Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21465 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. II, 27/07/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 27/07/2021), n.21465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 29952-2018 proposto da:

UNICREDIT LEASING S.P.A., in persona del procuratore speciale,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6, presso lo

studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI, rappresentato e difeso

dall’avvocato BRUNO GUARALDI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 19/2018 della CORTE

D’APPELLO di TORINO, depositato il 22/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

UNICREDIT LEASING S.p.A., già ISEFI S.p.A., ha proposto ricorso, nei confronti del Ministero della Giustizia, per la cassazione del decreto del 21 febbraio 2018 della Corte d’Appello di Torino, emesso nel procedimento di cui al R.G. n. 20 del 2018, n. 19/2018, pubblicato il 22 febbraio 2018 e non notificato.

Si è costituito il Ministero della Giustizia, depositando controricorso e chiedendo la declaratoria di inammissibilità e/o improcedibilità e/o infondatezza del ricorso.

Con il decreto impugnato, la Corte d’Appello di Torino respingeva l’opposizione della Unicredit s.p.a. nei confronti del decreto emesso dalla medesima Corte in composizione monocratica il 28 dicembre del 2017. Con tale decreto il consigliere delegato aveva dichiarato inammissibile il ricorso per l’equa riparazione da irragionevole durata del procedimento che la società Unicredit aveva proposto in riferimento ad un procedimento fallimentare durato diciannove anni.

Il procedimento riguardava il fallimento della società (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale di Alessandria il 10 ottobre del 1997 (fall. n. (OMISSIS), Tribunale di Alessandria). Tra i creditori chirografari ammessi all’insinuazione nel passivo della società vi era anche la società ISEFI. Alla società ISEFI era subentrata la Unicredit s.p.a. Nel 2016, il 4 aprile, il Tribunale di Alessandria aveva decretato la chiusura del fallimento, senza soddisfazione per i creditori chirografari (tra cui l’ISEFI, dante causa di Unicredit). Il decreto di chiusura del fallimento non era stato comunicato ai creditori ma il relativo deposito era stato annotato nel registro delle imprese.

Il 5 dicembre del 2017, la Unicredit domandava alla Corte d’Appello di Torino l’equa riparazione, chiedendo la corresponsione dei danni derivanti dai dodici anni di eccesso della durata del procedimento.

La Corte d’Appello di Torino, in composizione monocratica, respingeva il ricorso, dichiarandolo inammissibile, per mancato rispetto dei termini processuali. Sosteneva infatti che, ai sensi della L.Fall., art. 119, comma 2, il dies a quo da cui calcolare il termine semestrale per proporre il ricorso ex legge Pinto fosse il quindicesimo giorno dalla data dell’annotazione del deposito del decreto di chiusura del fallimento nel registro delle imprese; annotazione avvenuta il 9 aprile del 2016. Il termine semestrale per proporre ricorso per ottenere l’equa riparazione doveva quindi ritenersi scaduto il 21 novembre del 2016, mentre il ricorso era stato depositato il 5 dicembre del 2017.

Avverso tale decreto l’Unicredit s.p.a. proponeva opposizione, L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter sostenendo che il dies a quo da cui computare il decorso del termine semestrale per proporre la domanda ex L. n. 89 del 2001 andasse individuato nella data di esaurimento del termine annuale – previsto dall’art. 327 c.p.c., ante riforma della L. n. 69 del 2009 – per l’impugnazione del decreto di chiusura del fallimento.

Con il decreto qui impugnato per cassazione la Corte subalpina ha respinto l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter sostanzialmente confermando quanto statuito dal Consigliere delegato.

La causa è stata chiamata all’adunanza camerale del 22 ottobre 2020. Parte ricorrente ha depositato una memoria.

Con il primo ed unico motivo di ricorso, la società Unicredit deduce la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 89 del 2001, art. 4 in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale e agli artt. 111 e 117 Cost.; violazione e/o falsa applicazione della L.Fall., art. 119, comma 2, e art. 17, comma 1; dell’art. 2193 c.c.; della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 3.

L’Unicredit s.p.a. sostiene che la semplice annotazione nel registro delle imprese del decreto di chiusura del fallimento non è da considerarsi equipollente ad una comunicazione del decreto alle parti e che quindi non vada applicata, per tale ragione, la disciplina del termine breve di quindici giorni prevista dall’art. 119, comma 2, per le impugnazioni nei procedimenti fallimentari (quale risultante all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 279 del 2010). Difatti, argomenta la ricorrente, considerare l’iscrizione del decreto di chiusura del fallimento nei registri della camera di commercio, che pur sono accessibili al pubblico, alla stregua di una comunicazione regolarmente notificata, non soddisfa il principio processuale di certezza e stabilità dei rapporti che sussiste nella disciplina delle impugnazioni.

Ciò posto, la ricorrente denuncia l’errore in cui la corte territoriale sarebbe incorsa individuando la data in cui il decreto di chiusura del fallimento è diventato definitivo (dies a quo del termine di cui all’art. 4 legge Pinto) in quella di esaurimento del termine di quindici giorni dalla relativa iscrizione nei registri della camera di commercio, invece che in quella di esaurimento dell’anno dal relativo deposito, ex art. 327 c.p.c..

Il Collegio ritiene opportuna la rimessione della causa in pubblica udienza.

Infatti – in disparte l’eccezione della contro ricorrente di tardività del ricorso per cassazione, che sarà esaminata in sentenza – va rilevato che questa Corte, con la sentenza n. 4020/20, ha recentemente affermato che i creditori concorrenti, in quanto “parti” e non “terzi”, non sono esposti, ai fini del decorso del termine di reclamabilità del decreto di chiusura del fallimento, all’operatività della presunzione assoluta di conoscenza di cui all’art. 2193 c.c., comma 2.

Ove si ritenga di dare seguito al suddetto orientamento – e, conseguentemente, si ritenga applicabile, per l’impugnazione del decreto di chiusura del fallimento da parte dei creditori – il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., residuerebbe, tuttavia, la questione se il detto termine lungo debba identificarsi in quello semestrale o in quello annuale (nel primo caso, infatti, la domanda di equa riparazione dell’odierna ricorrente risulterebbe comunque tardiva, in quanto posteriore all’esaurimento del termine di cui all’art. 4 Legge Pinto).

E’ dunque opportuno approfondire la questione se il termine “lungo” ex art. 327 c.p.c. per l’impugnazione del decreto di chiusura del fallimento debba individuarsi in un anno, come previsto dal testo dell’art. 327 c.p.c. anteriore alla modifica recata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 o in sei mesi, come previsto dai testo dell’art. 327 c.p.c. successivo a detta modifica. Tale questione postula la soluzione del dilemma se, agli effetti della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, (“le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile… si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”) debba aversi riguardo alla data di instaurazione della procedura fallimentare – ossia, secondo quanto prospettato dalla ricorrente, alla data, nella specie anteriore al 2009, della sentenza di apertura del fallimento (o, in ulteriore ipotesi, alla data di insinuazione del creditore nel fallimento) – oppure alla data di instaurazione del sub procedimento camerale di chiusura del fallimento L.Fall., ex art. 119, ossia alla data, nella specie posteriore al 2009, della istanza di chiusura del fallimento avanzata dai curatore o dal debitore o dell’atto di impulso ufficioso del tribunale (in quest’ultimo senso, Cass. 3824/19, pagg. 6/7);

che, per quanto sopra, si palesa, opportuna la rimessione della causa alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c..

P.Q.M.

La Corte dispone il rinvio a nuovo ruolo perché la causa possa essere discussa nella pubblica udienza della Seconda Sezione Civile.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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