso, dagli avvocati Antonio Ferraguto (C.F.:

FRRNTN64M19C352A) e Benedetto Gargani (C.F.: GRGBDT57T21Z614E);

– ricorrente –

nei confronti di:

D.M.G. (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e quale legale

rappresentante di:

G.D.M. LAVORI S.r.l. (P.I.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura in calce al controricorso, dagli avvocati Salvatore

Nicolosi (C.F.: NCLSVT54R03C351P) e Francesca Zappalà (C.F.:

ZPPFNC73C47C351Y);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello

di Catania n. 788/2014, depositata in data 27 maggio 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 6

ottobre 2016 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato Roberto Catalani, per delega dell’avvocato Benedetto

Gargani, per la società ricorrente;

l’avvocato Salvatore Nicolosi, per il controricorrente;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.M.G., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della G.D.M. Lavori S.r.l., propose opposizione all’esecuzione nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare promosso contro di lui dalla COMIT Factoring S.p.A. (in seguito, anche: Comit Factoring) per crediti originariamente vantati dalla Banca Commerciale Italiana S.p.A. (in seguito, anche: BCI) di cui si era resa cessionaria.

L’opponente sostenne che i crediti ceduti (costituenti il saldo passivo di rapporti di conto corrente bancario) erano insussistenti in conseguenza della nullità di una serie di clausole contrattuali relative al calcolo degli interessi, e chiese accertarsi il saldo dei suddetti rapporti, assumendo che esso fosse attivo in suo favore.

Il Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Giarre, accolse l’opposizione e dichiarò la nullità del precetto e degli atti di esecuzione, ma rigettò la domanda di accertamento del saldo attivo dei rapporti di conto corrente in favore del correntista e di condanna della banca al pagamento dei corrispondenti importi.

Avverso la sentenza di primo grado proposero appello, in via principale, la Banca Intesa S.p.A. (la quale nel corso del giudizio di primo grado aveva incorporato sia la Comit Factoring S.p.A. che la Banca Commerciale Italiana S.p.A.) e, in via incidentale, il D.M..

La Corte di Appello di Catania ha dapprima pronunziato sentenza non definitiva di conferma della decisione di primo grado con riguardo alla nullità delle clausole dei contratti di conto corrente relative alla determinazione degli interessi, disponendo la prosecuzione del giudizio per l’accertamento del saldo del rapporto, e all’esito ha pronunziato sentenza definitiva, con la quale, in accoglimento dell’appello incidentale del D.M., ha dichiarato che quest’ultimo, in proprio e nella qualità, è creditore di Banca Intesa S.p.A. della complessiva somma di Euro 432.797,02, oltre interessi legali dalla domanda.

Avverso la sentenza definitiva ricorre Banca Intesa S.p.A., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso il D.M..

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione alla violazione del giudicato e in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

Il motivo, articolato in due distinte censure, è infondato.

1.1 E’ in primo luogo infondato l’assunto della ricorrente per cui si sarebbe formato il giudicato interno sulla pronunzia di rigetto della domanda di accertamento del saldo attivo in favore dell’opponente D.M., nei rapporti di conto corrente bancario intrattenuti con la BCI, per difetto di legittimazione passiva della Comit Factoring (unica parte originariamente convenuta in giudizio), cui la prima aveva ceduto i relativi crediti, in quanto il suddetto capo della pronunzia di primo grado non sarebbe stato oggetto di gravame da parte del D.M..

Emerge chiaramente, non solo dalla sentenza definitiva impugnata (pag. 1, righe da 13 a 16 dello “Svolgimento del processo”) ma anche da quella non definitiva (pag. 3, righe da 6 a 9), mai impugnata, che il gravame in relazione a tale capo della domanda era stato in realtà proposto dal D.M..

Secondo la società ricorrente dall’esame della comparsa di risposta di secondo grado del D.M., contenente il suo appello incidentale, emergerebbe il contrario, ma tale affermazione risulta del tutto generica, mancando una specifica indicazione delle parti rilevanti dell’atto richiamato a sostegno della censura, e non essendo neanche esattamente indicata l’allocazione di esso nel fascicolo processuale, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

1.2 E’ altresì infondata la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., per essere stata la domanda del D.M. accolta nei confronti di un soggetto (“Banca Intesa, quale successore di Comit Factoring”) diverso da quello contro cui era stata proposta (“Banca Intesa, quale successore di Banca Commerciale Italiana”).

