Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21470 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21470 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 28456-2011 proposto da:
CANGIALEONI

CRISTIANO

(c.f.

CNGCST68R15F205E),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RUGGERO
FAURO 43, presso l’avvocato PETRONIO UGO, che lo

Data pubblicazione: 19/09/2013

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PINZA
ROBERTO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente
contro

ALFAMACCHINE DI RAFFONI G. & C. S.R.L. (C.F./P.I.
03100160401), in persona del legale rappresentante

1

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CELIMONTANA 38, presso l’avvocato PANARITI PAOLO,
é

che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ROLI FRANCESCO, giusta procura a
margine del controricorso;

contro

RUSCELLI CRISTIANO, MERCURIALI BARBARA, FALLIMENTO
DI RUSCELLI CRISTIANO, FALLIMENTO CANGIALEONI
CRISTIANO, FALLIMENTO DI NAUTIC SERVICE DI RUSCELLI
CRISTIANO & C. IN LIQUIDAZIONE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1282/2011 della CORTE
D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 24/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 29/05/2013 dal Consigliere
Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato PETRONIO che
si riporta;

– controricorrente –

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per l’inammissibilità, in subordine rigetto del
ricorso.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 24.10.011, ha respinto il reclamo
proposto da Cristiano Cangialeoni contro la sentenza del Tribunale di Forlì che, ai
sensi dell’art. 147 I. fall., aveva dichiarato il suo fallimento in estensione di quello
della Nautic Service s.a.s. di Ruscelli Cristiano & C., quale socio accomandante

La corte territoriale, dopo aver affermato che anche alla luce del nuovo testo dell’art.
147 I. fall., così come novellato dal d. Igs. n. 5/06, è assoggettabile a fallimento il
socio accomandante che, violando il divieto di cui all’art. 2320 c.c., perda il beneficio
della responsabilità limitata, ha riesaminato il materiale istruttorio acquisito agli atti,
traendone il convincimento che vi fosse ampia prova del compimento da parte del
Cangialeoni di atti di gestione della Nautic Service.
La sentenza è stata impugnata da Michele Cangialeoni con ricorso per cassazione
affidato a tre motivi ed illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso,
anch’esso illustrato da memoria, la creditrice istante Alfamacchine di Raffoni G. & C.
s. r. I.
Il curatore dei Fallimenti della Nautic Service s.a.s, di Ruscelli Cristiano e di
Cangialeoni Michele e l’altra creditrice istante, Barbara Mercuriali, non hanno svolto
attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo di ricorso Michele Cangialeoni denuncia violazione degli artt. 1
e 147 I. fall., 2320 c.c., 14 preleggi e 3 Cost.
Sostiene che il disposto dell’art. 147 I. fall., secondo cui la sentenza che dichiara il
fallimento di una s.n.c., di una s.a.s. o di una s.a.p.a. produce anche il fallimento dei
soci illimitatamente responsabili, va applicato unicamente ai soci la cui responsabilità
illimitata appartenga alla normativa del tipo societario e non a qualsiasi socio che,
per evenienze varie, si trovi a rispondere, in tutto o in parte, delle obbligazioni sociali.
A dire del ricorrente, pertanto, il fallimento della s.a.s. si estende al socio

indebitamente ingeritosi nell’amministrazione della società.

accomandatario, ma non all’accomandante che si sia ingerito della gestione sociale,
la cui responsabilità illimitata è solo eventuale e accidentale.
A sostegno del proprio assunto, Cangialeoni richiama la giurisprudenza di questa
corte che, nel vigore del testo dell’art. 147 I.fall. non ancora riformato dal d. Igs. n.
5/06, ha sempre escluso la fallibilità del socio unico di società di capitali, sul rilievo

illimitatamente responsabili e che la previsione della responsabilità illimitata
dell’unico azionista o quotista non si ricollega alla tipologia sociale, quanto, piuttosto,
a particolari ipotesi tassative di legge correlate alla violazione di obblighi sociali e
deroganti il regime di responsabilità esclusiva della società. Rileva che tali principi
ben possono essere applicati anche al socio accomandante, che non assume
responsabilità illimitata né per la natura del tipo societario né per contratto sociale,
che non è titolare del potere di gestione e che risponde verso i terzi delle
obbligazioni sociali solo nel caso in cui abbia violato il divieto di immistione. Deduce,
ancora, che in tal senso depone anche la nuova formulazione dell’art. 147, così
come modificato dalla legge di riforma, che esclude espressamente il fallimento in
estensione del socio unico di società di capitali illimitatamente responsabile, ai sensi
degli artt. 2325 co. 2 e 2462 co. 2 c.c., ed osserva che, secondo quanto sostenuto
dalla dottrina maggioritaria, la norma è espressione di una più generale volontà
legislativa di non coinvolgere nel fallimento i soci che non sono sempre
illimitatamente responsabili, ma lo divengono soltanto nel momento in cui infrangono
le regole del tipo societario cui appartengono. Aggiunge che mentre, dopo la riforma
del diritto societario, per il socio unico di società di capitali il regime di responsabilità
illimitata è contemplato come uno dei modi dell’ atteggiarsi del suo rapporto con la
società, per l’accomandante ingeritosi nella gestione tale regime discende solo dalla
violazione di un divieto ed è causa di esclusione dalla s.a.s. ai sensi dell’art. 2286
c.c. Deduce, inoltre, che l’art. 147 è sicuramente norma eccezionale, insuscettibile
di applicazione analogica od estensiva, e che è priva di rilievo l’ulteriore ratio posta

