Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2147 del 29/01/2021

Cassazione civile sez. III, 29/01/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 29/01/2021), n.2147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28140-2019 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MANZONI, 81,

presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA CONSOLO, che lo rappresenta

e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

nonchè contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 545/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. RUBINO LINA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1- D.M. propone ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 545/2019, pubblicata il 15 marzo 2019, con la quale si è confermato il diniego di tutte le varie forme di protezione internazionale richieste;

2. – il ricorrente, proveniente dal Mali, riporta nel ricorso la propria vicenda. Egli, come riferito già alla Commissione territoriale, lasciava la propria regione di origine, nel Mali del sud, per essere lì stato minacciato e ferito dai propri cugini. Si trasferiva nel Nord del Mali (nella città di Gao), ove si trovava coinvolto nel conflitto armato in atto in tale zona nonchè minacciato dagli islamisti per aver preso le misure per un vestito ad una donna nell’ambito del proprio asserito mestiere di sarto. Per giungere in Italia transitava attraverso il Niger e la Libia;

3. – impugnava il diniego della Commissione territoriale innanzi al Tribunale di Catanzaro. Il Tribunale non riteneva necessaria una nuova audizione del ricorrente; rigettava la domanda, reputando inattendibili e inverosimili le dichiarazioni del ricorrente ed escludendo che nella regione di provenienza del D. vi fosse una situazione di conflitto armato in atto;

4. – il ricorrente appellava la decisione del Tribunale specificando che nel valutare la sicurezza del paese d’origine sia la Commissione che il Tribunale avevano esclusivamente citato il rapporto UNHCR, non prendendo in considerazione – come avrebbe dovuto – gli orientamenti del Consiglio dell’unione Europea e le dichiarazioni dell’ACNUR;

5. – la Corte d’appello rigettava l’impugnazione perchè riteneva incoerenti e inverosimili le dichiarazioni del ricorrente e sufficientemente sicura la sua zona di provenienza (Sud-Ovest del Mali, non interessata da conflitti). Il giudice d’appello motivava rilevando, in primo luogo, che il ricorrente aveva avuto la possibilità di esporre con chiarezza alla Commissione territoriale i motivi per cui aveva lasciato il Mali e che comunque i fatti rilevanti ai fini processuali avrebbero dovuto essere allegati con gli atti difensivi, e non demandati al libero interrogatorio. La Corte d’appello procedeva poi illustrando lungamente le condizioni sociali e politiche del Mali. Aggiungeva che, quand’anche si fosse ritenuta credibile la vicenda, non vi sarebbero state ragioni atte ad impedire al ricorrente di non rientrare nella zona di origine (sud ovest del Mali) e richiedere aiuto alle autorità maliane.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

6. – con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 3: censura la sentenza impugnata per non aver la corte d’appello compiuto lo scrutinio sulla credibilità del richiedente la protezione alla luce dei parametri individuati in modo tassativo dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e per non aver fatto uso, nel valutare la domanda del richiedente, dei poteri di cooperazione istruttoria; denuncia la mancata audizione dinanzi al tribunale e alla corte d’appello.

Il motivo è infondato.

Per quanto concerne l’audizione del richiedente la protezione internazionale, dinanzi alla autorità giudiziaria essa è necessaria, a pena di nullità, se a questi, nella fase amministrativa, non sia stata data la facoltà di essere sentito o se il verbale del colloquio, ove avvenuto, non sia stato reso disponibile (Cass. n. 15318 del 2020); se il richiedente è stato invece regolarmente ascoltato dalla Commissione e della attività svolta sia stato trasmesso il verbale, può chiedere di essere nuovamente ascoltato di persona, in sede giurisdizionale, davanti al tribunale o alla corte d’appello, e l’opportunità di disporne o meno l’audizione va valutata dal giudice caso per caso, sulla base delle circostanze che il richiedente allega di essere in grado di meglio chiarire ove ascoltato direttamente dal giudice. Per questo motivo, in tema di protezione internazionale è nullo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, il provvedimento del giudice di merito che, in assenza della videoregistrazione del colloquio del richiedente innanzi alla Commissione territoriale, fissi l’udienza di comparizione escludendo, in via preventiva, la necessità di procedere all’audizione del cittadino straniero (in questo senso Cass. n. 15954 del 2020, che precisa anche che, in tal caso è onere di quest’ultimo procedere all’immediata contestazione della nullità, ex art. 157 c.p.c., comma 2, dovendosi, in difetto, ritenere integrata la sanatoria del vizio.

La corte d’appello non si è discostata da questi principi: nel caso di specie, la rinnovazione della audizione è stata ritenuta superflua per non aver il ricorrente adempiuto al suo onere di allegazione indicando quali circostanze, decisive, non era stato in grado di esporre efficacemente ed avrebbe potuto sottoporre, ove nuovamente ascoltato, al giudizio della Corte. Neppure in questa sede il ricorrente esce da una prospettazione del tutto generica, non specificando quali aspetti della sua narrazione sarebbe stato in grado di chiarire ove nuovamente ascoltato.

La vicenda narrata è stata ritenuta innanzi tutto poco credibile, ed anche sostanzialmente irrilevante, perchè facente riferimento ad un episodio di violenza tra privati per il quale il ricorrente neppure aveva fatto denuncia alla polizia. In ciò, la decisione della corte d’appello non si è discostata dal principio di diritto già affermato da questa Corte secondo il quale richiamando Cass. n. 9043 del 2019: “Le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b)”.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Censura la sentenza impugnata per non aver adeguatamente valutato nella motivazione le gravi ragioni di ordine umanitario e le condizioni di vulnerabilità del richiedente alla luce del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 a causa dell’omesso esame di un fatto decisivo della controversia.

Sviluppa il motivo lamentando che non gli sia stato chiesto nulla del suo percorso in Libia, e sottolinea che in tale paese violenza fisica e verbale, tortura, maltrattamenti, malnutrizione, scarsa igiene, sono accadimenti ordinari che si ripercuotono sulla situazione psico-fisica del migrante e ne determinano una particolare vulnerabilità. E tuttavia, la censura in primo luogo non evidenzia se la questione delle sofferenze patite durante il transito in Libia sia stata introdotta all’interno del giudizio di merito dal ricorrente e non adeguatamente considerata dal giudice, rimanendo perciò inammissibile, ed inoltre è generica, non contenendo alcun riferimento ad episodi specifici che differenzino, caratterizzandone la particolare vulnerabilità, la posizione del ricorrente da quella dei moltissimi migranti che sono costretti ad attraversare la Libia come corridoio di passaggio necessitato alla volta dell’Europa. Il motivo va quindi dichiarato infondato in conformità al principio di diritto secondo il quale nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, ma tale profilo può essere valutato solo ai fini della ricostruzione della vicenda individuale e, di conseguenza della credibilità del dichiarante (Cass. n. 2861 del 2018.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2021

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