Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21469 del 21/10/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21469 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 12842-2014 proposto da:
BILELLO PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
DELL’ERBA, rappresentato e difeso dall’avvocato ORONZO DE
DONNO domiciliato presso la Corte di Cassazione, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente contro
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 in persona del legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato DORA DE
ROSE, rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO POLLIO
giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –

52A1
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Data pubblicazione: 21/10/2015

avverso la sentenza n. 1208/2013 della CORTE D’APPELLO di
MILANO del 17/10/2013, depositata il 12/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
I

09/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

Ric. 2014 n. 12842 sez. ML – ud. 09-07-2015
-2-

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9.7.2015, ai sensi
dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis
c.p.c..
“La Corte di appello di Milano, con sentenza del 12.11.2013, rigettava il gravame proposto
da Bilello Paolo avverso la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda del

la spa Poste Italiane, per il periodo dal 1.2.2008 al 31.3.2008, ai sensi dell’art. 2, comma
lbis, del d. Igs. 368/2001, per lo svolgimento di attività di smistamento.
La Corte, per quel che specificamente rileva nel presente giudizio, sul presupposto della
sua correttezza, confermava la decisione di primo grado che aveva accolto l’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso, posto che nella specie il contratto risultava
scaduto il 31.3.2008 e che l’impugnazione era stata proposta soltanto il 18.1.2011, dopo
ben quasi tre anni, intervallo di tempo non modesto, dalla scadenza del termine e che altre
significative circostanze connotavano la inerzia del lavoratore, quali la natura delle
mansioni svolte, inidonee a denotare una particolare specializzazione del predetto e la
breve durata del contratto. Veniva considerato, altresì, che l’art. 32, cc. 1 e 3, lett d) della
I. 183/2010 aveva previsto l’esercizio dell’azione di nullità del termine apposto ad un
contratto di lavoro entro 330 giorni dalla relativa scadenza e che tale norma, benchè non
applicabile ratione temporis, indicava come parametro un limite temporale che consentiva
di considerare l’inerzia protrattasi oltre di esso come volontà di risoluzione dei rapporto di
lavoro.
Per la cassazione della decisione ricorre il Bilello, affidando l’impugnazione ad unico
motivo, cui resiste, con controricorso, la società Poste Italiane.
Il ricorrente denunzia violazione dell’ artt. 1372 c. c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc„
osservando che la giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che per la
configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso è necessario accertare la presenza
di una volontà chiara e certa delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto, non
essendo apprezzabile né l’inerzia dell’interessato se mantenuta nei limiti dei termini di
decadenza o di prescrizione, né la ricerca di nuovo lavoro. Evidenzia pertanto che la
Corte di Milano non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto che la stessa ha
dichiarato di volere applicare, conferendo rilevanza, ai fini della risoluzione del rapporto,
unicamente alla circostanza del decorso dei tempo ai fini di determinare una volontà
abdicativa del lavoratore all’impugnazione del contratto di lavoro. Osserva che nemmeno

predetto intesa a far valere la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con

può ritenersi convincente la parametrazione del decorso del tempo ai termine per
l’impugnazione previsto dall’art. 32 co. 1 e 3 lett. d) della I. 183/2010, sia in ragione della
considerazione che viene conferita rilevanza e preminenza al solo elemento del decorso
del tempo, che non è di per sé solo decisivo ai fini considerati, sia perchè la norma
invocata non è applicabile al caso in esame, non costituendo una norma di carattere
imperativo con riferimento al mutuo consenso, ma solo con riferimento ad un termine

della prescrizione per il quale, nel caso in esame, il termine relativo non era ancora
decorso e nemmeno poteva darsi applicazione al citato art. 32
Il ricorso è fondato.
Invero, l’indirizzo consolidato di questa stessa Sezione (Cass. sez. lav. n. 5887
dell’11312011; Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010; Cass. sez. lav. n. 26935 del
10/11/08; Cass. sez. lav. n. 17150 del 24/6/08; Cass. sez. lav. n. 20390 del 28/9/07; Cass.
sez. lav. n. 23554 del 17/12/04; Cass. sez. lav. n. 17674 dell’1/12/02) — rispetto al quale
non si rinvengono ragioni di dissenso – è nel senso di ritenere che la mera inerzia del
lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a far
considerare sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto,
affinchè possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla
base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative — una
chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo, sicchè la valutazione del significato e della portata del complesso di
tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in
sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
D’altra parte, come è noto, l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto
al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è
consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale
del contratto per contrasto con nome imperative ex artt. 1418 e 1419, comma 2, c.c.
Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a
prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla
conversione “ex lege” per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero
decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione
giudiziale con può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera
inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante

massimo per l’impugnazione dei contratti a termine e si pone in contrasto con l’istituto

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dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle
parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente
valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso (v. Cass., 15/12/97 n. 12665;
Cass., 25/3/93 n. 824 e da ultimo Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010).
Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo
predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e

cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta
conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità
dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe “contra
legem” anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti.
Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo
consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione,
che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per
le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere
complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa della
parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v.
anche, sebbene risalenti, Cass., 2/12/2000 n. 15403; Cass., 20/4/98 n. 4003).
Tali non possono ritenersi le circostanze indicate dal giudice del gravame (in effetti solo il
decorso del tempo accompagnato dalla inerzia dei lavoratore ed il richiamo a norma sui
termini di impugnazione del Collegato Lavoro) che già in altre pronunce di questa Corte,
per il loro significato non univoco, non sono state apprézzate come fatti concludenti ai fini
della configurazione di una ipotesi di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

E’ il caso di precisare, infine, la irrilevanza in questa sede della riproposizione nel mezzo
delle argomentazioni contenute nel ricorso in appello a fondamento dei motivi di gravame

contraddittoriamente produrre, da solo e di per sé, anche un effetto di contenuto opposto,

articolati dal Bilello relativi alla asserita illegittimità delle causali addotte a giustificazione
della apposizione del termine al contratto di lavoro intercorso tra esso ricorrente e la
società, motivi sui quali la Corte di merito non si è pronunciata avendoli ritenuti assorbiti
dal rigetto del primo.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod. proc. civ., n. 5,
raccoglimento del ricorso, con cassazione della impugnata sentenza e rinvio alla Corte di
Appello da designarsi, la quale deciderà in conformità ai principi sopra affermati e sugli
altri motivi dell’ impugnazione già ritenuti assorbiti.

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Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al
decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. La società ha
depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, 2° comma, c.p.c.
Il Collegio ritiene di condividere il contenuto e le conclusioni della riportata relazione,
osservando che i rilievi svolti nella memoria non siano capaci di scalfire il contenuto della
suddetta relazione, sia sotto il profilo logico giuridico che con riguardo alla corretta

Alla stregua delle svolte considerazioni, deve pervenirsi all’accoglimento del ricorso del
Bilello.
Alla cassazione della decisione segue il rinvio della causa alla Corte di appello di Milano,
in diversa composizione, che, oltre a fare applicazione dei principi enunciati, provvederà
anche alla determinazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata decisione e rinvia, anche per le spese, alla
Corte di appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, in data 9.7.2015

applicazione di orientamenti giurisprudenziali consolidati nella stessa richiamati.

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