che la norma si applica solo alle società in cui esistono istituzionalmente soci

dalla corte di merito a fondamento della decisione, che risiede nella rilevata
limitazione del periodo temporale nel quale il socio unico di società di capitali
risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali e dalla conseguente diversità della
massa passiva, rispetto a quella sociale, che conseguirebbe al suo fallimento.
Il motivo deve essere respinto.

pienamente condivisa, nel vigore del testo dell’art. 147 I. fall. anteriore alle
modifiche apportatevi dal d. Igs. n. 5/06 non si è mai dubitato che il fallimento di una
s.a.s. potesse estendersi al socio accomandante ingeritosi nella gestione, atteso
che, nelle società di persone, la fallibilità del socio è la regola e la limitazione della
responsabilità del socio accomandante un’eccezione, la quale suppone il rispetto
della rigida distinzione tra titolarità e gestione dell’impresa, in conformità del modello
legale. Per contro, come ricordato dallo stesso ricorrente, pur nel regime anteriore
alla novella, in cui la lettera del 1° comma dell’art. 147 si limitava a prevedere che il
fallimento della società con soci a responsabilità limitata produceva il fallimento
anche di questi ultimi, senza operare apparenti distinzioni fra società di persone e
società di capitale, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto
incompatibile la disposizione con il principio, connaturato alle società di capitale,
della limitazione di responsabilità del socio, anche con riferimento ai casi in cui, per
vicende particolari previste dalla legge, la limitazione possa venir meno.
Il d. Igs, n. 5/06, che ha modificato il 1° comma della norma prevedendo
espressamente l’estensione del fallimento del socio illimitatamente responsabile per
le sole società in nome collettivo e in accomandita (semplice o per azioni), ha di fatto
recepito tale secondo insegnamento giurisprudenziale, ma non ha in alcun modo
inciso sul primo, che anzi viene ad essere rafforzato dalla modifica: se davvero,
come sostenuto dal ricorrente, il legislatore della novella avesse inteso riferirsi
soltanto ai soci la cui responsabilità illimitata sia strutturalmente legata alla
costituzione della società, risulterebbe infatti incomprensibile la mancata previsione

Come già rilevato da questa corte con la sent. n. 22256/012, le cui motivazione va

della non fallibilità in estensione dell’accomandante che ha violato il divieto di
immistione.
Al contrario, poiché si tratta di socio illimitatamente responsabile ai sensi dell’art.
2230 c.c., la norma (senza che si renda necessaria una sua interpretazione
estensiva od analogica) non solo non ne esclude la fallibilità, ma la afferma.

c.c. 115 c.p.c., 33 I. fall., 24 e 111 Cost., nonché vizio di motivazione, Cangialeoni
nega che sia emersa la prova della sua ingerenza nella gestione sociale e contesta
la rilevanza, a tal fine, di ciascuna delle risultanze istruttorie sulle quali la corte
territoriale ha fondato la decisione. Lamenta, inoltre, la mancata ammissione dei
capitoli di prova testimoniale articolati a confutazione degli elementi emersi a suo
carico.
Il motivo non merita accoglimento.
Va innanzitutto rilevato che, anziché evidenziare gli errori di diritto nei quali il giudice
del merito sarebbe incorso nell’applicazione degli articoli che regolano la formazione
della prova, o sollevare problemi di interpretazione delle disposizioni che assume
violate, il ricorrente si duole dell’errata valutazione dei fatti sottoposti all’esame della
corte territoriale, e pertanto si limita a sindacare la sentenza sotto il profilo del vizio di
motivazione.
Esaminata sotto tale profilo, la censura risulta inammissibile.
La corte di merito ha compiuto una minuziosa disamina di tutte le, molteplici,
circostanze acquisite agli atti del giudizio che deponevano per l’ingerenza del
Cangialeoni nella gestione della società (la trattativa condotta per iscritto dal
ricorrente, per conto di Nautic Service, per la locazione di un capannone industriale
da destinare a nuova sede della società; la sottoscrizione di un allegato, contenente
l’elenco delle opere e delle modifiche che avrebbero potuto essere apportate
all’immobile senza obbligo di ripristino, integralmente trasfuso nel contratto definitivo;
il convincimento del legale rappresentante della locatrice di trattare con la s.a.s.,

