Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21474 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21474 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17639 del Ruolo Generale degli
affari civili dell’anno 2007, proposto:
DA
BRUNO VALENTINO, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Ippolito Nievo n. 62, presso l’avv. Andrea Antonelli e
rappresentato e difeso, per procura a margine del ricorso
notificato il 12 giugno 2007, dall’avv. Furío Strabella del
foro di Trieste.
RICORRENTE
CONTRO
MARMI VRECH G. s.r.1., succeduta alla ditta individuale Vrech

Giocondo, con sede in Cervignano del Friuli con atto di

diíZ
2_013

Data pubblicazione: 19/09/2013

conferimento di azienda del 28 dicembre 1999, per notar
Giorgio Maraspin di Codroipo del 28 dicembre 1999 Rep. n.
52679, in persona del legale rappresentante Vrech Giocondo,
elettivamente domiciliato in Roma alla Via Gonfalonieri n. 8,

e difende per procura a margine del controricorso.
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n.
233/06 del 15 marzo 2006, depositata il 1 0 aprile dello
stesso anno, che il cancelliere attesta essere stata
pubblicata il 27 aprile 2006. Udita la relazione del Cons.
dr. Fabrizio Forte e sentito l’avv. Di Mattia, per delega
dell’avv. Perocco, per il controricorrente e il P.M., in
persona del sostituto procuratore generale dr. Aurelio Golia,
che conclude perché il ricorso sia dichiarato inammissibile
ovvero sia rigettato.
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 23 agosto 2001, Bruno Valentino
conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Udine, sezione
di Palmanova, Giocondo Vrech, per ottenere l’annullamento,
per errore di fatto essenziale e riconoscibile, del lodo
arbitrale irrituale pronunciato in Trieste 1’11 luglio 1998,
per la parte in cui dichiarava la “decadenza” o “cessazione
degli effetti”, dell’appalto concluso dalle parti il 30 marzo
1996, con la previsione in esso di un patto di opzione per
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nello studio dell’avv. Salvatore Di Mattia,che lo rappresenta

futuri lavori su committenza della s.p.a. Finmeccanica
all’attore, per il caso d’inadempimento di questo.
Il Valentino non aveva potuto proseguire i lavori appaltati
dalla s.r.l. Marmi Vrech G., per le dimissioni di tutti i

titolare Giocondo Vrech che il Tribunale adito non aveva
condannato al risarcimento del danno, per carenza degli
elementi di prova della induzione alle dimissioni dei
lavoratori da parte di quest’ultimo, quale amministratore
della società che li aveva poi assunti.
Il Valentino, che aveva coordinato il lavoro dei suoi ex
dipendenti, aveva iniziato giudizio arbitrale nei confronti
della società a responsabilità limitata Marmi Vrech, per
comportamento sleale che gli aveva impedito di adempiere
l’appalto stipulato da lui con detta società e aveva dato
luogo al pagamento a suo carico delle spese di lite, di
funzionamento del collegio arbitrale e del compenso agli
arbitri e alla sua condanna alle spese del giudizio di
annullamento del lodo irrituale.
Tale lodo aveva riconosciuto al Valentino il diritto a
percepire, a pagamento dell’opera da lui svolta, £.
45.880.822, rigettando la domanda risarcitoria dell’attore e
le altre richieste di questo di dichiarare sleale il
comportamento della società committente.
Il Valentino impugnava il lodo per il rigetto delle sue
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suoi dipendenti assunti da questa ultima società, di cui era

domande, chiedendo in subordine l’annullamento dell’intero
contratto, precisando che la s.r.l. Marmi Vrech aveva già
adempiuto quanto posto a suo carico con il lodo.
Deduceva che gli arbitri non avevano considerato la strana

lavoro subordinato con terzi, aveva assunto i suoi dipendenti
per proseguire in proprio il lavoro e impedire l’adempimento
dell’originario contratto da parte del Valentino, che, in
ragione di quanto emergeva dalla decisione arbitrale, aveva
chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo di pagamento.
La società aveva eccepito la inammissibilità dell’azione,
deducendo che l’arbitrato a base del lodo era rituale e
quindi impugnabile per nullità solo alla Corte d’appello.
Il Tribunale, accertata la natura irrituale dell’arbitrato,
rigettava la domanda nel merito perché il Valentino, pur
consapevole della causa di invalidità del lodo per la
annullabilità del contratto che lo prevedeva, aveva chiesto e
ottenuto il decreto ingiuntivo, così convalidandolo con la
parziale esecuzione del contratto derivata dal pagamento di
quanto da lui chiesto.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Valentino,
affermando che il primo giudice non aveva rilevato che egli
aveva chiesto l’esecuzione parziale del lodo per le sole
parti della decisione non affette da invalidità; la s.r.l.
Vrech si costituiva nel giudizio di impugnazione del lodo e
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condotta della controparte che, pur essendo in rapporto di

contestava le avverse deduzioni.
Il gravame è stato rigettato dalla Corte di merito che, con
la sentenza oggetto di ricorso, ha rilevato che il Valentino
aveva in realtà chiesto l’esecuzione dell’intero contratto e

