Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21474 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/09/2017, (ud. 07/06/2017, dep.15/09/2017),  n. 21474

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21550/2011 R.G. proposto da:

S.T.A.E.R. Studio Tecnico Applicazioni Elettronica Roma s.r.l., in

liquidazione e in concordato preventivo (C.F. (OMISSIS)), in persona

del liquidatore, del liquidatore giudiziale e del commissario

giudiziale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio

Umberto Petraglia, elettivamente domiciliata presso il suo studio,

in Roma, via Aureliana 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege

dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata in

Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

e contro

S. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, depositato il 27

luglio 2010, nel procedimento iscritto al n. 58679/2009 r.g.;

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 giugno

2017 dal Consigliere Giuseppe Fichera;

Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale

Cardino Alberto, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso

presentato dal liquidatore giudiziale e dal commissario giudiziale

ed accogliere il terzo motivo del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 27 luglio 2011, sul reclamo avanzato dall’Agenzia delle Entrate, in riforma del provvedimento reso dal Tribunale di Roma ha respinto la domanda di omologa del concordato preventivo proposto dalla S.T.A.E.R. Studio Tecnico Applicazioni Elettronica Roma s.r.l., in liquidazione (di seguito breviter STAER).

Ha ritenuto la corte che il concordato non poteva essere omologato, in quanto la transazione fiscale proposta all’Amministrazione finanziaria prevedeva una falcidia del credito IVA, dovendosi invece ritenere – anche prima della novella della L. Fall., art. 182-ter introdotta dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2 – insuscettibili di pagamento in misura ridotta i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea.

Ha soggiunto il giudice del reclamo che la sopravvenuta modifica della disciplina della transazione fiscale, doveva ritenersi applicabile anche alle proposte avanzate prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008, poichè al momento della decisione del tribunale sull’omologa, in materia di transazione fiscale era ormai consentita ex lege soltanto una dilazione nel pagamento dell’IVA.

STAER ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso, mentre il creditore opponente SIT s.p.a. non ha spiegato difese.

La ricorrente ha illustrato il ricorso con memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo STAER deduce violazione dell’art. 100 c.p.c., avendo già eccepito in sede di reclamo la carenza di interesse all’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, in quanto in caso di fallimento l’Erario avrebbe ricevuto una percentuale di soddisfacimento dei propri crediti, di certo, inferiore a quella proposta in sede concordataria.

Con il secondo motivo assume la nullità del provvedimento impugnato, per omessa pronuncia sull’eccezione concernente il difetto di interesse ad agire da parte della reclamante.

Con il terzo motivo deduce violazione della L. Fall., art. 182-ter, comma 1, nel testo ratione temporis applicabile, come introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, per avere la corte d’appello ritenuto che ove il debitore proponga una transazione fiscale, nell’ambito di un concordato preventivo, il credito IVA non possa in nessun caso essere oggetto di pagamento parziale.

Con il quarto motivo denuncia ulteriore violazione della L. Fall., art. 182-ter, comma 1, nel testo modificato dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 32, comma 5, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, considerato che il giudice di merito ha erroneamente ritenuto la nuova disciplina applicabile anche alle transazioni fiscali proposte precedentemente all’entrata in vigore della detta novella.

2. Il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente stante il medesimo oggetto, sono infondati.

E’ qui sufficiente ricordare – a tacere di ogni altra considerazione – che la regola dell’art. 100 c.p.c., a norma della quale per proporre una domanda, o per resistere ad essa, è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, nel senso che l’interesse ad impugnare presuppone una soccombenza, anche parziale, intesa in senso sostanziale e non formale (Cass. 04/05/2012, n. 6770).

Nella vicenda all’esame della Corte, allora, non è seriamente dubitabile l’interesse dell’Agenzia delle Entrate ad impugnare il decreto di omologa del concordato preventivo proposto dalla STAER, per l’assorbente considerazione che essa era risultata integralmente soccombente nel relativo giudizio di omologa, in seno al quale aveva spiegato formale opposizione, L. Fall., ex art. 180, in qualità di creditore dissenziente.

3. Il terzo e il quarto motivo, avvinti da comune oggetto, sono infondati, anche se la motivazione della corte d’appello merita una correzione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., per come si dirà.

3.1. Com’è noto, la disciplina sulla transazione fiscale ha subito plurime novelle nel corso dell’ultimo decennio.

In particolare, la L. Fall., art. 182 ter, comma 1, nel testo originario introdotto dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, ed efficace a decorrere dal 16 luglio 2006, stabiliva che “con il piano di cui all’art. 160 il debitore può proporre il pagamento, anche parziale, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”.