Essa è infatti basata su un assunto di fatto e uno di diritto erronei. In fatto, si deve rilevare che la sentenza impugnata non risulta emessa nei confronti di “Banca Intesa, quale successore di Comit Factoring”, come sostiene la ricorrente, ma semplicemente nei confronti di Banca Intesa S.p.A., società che ha incorporato tanto Comit Factoring quanto BCI ed è dunque subentrata in tutti i rapporti giuridici delle predette società, che si sono estinte (trattandosi di fusioni anteriori alla modifica dell’art. 2504-bis c.c., infatti, si determina l’estinzione della società incorporata, anche se i giudizi pendenti nei confronti dell’incorporata proseguono automaticamente nei confronti dell’incorporante, senza alcuna interruzione ai sensi degli artt. 299 c.p.c. e segg.; cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 19698 del 17/09/2010, Rv. 614542).

In diritto, poi, come non può effettuarsi alcuna distinzione soggettiva nell’ambito dell’unitaria personalità giuridica della società che ha incorporato tanto la cedente quanto la cessionaria del credito scaturente dal rapporto contrattuale oggetto delle domande proposte dal D.M., così non può scindersi, e conseguentemente limitarsi, la sua legittimazione processuale e sostanziale, specie con riguardo a soggetti non più esistenti.

E’ da escludere nella fattispecie qualunque fenomeno di rappresentanza, sostanziale o processuale, e non si pone alcuna questione di legittimazione, in quanto Banca Intesa S.p.A. è succeduta (a titolo universale) nella personalità giuridica delle società incorporate e dunque sta in giudizio in nome e per conto proprio, e non nella qualità di rappresentante o sostituta processuale di altri soggetti (cfr. in proposito, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4022 del 19/02/2013, Rv. 625225: “il ricorso per cassazione, proposto in proprio dalla parte nei cui confronti sia stata pronunciata la sentenza quale erede della persona che aveva partecipato alle precedenti fasi del giudizio, non pone questione alcuna di legittimazione all’impugnazione, trattandosi non di qualità distinte, ma di unica posizione giuridica, fondata sulla successione a titolo universale nei rapporti che facevano capo al “de cuius”, con conseguente titolarità anche del diritto processuale di adire il giudice del gravame”).

La stessa corte di merito (nella sentenza non definitiva n. 915 del 2013, non impugnata, a pag. 3), nel rigettare il motivo di appello avanzato dal D.M. sul difetto di legittimazione della società che aveva proposto l’impugnazione, proprio in quanto mandataria della banca cedente e non della società cessionaria del credito posto in esecuzione, ha chiaramente affermato la unitaria legittimazione alla partecipazione al giudizio di Banca Intesa S.p.A., quale “titolare del credito oggetto dell’opposizione”.

E’ dunque da escludere che vi sia violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sul piano soggettivo, in relazione all’individuazione delle parti processuali.

Ma neanche vi è violazione del suddetto principio con riguardo all’oggetto delle domande proposte.

Non vi è dubbio che il D.M., con l’atto introduttivo del giudizio, abbia chiesto accertarsi e dichiararsi, anche nei confronti della banca cedente, il proprio credito derivante dalla ricostruzione del saldo dei rapporti di conto corrente che aveva costituito oggetto della cessione da parte di BCI in favore di Comit Factoring.

Tale domanda – nel suo contenuto oggettivo – non poteva del resto non essere esaminata ai fini della decisione sull’opposizione proposta, essendo necessaria la ricostruzione dell’intero rapporto di conto corrente per stabilire se sussisteva saldo attivo o passivo e quindi se sussisteva il credito posto in esecuzione da Comit Factoring.

