Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2148 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2019, (ud. 11/09/2018, dep. 25/01/2019), n.2148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24672/2011 R.G. e sul ricorso riunito

iscritto al n. 27442/2011 R.G. proposti da:

M. s.p.a. in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, p.le Clodio n. 22,

presso lo studio dell’avv. Pietro Rinaldi, rappresentata e difesa

dall’avv. Massimo Camilli giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente nel proc. n. 24672/2011 –

– controricorrente nel proc. n. 27442/2011 –

– ricorrente incidentale nel proc. n. 27442/2011 –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente nel proc. n. 24672/2011-

– ricorrente nel proc. n. 27442/2011 –

– controricorrente incidentale nel proc. n. 27442/2011 –

avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 63/22/10, depositata il 28 ottobre 2010, e n. 77/04/10,

depositata il 28 settembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 settembre

2018 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 63/22/10 del 28/10/2010 la CTR del Veneto accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane avverso la sentenza n. 83/14/06 della CTP di Venezia, che aveva a sua volta accolto il ricorso della M. s.p.a. avverso tre avvisi di rettifica riguardanti dazi ed IVA relativi a tre distinte bollette doganali concernenti l’anno 2002, con le quali la società contribuente aveva importato prodotti dall’Ungheria.

1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) gli avvisi di rettifica erano stati emessi a seguito del controllo a posteriori di taluni certificati EUR1 emessi dall’Amministrazione doganale ungherese e successivamente annullati perchè illegittimamente rilasciati, con conseguente indebito beneficio, da parte della società importatrice M. s.p.a., dell’esenzione daziaria conseguente all’allora vigente Accordo europeo concluso tra l’Ungheria e la UE; b) la CTP accoglieva il ricorso della società contribuente; c) l’Agenzia delle dogane proponeva appello avverso la sentenza della CTP e la M. s.p.a. proponeva, a sua volta, appello incidentale con riferimento alla statuizione di compensazione delle spese.

1.2. Su queste premesse, la CTR motivava l’accoglimento dell’appello dell’Agenzia evidenziando che: a) il vincolo della motivazione di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 5 bis, era soddisfatto “quando nel provvedimento siano indicati i presupposti di fatto e legali che hanno delimitato la Delib. dell’amministrazione”, nè era necessario allegare l’atto richiamato allorquando l’avviso di accertamento ne riproduceva il contenuto essenziale; b) nella specie, gli atti di rettifica dovevano ritenersi sufficientemente motivati con il riferimento alla comunicazione dell’Autorità doganale ungherese, la quale evidenziava “che dalle indagini svolte è stato stabilito che le merci consegnate e scortate dai certificati EUR1 non possono essere considerate come prodotti originari ai sensi del protocollo 4 di accordo concluso tra l’Ungheria e la Comunità Europea”; c) ne conseguiva che l’Agenzia delle dogane “era legittimamente autorizzata ad emettere avvisi di rettifica oggetto del presente contenzioso. Spettava eventualmente alla ditta M. Spa dimostrare il contrario”; d) doveva, altresì, escludersi la sussistenza della buona fede dell’importatore ai sensi del Reg. n. 2913/92/CEE del 12 ottobre 1992, art. 220, (Codice doganale comunitario CDC), non potendo ritenersi che fosse sufficiente l'”avere fatto legittimo affidamento sui certificati rilasciati dall’autorità ungherese” e rientrando la responsabilità “fra i normali inconvenienti dell’attività commerciale”; e) “il comportamento dell’operatore è degno di tutela solo se in caso di scorrettezza o irregolarità commessa dalle autorità doganali e non già quando le medesime siano tratte in inganno da inattendibili e ingannevoli dichiarazioni”.

2. Con sentenza n. 77/04/10 del 28/09/2010 la CTR del Veneto rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane avverso la sentenza n. 80/01/08 della CTP di Venezia, che aveva a sua volta accolto il ricorso della M. s.p.a. avverso tre atti di contestazione delle sanzioni amministrative emessi a seguito della notificazione degli avvisi di rettifica relativi alle bollette doganali di cui sub 1.

2.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) la CTP accoglieva il ricorso della società contribuente facendo rinvio alla motivazione riguardante gli avvisi di rettifica annullati; b) l’Agenzia delle dogane impugnava in via principale la sentenza della CTP mentre la M. s.p.a. proponeva appello incidentale con riferimento alla statuizione di compensazione delle spese di lite.

