Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21466 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.15/09/2017),  n. 21466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10052/2012 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore Dott.

G.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Palumbo n. 26,

presso l’avvocato Profili Armando, rappresentato e difeso

dall’avvocato Gaeta Claudio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,

– intimato –

avverso la sentenza n. 663/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/05/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

con atto di citazione notificato l’1 aprile 1995, la (OMISSIS) s.p.a. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, il Ministero dei Lavori Pubblici chiedendone la condanna al pagamento di quanto dovutole per l’esecuzione delle opere di costruzione di una caserma nel Comune di Montella (AV), costituenti oggetto del contratto di appalto stipulato inter partes il 5 marzo 1988;

il Tribunale adito, con sentenza definitiva n. 9516/2003, rigettava la domanda;

avverso tale decisione proponeva appello il Concordato Preventivo della (OMISSIS) s.p.a. (omologato dal Tribunale di Catania con sentenza del 10 agosto 1999), che veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 663/2011, depositata 11. marzo 2011, con la quale il giudice di seconde cure, pur riconoscendo all’impresa il compenso per i lavori non contabilizzati, l’equo compenso e la revisione prezzi, pronunciava, tuttavia, la risoluzione del contratto di appalto del 5 marzo 1988 per fatto e colpa dell’appaltatore, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., rigettando di conseguenza la domanda del medesimo di risarcimento dei danni derivanti dalle sospensioni dei lavori disposte dalla stazione appaltante; per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. (dichiarato nelle more del giudizio) nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (già Ministero dei Lavori Pubblici) affidato a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.;

l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Considerato che:

con il primo motivo di ricorso, il Fallimento (OMISSIS) s.p.a. – denunciando la violazione delle norme sulla Contabilità Generale dello Stato e del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 5 e segg. – lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto erroneamente ascrivibile all’impresa appaltatrice la risoluzione del contratto di appalto in data 5 marzo 1988;

la decisione di seconde cure osserva – sul punto – che la mancata ultimazione dei lavori da parte dell’impresa, dopo la seconda sospensione e la formulazione della seconda perizia di variante, non poteva ragionevolmente imputarsi all’inadeguatezza dei prezzi dedotta dall’appaltatrice ed all’antieconomicità dell’appalto, considerato che, sebbene fossero da riscontrarsi nello svolgimento dell’appalto “alcune anomalie e criticità (…) da addebitare a fatto dell’ente appaltante”, in ogni caso “l’apparato normativo all’epoca vigente avrebbe comunque consentito all’impresa la possibilità di rivalersi economicamente di qualsivoglia danno o nocumento derivante da tali anomalie e criticità” (p. 24);

pertanto, la mancata ripresa del lavori – nonostante l’iscrizione di riserve ed il riconoscimento economico delle stesse – era da reputarsi ingiustificata (p. 24);

ritenuto che:

i motivi posti a fondamento del ricorso debbano presentare, a pena di inammissibilità, i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 13259/2006; 5637/2006; 15952/2007), richiedendo l’illustrazione del singolo motivo, stante il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 18421/2009);

inoltre, il ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione di legge in relazione ad un intero corpo di norme (nella specie, l’art. 360 c.p.c., in tutti i suoi commi, le norme di Contabilità Generale dello Stato nel loro insieme, e pressochè tutto il R.D. n. 350 del 1895) sia inammissibile, precludendo al collegio di individuare la disposizione che si assume violata o falsamente applicata (Cass. S.U. 18/07/2013, n. 17555); nel caso di specie, per contro, il motivo in esame non sia conforme a tale prescrizioni, recando, invero, nell’intestazione il solo titolo “Sulla risoluzione contrattuale”, non seguito da altra specificazione, mentre l’indicazione del vizio denunciato si desume solo, alla fine dell’illustrazione della censura, dal generico ed onnicomprensivo riferimento alla “violazione dell’art. 360 c.p.c., in relazione alle norme della Contabilità Generale dello Stato ed R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 5 e segg.”, senza nessun’altra indicazione più specifica;

peraltro, neppure l’illustrazione del motivo colga la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, limitandosi il ricorrente a dedurre la sussistenza delle due sospensioni e ad allegare lo svolgimento anomalo e critico dell’appalto, senza prendere in alcun modo posizione sull’assunto della Corte di merito fondato sulle considerazioni del c.t.u. – secondo cui il sistema normativo in vigore all’epoca dei lavori avrebbe consentito all’impresa di valersi dell’eventuale antieconomicità dell’appalto;

il motivo sia, di conseguenza, inammissibile;

considerato che:

con il secondo e terzo motivo di ricorso, il Fallimento (OMISSIS) s.p.a. – denunciando la violazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 20 e della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 14 – si duole del fatto che la Corte d’appello abbia respinto la domanda di risarcimento danni per i maggiori oneri sopportati dall’impresa in conseguenza delle sospensioni dei lavori disposte dall’Amministrazione appaltante, nonchè di corresponsione degli interessi e della rivalutazione sulle somme riconosciute all’impresa appaltatrice;

nella specie, la Corte territoriale ha respinto la pretesa relativa al ristoro dei danni conseguenti alla sospensione dell’esecuzione dei lavori, peraltro non del tutto riconducibili a responsabilità dell’Amministrazione (p. 21), per mancanza di prova, non avendo l’impresa prodotto “nessuna documentazione giustificativa e probatoria dell’effettiva natura ed entità di tali oneri”, ed essendosi il c.t.u. limitato ad effettuare una mera liquidazione equitativa, ritenuta non condivisibile dalla Corte, in mancanza di prove sull’an debeatur;

quanto alle somme, a detta della istante dovute dalla stazione appaltante a titolo di interessi e rivalutazione monetaria, il giudice di seconde cure ha respinto la pretesa, affermando che l’impresa non aveva “specificamente allegato quante e quali rate di acconto sarebbero state pagate in ritardo, al fine di poter calcolare esattamente gli interessi”, talchè le somme riconosciute al riguardo dal c.t.u. a titolo di rivalutazione ed interessi non potevano essere riconosciute (p. 24);

ritenuto che:

i motivi posti a fondamento del ricorso – come dianzi detto devono presentare, a pena di inammissibilità, i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 13259/2006; 5637/2006; 15952/2007);

per contro, nel caso di specie, a fronte delle suesposte statuizioni della Corte d’appello, dall’esame dell’illustrazione dei singoli motivi di ricorso sia possibile evincere esclusivamente che il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente respinto la domanda relativa ai maggiori oneri sopportati dall’impresa per le sospensioni dei lavori disposte dall’appaltante (p. 15), sebbene la c.t.u. avesse comunque liquidato tale danno, e che l’impresa avrebbe avuto diritto agli interessi ed alla rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo di lavori non contabilizzati, equo compenso, revisione prezzi, ecc.;

dalle censure in esame non sia dato, per contro, desumere in alcun modo le ragioni per le quali la sentenza impugnata – in relazione al rilevato difetto di allegazione e di prova delle circostanze fattuali che avrebbero dovuto comportare il riconoscimento delle voci di danno in questione – sarebbe da considerarsi erronea in diritto o inadeguatamente motivata;

le doglianze si palesino, di conseguenza, del tutto generiche e non aderenti alle suesposte rationes decidendi della pronuncia di appello;

ritenuto che:

il ricorso, per tutte le ragioni suesposte, debba essere, di conseguenza, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’Amministrazione intimata nel presente giudizio.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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