L’accertamento sarebbe stato, naturalmente, opponibile alla cedente BCI solo se svolto in contraddittorio con la stessa. In caso contrario non avrebbe potuto a quest’ultima essere opposto l’eventuale giudicato sul rapporto contrattuale, ma ciò solo per la sua mancata partecipazione al giudizio, non certo per una questione attinente ai limiti oggettivi delle domande proposte e degli accertamenti a tal fine richiesti (in altri termini, si sarebbe trattato di limiti soggettivi, non oggettivi, del giudicato formatosi sul rapporto contrattuale).

In realtà, però, nella specie il soggetto titolare del rapporto contrattuale, e cioè Banca Intesa S.p.A., ha partecipato al giudizio. Essa ne è divenuta parte già a seguito della incorporazione della cessionaria Comit Factoring (che è avvenuta dopo l’incorporazione della cedente BCI), senza necessità di alcuna formale interruzione e riassunzione ai sensi degli artt. 299 e c.p.c. e segg. (come già sopra chiarito, secondo le indicazioni di cui alla richiamata pronunzia delle SS.UU. n. 19698 del 2010). E’ poi anche formalmente intervenuta con la proposizione dell’appello, nel quale tra l’altro – sul piano oggettivo ha ampiamente svolto le proprie difese con riguardo a tutti gli aspetti rilevanti del rapporto contrattuale (ivi inclusa l’eccezione di prescrizione del credito restitutorio vantato dal D.M., eccezione che deve ritenersi assolutamente incompatibile con la astratta negazione della legittimazione a contraddire sul rapporto contrattuale stesso).

Ne consegue che tutti gli accertamenti relativi ai rapporti contrattuali di conto corrente bancario intrattenuti con la BCI, dai quali scaturiva il credito ceduto alla Comit Factoring e da questa fatto valere in sede di esecuzione, sono pienamente opponibili a Banca Intesa S.p.A., che è succeduta (a titolo universale) tanto alla cedente BCI che alla cessionaria Comit Factoring, e che ha partecipato al giudizio proponendo addirittura appello avverso la sentenza di primo grado.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4”.

La ricorrente deduce carenza assoluta di motivazione in ordine alle ragioni per cui il giudice di appello ha ritenuto di poter accertare e dichiarare il credito del D.M. nei confronti di Banca Intesa S.p.A. (a suo dire costituita in giudizio solo quale successore di Comit Factoring, mera cessionaria), benchè tale possibilità fosse stata espressamente esclusa dal giudice di primo grado.

Il motivo è infondato.

Non occorre ribadire quanto già chiarito in ordine alla impossibilità di operare artificiose distinzioni nell’ambito dell’unitaria e inscindibile soggettività di Banca Intesa S.p.A. per farne derivare limitazioni alla sua legittimazione processuale, ed in ordine all’opponibilità ad essa degli accertamenti sul rapporto contrattuale oggetto del giudizio.

Con specifico riguardo al motivo in esame, è sufficiente dunque osservare che la ricorrente ha impugnato esclusivamente la sentenza definitiva della Corte di Appello di Catania n. 788 del 2014, la quale si limita ad accertare l’entità del credito del D.M. all’esito della ricostruzione dell’andamento e del saldo dei conti correnti sulla base delle indicazioni contenute nella precedente sentenza non definitiva n. 915 del 2013.

La questione della legittimazione dell’appellante Banca Intesa S.p.A. a contraddire sull’oggetto della suddetta domanda di accertamento era stata già di fatto risolta (unitamente a quelle della nullità delle clausole dei contratti di conto corrente relative alla determinazione del tasso ultralegale e alla capitalizzazione degli interessi in favore della banca) nella sentenza non definitiva.

La corte, infatti, nel pronunziarsi sull’eccezione del D.M., di inammissibilità dell’appello proposto da Castello Gestione Crediti S.r.l. quale mandataria di Banca Intesa S.p.A. – appello che aveva ad oggetto non solo tutte le questioni relative ai rapporti contrattuali, ma addirittura la prescrizione dei crediti vantati dallo stesso D.M. nei confronti della banca cedente – aveva già chiarito che sussisteva la legittimazione ad impugnare della Banca Intesa S.p.A., quale “titolare del credito oggetto dell’opposizione”.