2.2. Su queste premesse, la CTR motivava il rigetto di entrambi gli appelli evidenziando che: a) doveva ritenersi inapplicabile alla fattispecie il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303, (Testo unico della L. doganale – TULD) perchè “l’origine della merce importata non può essere compresa nel termine “qualità”” previsto dalla menzionata Disp. “proprio per la diversità ontologica dei due termini e per la non estensibilità, in campo sanzionatorio, di ipotesi non previste dal legislatore”; b) doveva, inoltre, escludersi la colpevolezza della M. s.p.a., la quale “si è limitata a presentare i certificati di origine rilasciati dall’autorità doganale ungherese, facendo su di essi affidamento”, per cui, quanto meno ai fini delle sanzioni, “non appariva necessario un’ulteriore attività della ditta M. rivolta ad indagare sulla correttezza dei certificati EUR1”.

3. Con riferimento al procedimento n. 24672/2011, la M. s.p.a. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi; con riferimento al procedimento n. 27442/2011 era, invece, l’Agenzia delle dogane a proporre ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

4. L’Agenzia delle dogane e la M. s.p.a. resistevano nei rispettivi giudizi depositando controricorso; la società contribuente presentava, altresì, ricorso incidentale nel procedimento n. 27442/2011, affidato ad un motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente disposta la riunione del procedimento n. 27442/2011 al procedimento n. 24672/2011, vertendo le cause tra le stesse parti ed essendo indiscutibile la connessione oggettiva delle questioni da affrontare.

1.1. Invero, “la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie” (così Cass. S.U. n. 1521 del 23/01/2013).

Il procedimento concernente le impugnazioni avverso gli avvisi di rettifica (proc. n. 24672/2011).

2. Con il primo motivo di ricorso (rubricato con la lett. A) la M. s.p.a. deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis, della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. La società contribuente lamenta che la CTR, in violazione delle disposizioni richiamate, ha ritenuto validamente e correttamente motivati gli avvisi di rettifica sebbene l’Ufficio non abbia esplicitato, nemmeno negli atti richiamati per relationem, le effettive ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato l’invalidazione dei certificati EUR1 e la conseguente revisione delle dichiarazioni doganali.

3. Con il secondo motivo di ricorso (rubricato con la lett. B) si deduce la violazione delle medesime Disp. di cui al primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione della mancata allegazione, agli avvisi di rettifica, della nota dell’autorità doganale ungherese, con la quale è stata comunicata l’invalidazione dei certificati EUR1, (prodotta solo nel corso del giudizio di primo grado), dell’elenco dei certificati invalidati, tra i quali rientrerebbero anche quelli relativi all’importazione effettuata dalla M. s.p.a., nonchè della nota prot. 11996 del 29/09/2005 dell’Ufficio antifrode di Padova, pure richiamata nel verbale di revisione del 12/07/2005.

4. Con il terzo motivo di ricorso (rubricato con la lett. C) si contesta l’omessa o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidenziandosi che negli avvisi di rettifica è stata del tutto omessa la specificazione della causa determinante che ha indotto le autorità doganali ungheresi a invalidare i certificati EUR1, giustificazione allegata per la prima volta nel corso del giudizio di secondo grado e fondamentale per valutare la legittimità della revisione operata dalla dogana e consentire alla società contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa, dimostrando la genuinità dell’origine preferenziale delle merci ovvero la ricorrenza delle condizioni per l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 220, p. 2, lett. b), C.D.C.

5. Con il quarto motivo di ricorso (rubricato con la lett. D), la M. s.p.a. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1 e 57, in combinato disposto con l’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi la illegittima modificazione della causa petendi da parte dell’Agenzia delle dogane, che avrebbe dedotto solo in appello la ragione in base alla quale sono stati invalidati i certificati EUR1 da parte delle autorità doganali ungheresi.

6. I quattro motivi, che involgono sotto diversi profili e con argomentazione spesso ripetitiva, la questione della sufficiente motivazione degli avvisi di rettifica, vanno disattesi.

6.1. La motivazione degli avvisi di rettifica, per come trascritta dalla società contribuente in ricorso, si fonda essenzialmente sul controllo intervenuto, da parte delle autorità doganali ungheresi, sulla società esportatrice Hungaro Projest Kft, dal quale è risultata la nullità dei certificati EUR1 emessi su richiesta di quest’ultima, sicchè le merci coperte da tali certificati, non avendo i requisiti prescritti dal protocollo 4 del vigente (all’epoca) Accordo CEE-Ungheria, non possono considerarsi prodotti originari dell’Ungheria e non possono usufruire del trattamento doganale preferenziale.

6.2. Come correttamente ritenuto dalla CTR, una simile motivazione è pienamente idonea a giustificare gli avvisi di rettifica, avendo indicato la ragione della mancata concessione del trattamento preferenziale (nullità dei certificati EUR1 comminata dalle autorità doganali ungheresi) come risultante dagli atti richiamati.