2) Col secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 2320, 1387, 1399 , 2697

desumibile dall’immediato avvio dei lavori di modifica, prima della stipula del
definitivo; l’inesistenza di una procura conferita dall’accomandatario al Cangialeoni
per l’affare, ancorché l’operato dell’accomandante fosse stato successivamente
ratificato dalla società; la deposizione del teste Monti, titolare di un ditta cui
Cangialeoni si era rivolto per l’acquisto di macchinari da adibire all’esercizio

l’accomandante le condizioni di una polizza assicurativa della s.a.s.; l’invio da parte
del Cangialeoni di lettere, fax e mails ai creditori di Nautic Service per concordare un
piano di rientro), esponendo – con motivazione esaustiva e nella quale non è dato
ravvisare contraddizioni o deficienze aventi rilevanza causale decisiva sulle
conclusioni raggiunte – le ragioni del proprio convincimento.
E il ricorrente, lungi dall’evidenziare le contraddizioni che inficiano il ragionamento
probatorio su cui si fonda la decisione, dall’indicare la decisività delle circostanze
che il giudice del merito avrebbe omesso di considerare o dal chiarire in qual modo,
e sotto quali esatti profili, l’iter argomentativo seguito dalla corte territoriale non
rispetterebbe i canoni della sufficienza e della coerenza, muove una serie di
doglianze che si risolvono nella richiesta di sostituire all’interpretazione delle
risultanze istruttorie compiuta dal giudice a quo la propria personale interpretazione.
Le doglianze, infatti, attengono alle medesime questioni già dedotte dal Cangialeoni
nei precedenti gradi del giudizio e già respinte dalla corte bolognese in base a
valutazioni di merito non sindacabili nella presente sede (ad es.: la corte ha ritenuto
irrilevante il fatto che il ricorrente avesse sottoscritto il preliminare di locazione del
capannone e l’elenco allegato delle modifiche da eseguire nell’immobile in proprio, e
non in nome e per conto di Nautic Service, a fronte dell’integrale recepimento del
contenuto dei documenti nel contratto definitivo e dell’avvio delle opere di
ristrutturazione da parte della locatrice ancor prima che il contratto venisse stipulato,
che dimostravano che il Cangialeoni aveva condotto le trattative per conto della
società e che i suoi interlocutori fossero di ciò convinti; ha ritenuto inequivoche le

dell’impresa; la dichiarazione di un agente della Zurich Ass,ni di aver concordato con

dichiarazioni del teste Monti e dell’agente assicurativo; ha accertato che
l’accomandante era solito presentarsi quale soggetto titolare del potere di trattare per
la s.a.s. sulla scorta di una molteplicità di documenti il cui esatto contenuto non è
stato neppure richiamato nel ricorso).
Trova dunque applicazione il principio, ripetutamente enunciato da questa corte,

possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da
quella operata dal giudice del merito o che siano attinenti alla difforme valutazione
delle prove da questi operata, rispetto a quella pretesa dalla parte (Cass. nn.
17901/010, 10657/010, 7992/07, 12467/03).
Il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza non può infatti spingersi fino
alla rielaborazione del giudizio di fatto espresso dal giudice del merito, alla ricerca di
una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, solo perché
ritenuta la migliore possibile (Cass. n. 21153/010), non essendo in discussione la
giustizia o meno della decisione, ma la presenza di difetti sintomatici di una possibile
decisione ingiusta, che tali possono ritenersi solo se l’errore oggetto di possibile
rilievo in cassazione abbia avuto adeguata incidenza causale sulla stessa (Cass. nn
12468/03, 7635/03, 5235/01).
La censura, poi, è inammissibile anche nella parte in cui il ricorrente lamenta la
mancata ammissione delle prove orali richieste, senza riportarle nel motivo e senza
indicare gli atti di causa o i verbali d’udienza in cui le avrebbe articolate.
3) Palesemente infondato, alla luce dell’accertamento compiuto dal giudice del
merito in ordine alla sistematica e protratta ingerenza del Cangialeoni
nell’amministrazione della società, é infine il terzo motivo di censura, con il quale il
ricorrente contesta che l’eventuale compimento da parte sua di singoli atti di
gestione abbia comportato violazione del divieto di cui all’art. 2320 c.c.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

secondo cui i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali in favore di Alfamacchine di Raffoni G & C. s.r.I., che liquida in € 5.200,
di cui € 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Roma, 29 maggio 2013.

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