Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21468 del 19/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/08/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 19/08/2019), n.21468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23558-2018 proposto da:

FIERA ROMA S.R.L. in CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente ROMA, VIA DELLE TRE

MADONNE 8, presso lo studio degli avvocati DOMENICO DE FEO e MARCO

MARAZZA, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PAVAROTTI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO TANCA,

VINCENZO CASELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2241/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/05/2018 r.g.n. 356/2018;

IL P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

1. che la Corte di appello di Roma ha respinto il reclamo principale di Fiera di Roma s.r.l. in concordato preventivo e il reclamo incidentale di P.L. avverso la sentenza con la quale il giudice dell’opposizione aveva confermato la illegittimità del licenziamento intimato a P.L. nell’ambito della procedura collettiva ex lege n. 223 del 1991 e condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione del P. nel posto di lavoro ed al pagamento di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, quantificata in Euro 7.866,67 mensili, oltre accessori, nonchè al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegra;

1.1. che, per quel che ancora rileva, la Corte di merito ha ritenuto non giustificata la limitazione dei lavoratori da licenziare al solo ambito del soppresso Ufficio Estero al quale era addetto il P. osservando, in dichiarata adesione alla giurisprudenza di questa Corte, che al fine della legittimità di tale scelta si richiedeva la indicazione, nella comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, delle ragioni di tale limitazione e delle ragioni per cui la parte datrice non riteneva di ovviarvi con il trasferimento alle unità produttive vicine, prescrizioni in concreto non rispettate dalla odierna ricorrente; il giudice del reclamo, inoltre, ha individuato un ulteriore profilo di illegittimità del licenziamento nella inadeguata valutazione del profilo professionale del P., quale desumibile dalla pregressa complessiva esperienza lavorativa, profilo che attestava la ampia fungibilità dello stesso anche in relazione a compiti attinenti a diversi aspetti ed aree dell’attività dell’azienda, certamente conservati dopo il licenziamento; dalla prova orale era, infine, emerso che anche nel periodo successivo all’adibizione – a partire dall’aprile 2014 – all’Ufficio Esteri il P. aveva continuato ad occuparsi di eventi e congressi e che era rimasta priva di specifica contestazione l’allegazione del lavoratore in merito alla circostanza che, sulla base dei criteri di scelta, tenuto conto della complessiva anzianità di servizio, egli avrebbe prevalso su altri lavoratori mantenuti, invece, in servizio;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Fiera di Roma s.r.l. in concordato preventivo sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

3. che il PG ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

4. che entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di punti decisivi della controversia ed erronea dichiarazione di tardività delle allegazioni; deduce, inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

2. che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa interpretazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5, della L. n. 223 del 1991, art. 5 alla luce della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9. Assume il contrasto della sentenza impugnata con la giurisprudenza di legittimità che consente la limitazione della platea dei lavoratori da licenziare ad uno specifico reparto ed evidenzia essere inconfutabile, oltre che provato a livello documentale, che Fiera di Roma s.r.l. era stata costretta ad attuare un progetto di riduzione del personale di specifici settori dell’azienda al fine di ridurre i costi di gestione e che aveva indicato espressamente la ripartizione degli specifici profili professionali. Richiama a tal fine la comunicazione di apertura della procedura e assume la conformità alla stessa della scelta datoriale di limitare solo ad alcuni ambiti la scelta dei lavoratori da licenziare;

3. che il primo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi profili. Innanzitutto le censure di vizio di motivazione e violazione di legge sono articolate con modalità tali da determinare una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei che non consente di distinguere gli errori di diritto e l’errore attinente alla ricostruzione della fattispecie concreta sulla base delle risultanze di causa, in tesi ascritti alla sentenza impugnata (Cass. n. 26874 del 2018, Cass. n. 19443 del 2011);

3.1. che, in secondo luogo, posto che la decisione è frutto del concreto accertamento del giudice del merito il quale, sulla base delle risultanze in atti, ha ritenuto non giustificata la limitazione della platea dei lavoratori da licenziare all’ambito dell’ufficio al quale era addetto il P., ulteriormente evidenziando l’ampia fungibilità del relativo bagaglio professionale che ne consentiva la utilizzabilità in altri settori dell’azienda, non appare neppure astrattamente configurabile la prospettata violazione dell’art. 2697 c.c. che può porsi nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in applicazione della regola di giudizio basata sull’onere della prova, abbia individuato erroneamente la parte onerata;

3.2. che la doglianza con la quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è parimenti inammissibile in quanto, come chiarito da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo ha posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27000 del 2016) questioni neppure prospettate dalla odierna ricorrente; le critiche alla sentenza impugnata in quanto incentrate sulla valutazione del materiale probatorio risultano intrinsecamente inidonee alla valida censura della decisione, posto che l’accertamento di fatto alla base del decisum poteva essere incrinato, in conformità dell’attuale configurazione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo dalla deduzione di omesso esame di un fatto storico decisivo, oggetto di discussione tra le parti evocato nei rigorosi termini chiariti da Cass. Sez.Un. 8053 del 2014;

4. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile per la dirimente considerazione, che assorbe ogni ulteriore deduzione articolata dalla società ricorrente, che non è validamente censurata l’autonoma ratio decidendi costituita dalla ritenuta mancata esplicitazione, nella comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 1, comma 4, di apertura della procedura, delle ragioni della limitazione della platea dei lavoratori da licenziare ad alcuni settori soltanto, affermazione, peraltro, conforme alla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 203 del 2015, Cass. n. 22825 del 2009, Cass. n. 8474 del 2005). Parte ricorrente, infatti, pur sostenendo la errata interpretazione della comunicazione in oggetto, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non trascrive o espone per riassunto il relativo contenuto nè indica la specifica regola legale di interpretazione violata dal giudice di merito nel ricostruire il contenuto della comunicazione, come prescritto (Cass. n. 195 del 2016, Cass. n. 26174 del 2014, Cass. n. 22607 del 2014);

5. che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;

6. che sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, commi 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2019

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