In proposito, la mancata allegazione di questi ultimi non è idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento adottato, anche in ragione del fatto che il loro contenuto essenziale è stato riportato nel contesto della motivazione degli avvisi e della irrilevanza, in presenza di un’invalidazione da parte delle autorità dello Stato d’esportazione, delle specifiche ragioni che hanno condotto a detta invalidazione.

6.3. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “il certificato di origine delle merci (FORM-A, o EUR-1), emesso dalle autorità del Paese di esportazione, previsto dal Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 26, e dal Reg. CEE 2 luglio 1993, n. 2454, artt. 80 e ss., costituisce titolo di legittimazione esclusivo per esercitare il diritto di fruizione dello specifico regime doganale previsto in relazione all’origine del prodotto (“condicio sine qua non”), ma non ha efficacia di “prova legale assoluta” (“iuris et de iure”) della effettiva origine della merce importata dal Paese terzo che ha emesso il certificato, attesa, da un lato, l’assenza di obblighi di controllo in capo al Paese terzo e, dall’altro, la possibilità, per il Paese importatore, in presenza di ragionevoli dubbi, di contestare l’effettiva origine del prodotto importato e rifiutare, indipendentemente dalla regolarità formale del certificato, l’applicazione dello specifico regime doganale” (Cass. n. 24439 del 30/10/2013; si veda, altresì, Cass. n. 6637 del 15/03/2013).

Ne consegue che l’invalidazione dei certificati di origine da parte del Paese esportatore, condicio sine qua non per beneficiare del regime di esenzione daziaria, determina – indipendentemente dalle motivazioni che hanno condotto a tale invalidazione, con riferimento alle quali si sarebbe dovuto eventualmente proporre impugnazione davanti all’autorità competente di quel Paese – il venir meno del beneficio previsto in relazione all’origine del prodotto. Del resto, “in un sistema di cooperazione quale è quello del regime preferenziale basato sulla ripartizione di competenze tra Stato d’esportazione e Stato d’importazione, la prova della inesattezza dei certificati di imputazione può ritenersi raggiunta nel caso in cui, all’esito di indagine condotta in cooperazione con lo Stato esportatore i certificati EUR-1 vengano invalidati (o meglio destituiti di efficacia probatoria) dalle autorità doganali del Paese beneficiario, e dunque non soltanto nel caso in cui sia positivamente accertato che le merci ivi indicate non soddisfano al requisito essenziale della origine, ma anche nel caso in cui all’esito della indagine non sia possibile disporre di elementi sufficienti per confermare l’origine della merce indicata nel certificato, dovendo anche in quest’ultimo caso ritenersi privi di efficacia probatoria i certificati emessi dallo Stato esportatore, avendo in conseguenza indebitamente beneficiato della esenzione doganale i prodotti di “origine ignota” (Corte giustizia 7.12.1993 causa C-12/92 Huygen)” (Cass. n. 14036 del 03/08/2012).

6.4. Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “In tema di tributi doganali e con riguardo alla pretesa di recupero dei dazi preferenziali non versati, il certificato di origine delle merci (nella specie, certificato EUR1), emesso dalle autorità del Paese di esportazione, previsto dal Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 26, e dal Reg. CEE 2 luglio 1993, n. 2454, artt. 80 e ss., costituisce titolo di legittimazione esclusivo per esercitare il diritto di fruizione dello specifico regime doganale previsto in relazione all’origine del prodotto (condicio sine qua non), sicchè, ai fini della motivazione dell’avviso di rettifica, è sufficiente che l’Amministrazione finanziaria dia conto della invalidazione, da parte dell’autorità emittente, di detto certificato, essendo superflua l’indicazione delle ragioni che hanno condotto alla menzionata invalidazione”.

6.5. La circostanza, poi, che oggetto di invalidazione siano stati specificamente i certificati EUR1 relativi alla merce importata dalla M. s.p.a., nonchè quella riguardante le ragioni di tale invalidazione non attengono al profilo motivazionale dell’avviso di rettifica, ma all’onere probatorio incombente sull’Amministrazione finanziaria ed ammissibilmente assolto, per quanto riconosciuto dalla stessa società contribuente, nel corso del giudizio (la nota della dogana ungherese è stata depositata nel corso del giudizio di primo grado, l’elenco con l’indicazione dei certificati EUR1 invalidati è stato prodotto nel corso del giudizio di secondo grado: cfr. pag. 22 del ricorso).