ingiuntivo in base all’efficacia dell’intero titolo.
Peraltro lo stesso Valentino, nel ricorso per ingiunzione, ha
rilevato che il contratto originario era risolto e quindi non
poteva essere a fondamento dell’ingiunzione e, ad avviso
dalla Corte di merito, gli argomenti dell’appellante a
sostegno dell’errore, non deducono in sostanza un errore di
fatto ma un mero errore di giudizio.
In realtà era incontestato l’inadempimento del Valentino
dovuto al passaggio degli operai dalla dipendenze di lui a
quelle del Vrech, ma nessuna prova vi era del comportamento
doloso o colposo di questo, per impedire l’adempimento del
Valentino, per cui doveva rigettarsi l’appello principale di
quest’ultimo comunque infondato, per essere corretta la
sentenza di primo grado che aveva ritenuto esservi stato
nella fattispecie un amichevole componimento della
controversia risolta equitativamente.
Respinto il gravame del Valentino, lo stesso è stato
condannato alle spese di causa e la sentenza della Corte di
appello di Trieste, con annotazione in calce del cancelliere,
risAra depositata in cancelleria il 1 0 aprile 2006 e
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non di una sola parte di esso, domandando il decreto

pubblicata il 27 aprile dello stesso anno.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di
Trieste che precede, propone ricorso di tre motivi,
notificato il 12 giugno 2007, il Valentino, cui resiste la

successivo 13 luglio dello stesso anno; entrambe le parti
hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Deve essere accolta l’eccezione di tardività del ricorso
sollevata dal controricorrente e va quindi dichiarata
inammissibile l’impugnazione, anche se i tre motivi in essa
contenuti sarebbero comunque preclusi per il modo in cui sono
stati proposti, lamentando i primi due vizi di motivazione
senza le sintesi finali degli stessi richieste dall’art. 366
bis c.p.c. a pena di inammissibilità e il terzo perché, pur
deducendo violazione dell’art. 2598 c.c., in realtà propone
censure che attengono al solo merito, prospettando una
ricostruzione dei fatti diversa da quella sottoposta dalle
parti all’esame dei giudici di merito.
2. La sentenza oggetto di ricorso, come da attestato in calce
ad essa della cancelleria risulta depositata il 1 0 aprile
2006 e pubblicata il 27 aprile dello stesso anno in palese
contrasto con l’art. 133, 1 0 comma, c.p.c., norma per la
quale la “sentenza è resa pubblica mediante deposito nella
cancelleria del giudice che l’ha pronunciata”, per cui è
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s.r.l. Marmi Vrech G. con controricorso notificato il

evidente la contestualità sancita per legge della
pubblicazione con l’indicato deposito dell’atto.
E’ allora palese l’errore dell’annotazione del cancelliere in
calce alla sentenza oggetto di ricorso, errore che peraltro è

ha enunciato per la fattispecie il seguente principio di
diritto:”A norma dell’art. 133 del c.p.c., la consegna
dell’originale completo del documento-sentenza al
cancelliere, nella cancelleria del giudice che l’ha
pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione, il quale
si compie, senza soluzione di continuità, con la
certificazione del deposito mediante l’apposizione, in calce
al documento, della firma e della data del cancelliere, che
devono essere contemporanee alla consegna ufficiale della
sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. E’
pertanto da escludere che il cancelliere preposto
nell’espletamento di tale attività alla tutela della fede
pubblica (art. 2699 c.c.), possa attestare che la sentenza,
già pubblicata, ai sensi dell’art. 133 c.p.c. alla data del
suo deposito, è stata pubblicata in data successiva, con la
conseguenza che, ove sulla sentenza siano state apposte due
date, una di deposito, senza espressa specificazione che il
documento depositato costituisce solo la minuta del
provvedimento, e l’altra di pubblicazione, tutti gli effetti
giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza
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già stato riscontrato in altre occasioni da questa Corte che

decorrono già dalla data del suo deposito” (S.U. 1 agosto
2012 n. 13794 e Cass. 29 ottobre 2012 n. 18569).
Il ricorso nel caso risulta notificato 12 giugno 2007, oltre
il termine di un anno e 46 giorni dalla data del deposito-

cassazione, data che è quella del l ° aprile 2006, per cui è
palese la decadenza del Valentino dal diritto di chiedere la
cassazione della sentenza, ai sensi dell’art. 327 c.p.c.
nella versione vigente alla data dell’impugnazione e il
ricorso deve dichiararsi inammissibile, perché tardivo in
quanto notificato oltre l’anno e quarantasei giorni dalla
pubblicazione del provvedimento impugnato, con spese a carico
del ricorrente che si liquidano per l’intero nella misura dì
cui in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente a pagare al controricorrente le spese del giudizio
di cassazione, che liquida in C. 3.000,00 a titolo di
compenso ed in € 200,00 per spese, oltre alle spese
accessorie come per legge.
Così deciso il 10 luglio 2013 nella camera di consiglio della
prima sezione civile della Corte suprema di cassazione.

pubblicazione della sentenza, di cui esso chiede la

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