Il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 32, comma 5, lett. a), convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), con effetto dal 29 novembre 2008, ha sostituito tale testo con il seguente: “con il piano di cui all’art. 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonchè dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea; con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”. Ancora, il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 29 convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, ha aggiunto dopo le parole “all’imposta sul valore aggiunto”, le parole “ed alle ritenute operate e non versate”.

Infine, la L. 11 dicembre 2016, n. 232, art. 1, comma 81, in vigore dal 1 gennaio 2017, ha integralmente novellato la L. Fall., art. 182-ter disponendo oggi senz’altro, al comma 1, che “Con il piano di cui all’art. 160 il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo, può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonchè dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, se il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista in possesso dei requi s.i di cui all’art. 67, comma 3, lett. d)”.

3.2. Pronunciandosi su questione di massima di particolare importanza, di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che la L. Fall., art. 182-ter, comma 1, nel testo risultante dalla modifica introdotta dal D.L. n. 185 del 2008, art. 32, comma 5, lett. a), convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009, laddove esclude la falcidia sul capitale dell’IVA, così sancendo l’intangibilità del relativo debito, costituisce un’eccezione alla regola generale, stabilita dalla L. Fall., art. 160, comma 2, della falcidiabilità dei crediti privilegiati, compresi quelli relativi ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, e trova, quindi, applicazione solo nella speciale ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale (Cass. s.u. 27/12/2016, n. 26988).

Già in precedenza, del resto, questa Corte aveva precisato che l’imprenditore che propone una domanda di concordato preventivo e, contestualmente, faccia ricorso alla transazione di cui alla L. Fall., art. 182-ter ricomprendendovi anche i crediti IVA, non può offrire il pagamento di tali crediti in misura falcidiata, ancorchè debbano essere integralmente degradati a chirografo per mancanza assoluta dei beni su cui possano essere soddisfatti, ostandovi il disposto del comma 1 della norma, che – con previsione già ritenuta costituzionalmente legittima perchè configurante il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo (Corte Cost. 25/07/2014, n. 215) -, ne consente la sola dilazione (Cass. 22/09/2016, n. 18561).

Ancora, con sentenza del 7 aprile 2016 in causa C-546/14 la Corte di Giustizia UE ha dichiarato che l’art. 4, par. 3, TUE nonchè gli art. 2, art. 250, par. 1, e art. 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA, non ostano a una normativa nazionale come la legge fallimentare italiana – interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’IVA “attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento”.

3.3. Così descritta l’evoluzione del complesso quadro normativo e giurisprudenziale sviluppatosi intorno all’istituto in esame, va anzitutto evidenziato che la corte d’appello ha sicuramente errato, laddove ha ritenuto che la disciplina applicabile al concordato in esame fosse quella prevista dalla L. Fall., art. 182-ter come novellato dal D.L. n. 185 del 2008, solo perchè al momento dell’omologa della proposta avanzata dalla ricorrente era sopravvenuta siffatta disciplina.

3.4. Al contrario, trattandosi di norma sopravvenuta nel corso del procedimento, di cui non era prevista espressamente la retroattività, va data continuità all’orientamento di questa Corte, a tenore del quale il principio della irretroattività della legge – sancito dall’art. 11 preleggi – comporta che la nuova norma non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso (Cass. 02/08/2016, n. 16039).

E nella vicenda qui all’esame, poichè la transazione fiscale fu sottoposta al voto dei creditori (all’adunanza del 30 ottobre 2008), quando era ancora in vigore la vecchia disciplina (essendo la riforma dell’istituto divenuta efficace soltanto il successivo 29 novembre 2008), nè potendo il debitore, ai sensi della L. Fall., art. 175c.p.c., comma 2 – nel testo all’epoca vigente -, proporre modifiche di sorta alla proposta dopo la celebrazione dell’adunanza, il concordato in esame, compresa la transazione ad esso collegata, deve ritenersi regolato dalla L. Fall., art. 182-ter nella sua primitiva versione introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006.

3.5. Resta tuttavia ancora da stabilire se la regola della infalcidiabilità dell’IVA, di sicuro confinata nell’ambito della transazione fiscale ed espressamente imposta per il periodo in cui è stato in vigore il testo della L. Fall., art. 182-ter, come novellato dal D.L. n. 185 del 2008 – id est dal 29 novembre 2008 fino al 31 dicembre 2016 -, debba trovare applicazione anche alle transazioni fiscali proposte nell’ambito di concordati preventivi depositati durante la vigenza della ridetta norma, nel testo originario introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, vale a dire dal 16 luglio 2006 e fino al 28 novembre 2008.