6.6. Le superiori considerazioni giustificano, pertanto, il giudizio di infondatezza dei primi tre motivi di ricorso esaminati: il primo ed il terzo perchè non è necessaria, ai fini della motivazione degli avvisi di rettifica, la specificazione delle ragioni per le quali le autorità ungheresi hanno invalidato i certificati EUR1; il secondo perchè gli atti richiamati dagli avvisi di rettifica sono stati riportati nel loro contenuto essenziale, riferendosi gli avvisi alla già ricordata invalidazione dei certificati EUR1 riguardanti la merce importata dalla M. s.p.a..

6.7. Con riferimento al quarto motivo, basterà aggiungere che nel giudizio tributario il thema decidendum è definito dai motivi di impugnazione del contribuente avverso i quali l’Amministrazione finanziaria appronta le proprie difese. Orbene, è stata la stessa M. s.p.a. a denunciare, con gli originari motivi di impugnazione, la carenza di motivazione degli avvisi di rettifica in quanto non indicanti le ragioni che hanno condotto all’invalidazione dei certificati EUR1 da parte delle autorità doganali ungheresi.

Ne consegue che la produzione in appello della documentazione dalla quale si evincono le menzionate ragioni – produzione, peraltro, pienamente ammissibile, non essendo applicabile al giudizio tributario la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, (Cass. n. 27774 del 22/11/2017; Cass. n. 20103 del 16/11/2012; Cass. n. 23616 del 11/11/2011; Cass. n. 18907 del 16/09/2011) – non costituisce, all’evidenza, ampliamento dell’originario oggetto del giudizio.

7. Con il quinto motivo di ricorso (rubricato con la lett. E) si deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidenziandosi che l’attenzione della sentenza di primo grado si è soffermata unicamente sul difetto di motivazione degli atti impugnati, sicchè tutte le argomentazioni della CTR sarebbero inconferenti e inidonee a motivare la decisione assunta di riformare la sentenza impugnata.

7.1. In particolare, si sostiene che l’intera motivazione svolta dai giudici di secondo grado è diretta ad argomentare sulla mancanza di presupposti per riconoscere l’operatività dell’esimente di cui all’art. 220 C.D.C., in materia di recupero a posteriori dei dazi doganali.

8. Il motivo è inammissibile.

8.1. In buona sostanza, parte ricorrente, sostenendo che la CTR avrebbe motivato con riferimento alla ricorrenza delle condizioni di applicazione dell’esimente di cui all’art. 220 C.D.C., ha dedotto un vizio di ultrapetizione, atteso che il thema decidendum sarebbe delimitato alla carenza di motivazione degli avvisi di rettifica, che avrebbero dovuto contenere anche un riferimento alla insussistenza della esimente della buona fede della società importatrice.

8.2. Tale vizio è, peraltro, denunciabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; e il motivo non può nemmeno essere riqualificato da questa Corte, ostandovi il principio espresso da Cass. S.U. n. 17931 del 24/07/2013 (“il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”, evidentemente valido anche in caso di ultrapetizione.

8.3. In ogni caso, il motivo sarebbe inammissibile anche in caso di riqualificazione, non avendo la società contribuente precisato in che atto e in che termini il motivo è stato riproposto.

9. Con il sesto motivo di ricorso (rubricato con la lett. F) la M. s.p.a. contesta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 546 del 1992, artt. 1, 49, 56, e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9.1. La ricorrente si lamenta del fatto che la CTR avrebbe omesso di motivare in ordine alla non debenza dell’IVA, atteso che la relativa irregolarità attiene alla fiscalità ordinaria di competenza dell’Agenzia delle entrate e non già dell’Agenzia delle dogane.

10. Posto che il motivo denuncia chiaramente un vizio di omessa pronuncia, lo stesso è inammissibile.

10.1. La società ricorrente ha dedotto di avere proposto la censura in primo grado (cfr. ricorso, pag. 7) e di avere riproposto la stessa in appello, senza peraltro indicare le modalità di riproposizione e l’atto difensivo.

10.2. La controricorrente ha eccepito che la censura non sarebbe stata specificamente riproposta, laddove a pag. 26 della comparsa di costituzione la M. s.p.a. si è limitata ad una affermazione generica, dichiarando “di riproporre anche tutti gli ulteriori motivi assorbiti o non valutati”.

10.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure “per relationem”, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicchè non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale” (Cass. n. 30444 del 19/12/2017; si vedano anche Cass. n. 12191 del 18/05/2018; Cass. n. 24267 del 27/11/2015).

Inoltre, “Affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività” (Cass. S.U. n. 15781 del 28/07/2005; conf., da ultimo, Cass. n. 5344 del 04/03/2013).

