Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21481 del 18/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2011, (ud. 19/09/2011, dep. 18/10/2011), n.21481

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11824/2007 proposto da:

V.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIACOMO

BONI 15, presso lo studio dell’avvocato SAMBATARO ELENA,

rappresentata e difesa dall’avvocato LENTINI Giovanni, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

I.P.A.B. – ISTITUZIONE PUBBLICA DI ASSISTENZA & BENEFICIENZA –

OPERE

PIE RIUNITE PASTORE – SAN PIETRO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BAZZONI 3, presso lo studio dell’avvocato PAOLETTI FABRIZIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato RUBINO Girolamo, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1614/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/01/2007 r.g.n. 1614/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato FABRIZIO PAOLETTI per delega GIROLAMO RUBINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 21.12.06 – 29.1.07 la Corte d’Appello di Palermo rigettava l’appello proposto da V.C. contro la pronuncia n. 440/04 con cui il Tribunale di Trapani ne aveva rigettato la domanda intesa ad ottenere dalla IPAB Opere Pie Riunite Pastore San Pietro, alle cui dipendenze lavorava, il pagamento dell’equo indennizzo conseguente alle lesioni da infortunio sul lavoro occorsole il (OMISSIS).

I giudici del merito ritenevano la lavoratrice decaduta D.P.R. n. 689 del 1957, ex art. 36, dal diritto all’equo indennizzo, avendo presentato la relativa domanda solo l’8.3.2000, pur avendo avuto fin dal 27.8.99 contezza della lesione del menisco mediale con sofferenza cartilaginea femoro-rotulea – e dei relativi possibili postumi – per cui aveva chiesto il riconoscimento della causa di servizio.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la V. affidandosi ad un unico articolato motivo.

Resiste con controricorso l’IPAB Opere Pie Riunite Pastore San Pietro.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con unico articolato motivo la ricorrente deduce erronea applicazione del D.P.R. n. 686 del 1957, art. 36 e difetto di motivazione circa il momento identificativo della consapevolezza dell’infermità da parte della lavoratrice, per avere l’impugnata sentenza fatto decorrere il dies a quo del termine semestrale per la presentazione della domanda di equo indennizzo dal 27.8.99, data in cui, a seguito di esame radiografico, alla V. era stata diagnosticata come conseguenza dell’infortunio una lesione del menisco mediale e una sofferenza cartilaginea femoro-rotulea.

Obietta, invece, la ricorrente che solo all’esito dell’intervento chirurgico in artroscopia, effettuato il (OMISSIS), ella aveva avuto piena contezza dell’effettiva natura, consistenza e rilevanza invalidante della lesione, mentre prima di allora non poteva che averne una generica consapevolezza, anche perchè i certificati medici inizialmente rilasciatile avevano escluso quei postumi invalidanti emersi, invece, all’esito dell’intervento chirurgico: su ciò la Corte d’Appello non aveva motivato, malgrado specifica doglianza formulata sul punto.

2 – Il ricorso è infondato.

All’epoca dell’infortunio per cui è causa ((OMISSIS)) era vigente il D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349 (e non più l’abrogato D.P.R. n. 686 del 1957, art. 36), che all’art. 3, comma 1, prevedeva quanto segue:

“L’impiegato civile che abbia contratto infermità o subito lesioni, per farne accertare l’eventuale dipendenza da causa di servizio deve, entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell’infermità o della lesione, presentare domanda scritta all’amministrazione dalla quale direttamente dipende, indicando specificamente la natura dell’infermità o lesione, i fatti di servizio che vi hanno concorso e, ove possibile, le conseguenze sull’integrità fisica. Il dipendente può allegare alla domanda ogni documento che reputi utile”.

Attualmente, abrogato il D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349, è in vigore il D.Lgs. n. 461 del 2001, che al comma 6 dell’art. 2 stabilisce che il termine semestrale per presentare la domanda di equo indennizzo decorre “da quando si è verificata la menomazione in conseguenza dell’infermità o lesione già riconosciuta dipendente da causa di servizio”.

Dovendosi applicare ratione temporis la norma vigente al momento dell’evento che costituisce potenziale titolo dell’equo indennizzo rivendicato dalla ricorrente, deve concludersi che la conoscenza dell’infermità o della lesione presuppone la consapevolezza solo della sua natura (… indicando specificamente la natura dell’infermità o lesione …) e non anche dell’esatta esistenza o meno di postumi, prova ne sia che la loro indicazione nella richiesta è prevista solo come eventuale (…e, ove possibile, le conseguenze sull’integrità fisica …).

In altre parole, avere “… conoscenza dell’infermità o della lesione …” e della relativa natura è cosa diversa dall’esatta specificazione e quantificazione degli esiti invalidanti (per altro, nel caso in esame proprio il rilievo che la ricorrente si sia sottoposta all’intervento operatorio del (OMISSIS) dimostra che ella già previamente sapeva anche dell’esistenza di postumi tali da dover essere trattati chirurgicamente, sebbene non delle loro implicazioni ultime).

A maggior ragione ai fini del decorso del termine de quo non è necessaria la consapevolezza dell’irreversibilità o meno dei postumi, che dipende dal progresso della ricerca medico-scientifica e delle relative applicazioni, vale a dire da fattori imprevedibili e destinati ad un continuo evolversi futuro.

Pertanto, va ribadito l’orientamento già espresso da questa S.C. (cfr. sentenza 22.6.09 n. 14584), che in tema di equo indennizzo per i pubblici dipendenti ha statuito che il termine semestrale per la proposizione della domanda comincia a decorrere dal momento in cui il danno conseguente alla lesione dell’integrità fisica o psichica appare, in base ad indici oggettivi, conoscibile dall’interessato alla luce delle nozioni comuni dell’uomo medio, senza che tale condizione equivalga ad una conoscenza dell’esatta situazione clinica che, potendosi protrarre a tempo indeterminato a cagione della naturale evoluzione (in senso peggiorativo od evolutivo) dei postumi, finirebbe con il vanificare sostanzialmente il termine di decadenza, con conseguente menomazione del diritto di difesa, anche in giudizio, del debitore.

Per il resto, non si ravvisa neppure il lamentato vizio di motivazione, noto essendo – per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi – che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un punto (ora, dopo la novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, di un “fatto”) decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità solo controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi).

Nel caso di specie, al contrario, non è che la Corte territoriale non abbia motivato sul fatto che i postumi invalidanti erano emersi solo a seguito dell’intervento chirurgico del (OMISSIS), è che i giudici del gravame hanno, con motivazione immune da vizi logico- giuridici e quindi incensurabile in questa sede, diversamente individuato l’epoca (27.8.99) in cui la ricorrente ha avuto contezza della lesione del menisco mediale, correttamente poi ritenendo, in punto di diritto, l’irrilevanza della successiva consapevolezza dei postumi invalidanti.

3 – In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Nulla spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2011

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