E tale argomentazione rappresenta una esplicita affermazione della piena legittimazione dell’appellante a contraddire in ordine ai rapporti contrattuali dedotti in giudizio, affermazione che trova poi ulteriore, implicita ma inequivoca conferma negli stessi presupposti di fondo sui quali si basa la pronunzia, dal momento che, una volta accertata la nullità delle clausole contrattuali relative agli interessi pattuiti in favore della banca, la causa venne rimessa in istruttoria al solo scopo di accertare l’effettivo saldo dei rapporti di conto corrente e, in particolare, la eventuale prescrizione dei crediti vantati dal D.M.. Questioni cioè la cui delibazione poteva avere rilievo esclusivamente nell’ottica della completa ricostruzione del rapporto e dell’accertamento del relativo saldo, e che pertanto non avrebbero avuto motivo di essere affrontate se non ai fini dell’accertamento del predetto credito.

Si tratta di motivazione certamente adeguata, sia nel profilo esplicito che in quello implicito, in relazione all’ammissibilità della domanda del D.M. di ricostruzione del saldo dei conti e di conseguente accertamento del suo credito finale nei confronti della banca.

Deve inoltre considerarsi che i suddetti accertamenti, così come la rinnovazione delle operazioni di consulenza anche al fine di verificare l’eventuale prescrizione, erano stati in definitiva richiesti proprio dalla banca appellante (con il suo quarto motivo di appello, come risulta chiaramente da entrambe le sentenze pronunziate), la quale aveva quindi in qualche modo essa stessa imposto che la cognizione si estendesse, oggettivamente, al rapporto contrattuale da cui derivava il credito ceduto.

Deve concludersi che il giudice di appello non ha affatto omesso la motivazione sulla questione della legittimazione a contraddire in ordine al rapporto contrattuale, come dedotto nel motivo di ricorso in esame. Tale motivazione emerge dalla sentenza non definitiva n. 915 del 2013, che la ricorrente non ha in realtà neanche fatto oggetto di impugnazione.

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “In subordine: nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’errata identificazione del soggetto passivo della domanda di accertamento dell’esistenza di un credito”.

La ricorrente sostiene, in subordine rispetto ai precedenti motivi, che, se pure si volesse ritenere la pronunzia impugnata emessa nei confronti di Banca Intesa S.p.A., quale “successore di Banca Commerciale Italiana”, allora sarebbe errata l’individuazione del soggetto passivo della domanda, in quanto BCI non è mai stata parte del giudizio (essendo stata originariamente convenuta Comit Factoring, prima dell’incorporazione, ed essendo essa ricorrente costituita solo quale “incorporante di Comit Factoring”).

Il motivo, per come è proposto, sarebbe certamente inammissibile per difetto di interesse.

Esso è infatti fondato sul duplice postulato per cui la ricorrente è costituita in giudizio esclusivamente “quale successore di Comit Factoring” e non “quale successore di BCI”, e che la pronunzia sia invece stata emessa proprio nei confronti del successore di BCI. Ma, sulla base del suddetto duplice postulato, essa non avrebbe alcun interesse a dolersi di una pronunzia non resa nei confronti del soggetto rappresentato in giudizio.

In realtà, come già ampiamente esposto, è inaccettabile la premessa dell’argomentazione, non essendo possibile artificiosamente scindere l’unitaria personalità giuridica e la legittimazione processuale di un unico soggetto succeduto a titolo universale ad altri, come se si trattasse di un rappresentante di distinti soggetti giuridici.

E la conseguenza della erroneità della premessa è l’infondatezza delle argomentazioni poste a base del motivo in esame, e cioè che il soggetto passivo delle domande proposte dal D.M. sia stato erroneamente individuato dalla corte di appello nella Banca Intesa S.p.A. “quale successore di BCI” invece che nella Banca Intesa S.p.A. “quale successore di Comit Factoring”.

E’ infatti inammissibile una distinzione tra questi due soggetti, essendosi estinte tanto BCI che Comit Factoring, ed essendo parte del giudizio esclusivamente Banca Intesa S.p.A., in nome e per conto proprio, onde non può sussistere alcuna erronea individuazione del soggetto passivo delle domande proposte.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a pagare le spese del presente giudizio in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016

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