3.6. Orbene, questa Corte ha già in precedenza affermato che l’istituto di cui al novellato L. Fall., art. 182-ter, prevedendo che la proposta, quanto al credito IVA, può configurare solo la dilazione del pagamento, avrebbe introdotto l’intangibilità del predetto debito d’imposta anche per le procedure cui non era applicabile ratione temporis il D.L. n. 185 del 2008, art. 32 ponendosi in sostanza la detta riforma su un piano di continuità con il primitivo dettato legislativo, chiarendone e confermandone l’interpretazione a favore della cd. infalcidiabilità per tutti i tributi costituenti “risorse proprie dell’Unione europea” (Cass. 04/11/2011, n. 22931; Cass. 16/05/2012, n. 7667).

3.7. Ritiene il Collegio che, pure tenendo conto della richiamata evoluzione giurisprudenziale culminata nel recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, l’originario L. Fall., art. 182 ter, comma 1, debba essere interpretato nel senso di ritenere che l’IVA, in quanto “risorsa propria” dell’Unione europea, fosse già allora sottratta alla falcidia concordataria nell’ambito di una transazione fiscale.

Invero, malgrado le incertezze alimentate dal legislatore interno, prima con la ricordata novella della L. Fall., art. 182-ter introdotta dal D.L. n. 185 del 2008 e poi con la L. 27 gennaio 2012, n. 3, art. 7 sulle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, come novellato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 18convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – dove “l’imposta sul valore aggiunto” è elencata accanto ai “tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”, come a presupporne una differenziazione -, la normativa eurounitaria appare univoca nel ricondurre l’IVA tra le risorse proprie dell’Unione.

In particolare, la Decisione del Consiglio dell’Unione europea del 29 settembre 2000, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (2000/597/CE, Euratom), vigente all’epoca dell’introduzione nel nostro ordinamento della L. Fall., art. 182-ter come pure peraltro le successive decisioni del Consiglio 7 giugno 2007 (2007/436/CE, Euratom) e 26 maggio 2014 (2014/335/UE, Euratom) all’art. 2, comma 1, lett. c), stabiliva seccamente che costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione europea le entrate provenienti “dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole comunitarie”.

E ancora, proprio la disciplina comunitaria armonizzata in materia di IVA ha inteso fare rientrare pacificamente detto tributo nell’ambito delle risorse comunitarie, come si evince dall’ottavo considerando della vigente Direttiva del Consiglio UE del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (2006/112/CE), dove si legge che “il bilancio delle Comunità europee, salvo altre entrate, è integralmente finanziato da risorse proprie delle Comunità. Dette risorse comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’IVA, ottenute applicando un’aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie”.

Infine, anche la Corte di Giustizia UE nella cennata sentenza 7 aprile 2016 (causa C-546/14), ha perentoriamente affermato che “Le risorse proprie dell’Unione comprendono, in particolare, ai sensi dell’art. 2, par. 1, della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU L 163, pag. 17), le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione. Sussiste quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, poichè qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde”.

3.8. Deve allora ritenersi che, introducendo nell’ordinamento l’istituto della transazione fiscale, il legislatore delegato del 2006, abbia inteso fin da subito escludere nell’ambito della ridetta procedura la falcidiabilità dell’IVA, trattandosi di risorsa propria dell’Unione europea, salvo poi a puntualizzare, con l’entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008, art. 32, comma 5, lett. a), che il detto tributo andava espressamente ricompreso tra quelli assolutamente infalcidiabili, anche al fine di assicurare il rispetto dell’art. 2, dell’art. 250, par. 1, e art. 273 della direttiva 2006/112/CE, che, com’è noto, per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia UE impongono agli Stati membri di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio; con la precisazione che, sempre nel novero dei tributi non soggetti a falcidia, solo per l’IVA (e successivamente pure per le “ritenute operate e non versate”) il debitore proponente poteva formulare una proposta che prevedesse almeno la dilazione del relativo pagamento.

3.9. In definitiva, avendo la società ricorrente proposto un concordato preventivo con transazione fiscale, nella vigenza dell’originario testo della L. Fall., art. 182-ter, che prevedeva la falcidia dei crediti IVA vantati dall’Agenzia delle Entrate in violazione di quest’ultima disposizione, correttamente la Corte d’appello di Roma ne ha respinto la domanda di omologa.

4. Le spese del giudizio di legittimità, avuto riguardo alla oggettiva complessità delle questioni trattate, possono andare compensate integralmente tra le parti.

PQM

 

Respinge il ricorso.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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