Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21480 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2021, (ud. 04/03/2021, dep. 27/07/2021), n.21480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1924-2020 proposto da:

M.P.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso GIULIO MARABINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di 2021 Bologna –

Sezione di Forlì – Cesena, in persona del 960 Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto numero cronologico 5655/2019 del TRIBUNALE di

BOLOGNA, depositato il 21/11/2019 R.G.N. 20329/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2021 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Il Tribunale di Bologna, con provvedimento n. 5655 depositato il 21.11.2019, ha rigettato il ricorso proposto da M.P.M., cittadino del Senegal, avverso il diniego della competente Commissione territoriale in ordine alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e della protezione umanitaria.

2. Il richiedente, di religione musulmana, giocatore di calcio, in sintesi, aveva dichiarato che, per questioni familiari relative alla proprietà di un terreno, suo padre era stato ucciso da un fratellastro (zio dell’odierno ricorrente); sopraggiunta la polizia, questa aveva invitato la sua famiglia a conferire con il capo villaggio; a seguito di una riunione, lo zio fu arrestato e il richiedente decise di lasciare il Paese di origine; recatosi in Libia, fu arrestato e ivi rimase due mesi in carcere; aveva precisato di essere, poi, giunto in Italia e di temere di rientrare in Senegal, dove si trova ancora la madre, per la paura di essere ucciso dallo zio.

3. A fondamento della decisione il Tribunale ha rilevato la inattendibilità del racconto; ha sottolineato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria; dalle fonti consultate ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata rilevante ai fini della applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); ha ritenuto, infine, che non vi fossero condizioni di vulnerabilità che giustificassero il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Avverso il provvedimento del Tribunale M.P.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2. lett. e), art. 4, 9, 15 e 20 Direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, nonché l’omesso esame degli elementi di fatto in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Deduce che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto inattendibili le dichiarazioni rese, soffermandosi su aspetti secondari, senza però considerare l’evento essenziale costituito dalla morte del padre per mano del fratellastro e l’intervento della polizia conclusosi con l’insabbiamento di fatto della vicenda: ciò, ai fini della protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b); inoltre, obietta che il collegio non aveva valutato i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione alla allegazione prodotta sulla situazione sociopolitica del Senegal.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché l’omessa motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. E’ opportuno premettere che la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera ed immotivata opinione del giudice, essendo piuttosto il risultato complesso di una procedimentalizzazione della decisione, da compiere alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” senza dar rilievo esclusivo e determinate a mere discordanze o contraddizioni in aspetti secondari o isolati del racconto; detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (Cass. n. 14674 del 2020; Cass. n. 9811 del 2020).

6. Il Tribunale, nella fattispecie, nel giungere alla conclusione di inattendibilità del racconto, si è attenuto ai criteri legali e agli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e, con un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019) ha escluso la veridicità delle dichiarazioni rese. (Ndr: testo originale non comprensibile).

7. In relazione, poi, al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il Tribunale ha escluso, con riguardo al timore di subire, in caso di rientro, ritorsioni dallo zio (che era stato comunque arrestato per l’omicidio commesso, secondo il racconto del richiedente) perché sullo specifico punto non era stata chiesta né ottenuta protezione dallo Stato o dagli organismi a ciò deputati. Quanto, poi, alla situazione di violenza generalizzata rilevante ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha analiticamente motivato, con il dovuto specifico richiamo a quanto affermato dai siti internazionali accreditati (Cass. n. 15794/2019), le ragioni per le quali si doveva escludere che il richiedente provenisse da una zona del Senegal in cui si registrava un clima di violenza tale da fare presumere che, in ipotesi di rimpatrio, potesse essere sposto ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi.

8. Anche il secondo motivo è inammissibile.

9. Questa Corte ha affermato che la protezione umanitaria costituisce una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604/2017; Cass. n. 252/2019).

10. Ciò che va verificato non è l’allegazione di una esistenza migliore nel paese di accoglienza, ma accertare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale.

11. Il Tribunale, nel caso in esame, a prescindere dalla inattendibilità del racconto, ha esplicitamente scrutinato e respinto, con motivazione congrua, la domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria: sotto il profilo soggettivo ha, infatti, evidenziato che il ricorrente era giovane e senza problemi di salute; sotto il profilo oggettivo, ha sottolineato che, nel paese di origine, ove non erano ravvisabili violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani, il richiedente aveva ancora i suoi riferimenti familiari.

12. Lo svolgimento di un tirocinio lavorativo, proseguito con un unico contratto a tempo determinato, e la frequenza di corsi di studio non sono stati poi, correttamente, considerati da soli elementi ostativi al rientro in patria.

13. Alcun vizio di omesso esame della domanda ovvero di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, e’, pertanto, ravvisabile.

14. Alla stregua di quanto esposto deve essere, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

15. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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