10.4. Nella specie, la ricorrente non ha specificato in quale atto difensivo (e in quale parte di esso) ha riproposto in appello la censura dedotta in primo grado, nè ha riportato nel ricorso per cassazione gli esatti termini con cui la stessa è stata formulata; inoltre, ove la riproposizione sia stata effettuata nei termini riportati in controricorso, la stessa deve ritenersi del tutto generica, non facendosi specifico riferimento alla questione da esaminare da parte della Corte.

Il procedimento concernente le impugnazioni avverso gli atti di contestazione sanzioni (proc. n. 27442/2011).

11. Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia delle dogane deduce la violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la CTR avrebbe dovuto procedere alla sospensione necessaria del giudizio vertente sulle sanzioni in attesa della definizione del giudizio involgente gli avvisi di rettifica.

12. Il motivo è infondato.

12.1. Posto che il motivo andava correttamente dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, trattandosi di vizio processuale (Cass. n. 16992 del 01/08/2007), in ogni caso la CTR non avrebbe mai potuto procedere alla sospensione del processo riguardante le sanzioni in attesa della definizione del processo riguardante gli avvisi di rettifica.

12.2. Ove pure ve ne fossero state le condizioni, infatti, la sospensione prevede la necessaria pendenza dei due giudizi (quello pregiudiziale e quello pregiudicato) davanti a giudici diversi (cfr. Cass. n. 21765 del 20/09/2017; Cass. n. 21396 del 30/11/2012; Cass. n. 1865 del 08/02/2012) e tale non è certamente la medesima CTR del Veneto. Semmai la CTR avrebbe dovuto procedere alla riunione dei due giudizi pendenti davanti a due distinte sezioni (cfr. Cass. n. 27686 del 11/12/2013; Cass. n. 10509 del 18/07/2002; Cass. n. 14281 del 30/10/2000), ma tale questione non è stata sollevata da parte ricorrente.

13. Con il secondo motivo di ricorso principale si lamenta la violazione dell’art. 303 TULD e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la CTR ha errato nell’escludere dall’ambito applicativo dell’art. 303 cit., l’origine della merce, rientrando la stessa nel concetto di “qualità”.

14. Con il terzo motivo di ricorso principale si deduce la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che non può escludersi la colpevolezza della società contribuente per il fatto di essersi limitata a fare affidamento – non essendo richieste ulteriori indagini – sulla validità dei certificati di origine rilasciati dalle autorità doganali ungheresi, come ritenuto erroneamente dalla CTR.

15. Il terzo motivo è inammissibile.

15.1. La CTR ha valutato le circostanze acquisite agli atti di causa e ha concluso per la insussistenza della colpevolezza della M. s.p.a., con ciò facendo corretta applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5.

15.2. L’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto eventualmente censurare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la motivazione della CTR che ha escluso la colpevolezza della società contribuente.

16. Il secondo motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

16.1. Invero, la pur evidente fondatezza dello stesso (cfr. Cass. n. 14042 del 03/08/2012; si veda anche Cass. n. 3467 del 14/02/2014), con conseguente applicabilità alla fattispecie dell’art. 303 TULD, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, non giustifica l’accoglimento del ricorso principale e la cassazione della sentenza impugnata, fondata anche sulla differente ratio decidendi dell’incolpevolezza della società contribuente, ratio non correttamente censurata con il terzo motivo di ricorso, come si è detto in precedenza.

17. Con il motivo di ricorso incidentale la M. s.p.a. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, evidenziando che le spese del primo e del secondo grado del giudizio sono state immotivatamente compensate.

18. Il motivo è infondato.

18.1. La compensazione delle spese di primo e secondo grado è stata puntualmente motivata dalla CTR con la sussistenza di difficoltà interpretative derivanti da “la complessità della materia, l’evoluzione legislativa europea e le spesso discordanti decisioni giurisprudenziali”.

18.2. Trattasi di motivazione congrua e niente affatto di stile, idonea ad integrare l’esplicitazione di quei giusti motivi di compensazione delle spese di lite richiesta dall’art. 92 c.p.c., comma 2, (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica intervenuta con la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11).

19. In conclusione, con riferimento ad entrambi i procedimenti riuniti, vanno rigettati tutti i ricorsi.

20. Per quanto riguarda, infine, le spese dei presenti giudizi riuniti, la reciproca soccombenza giustifica la loro integrale compensazione.

PQM

La Corte, con riferimento al procedimento n. 24672/2011, rigetta il ricorso; con riferimento al procedimento n. 27442/2011, rigetta il ricorso principale e quello incidentale; dichiara compensate tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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