Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21465 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.15/09/2017),  n. 21465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9681/2012 proposto da:

B.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma,

Via Federico Confalonieri n. 5, presso l’avvocato Reggio D’Aci

Andrea, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Dal

Prà Sergio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Nomentana n. 257, presso l’avvocato

Ciannavei Andrea, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Lotto Marina, Mizzoni Vincenzo, Montobbio Alessandra,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 371/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/05/2017 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Padova convenne in giudizio B.F. innanzi al Tribunale di Padova, per ottenere la restituzione della somma di Lire 504.274.650, oltre interessi, a lui corrisposta ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 17, nel corso del procedimento di espropriazione un’area, negando la qualità di fittavolo del convenuto, figlio di uno dei due proprietari. Il Tribunale adito accolse la domanda e la decisione fu confermata dalla Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 25.2.2011, secondo la quale: a) il Comune, cui incombeva l’onere di provare l’indebito, aveva documentato il mancato possesso da parte del B. dei presupposti di maturazione dell’indennità, in considerazione della sua mancata presenza e dell’assenza di opere da lui realizzate al momento della presa di possesso delle aree e della redazione dello stato di consistenza in data 14.3.1994; della tardiva allegazione, inoltre, – con lettera del 5.1.1995 a firma di un legale – dell’esistenza dell’affittuario, nonchè della mancata produzione di dichiarazioni dei redditi o altro documento a riscontro del preteso rapporto; b) il contratto d’affitto apparentemente stipulato il 1.11.1985 era stato registrato nel novembre 1997 ed era privo di valenza probatoria ex art. 2704 c.c., nei confronti del Comune e le prove testimoniali generiche ed implicanti valutazioni; c) la presunzione di buona fede dell’accipiens andava esclusa, non potendo ipotizzarsi che il B. non conoscesse di non possedere la qualità di affittuario.

Per la cassazione della sentenza, B.F. ha proposto ricorso con cinque motivi, ai quali il Comune di Padova ha replicato con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha autorizzato, come da Decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

2. Col primo ed il secondo motivo, il ricorrente deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4, 3 e 5, rispettivamente, che la Corte territoriale è incorsa in omessa pronuncia, in evidente fraintendimento della fattispecie al suo esame, in violazione dell’art. 2033 c.c. in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, art. 12,artt. 1321 c.c. e segg., ed in vizio di motivazione, per avere omesso di considerare e di motivare che il caso al suo esame non costituiva una richiesta di riconoscimento dell’indennità ex art. 17 della legge del 1971, ma derivava da un accordo negoziale, fondato sulla Delib. Giunta 19 dicembre 1995, sull’accettazione dell’indennità da parte sua e sul mandato di pagamento che vi aveva dato esecuzione. Solo in assenza di siffatto accordo o di domanda volta ad infirmarne il contenuto, impegnativo per le parti, avrebbe potuto esser fatta valere ex adverso, un’azione d’indebito, diversamente restando incontestabile l’erogazione dell’indennità dovuta per effetto dell’espropriazione regolarmente completata. 2.1. I motivi sono inammissibili. 2.2. Anzitutto, essi prospettano questioni nuove, non constando dall’esame dell’impugnata sentenza che, in sede di merito) si sia dibattuto sulla conclusione di un accordo inter partes relativo all’indennità ex art. 17, nè indicando il ricorrente quando e con quali argomenti detta questione sarebbe entrata a far parte del dibattito processuale, tenuto conto che il potere di diretto esame degli atti quando è denunciato un error in procedendo, che non è rilevabile ex officio, è subordinato all’ammissibilità del corrispondente motivo e dunque non esime il ricorrente dall’onere di rendere tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la violazione processuale dedotta (cfr. da ultimo Cass. n. 2771 del 2017). Inoltre, gli stessi sono del tutto generici, perchè non indicano neppure quale sia l’atto negoziale in tesi concluso (ad esso non potendo supplire la delibera di giunta, cui pure allude in ricorrente in seno alla memoria, che ha disposto il pagamento dell’indennità, delibera che, ad ogni modo, non è stata riprodotta), non ne riportano il contenuto, nè indicano i dati necessari al reperimento del predetto atto, tra quelli di causa, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., oltre che vizio di motivazione in riferimento alla statuizione sub a) della narrativa. 3.1. Il motivo è, in parte, inammissibile, in conseguenza degli argomenti dedotti nel p. precedente, laddove si raccorda al preteso errore nell’individuazione della domanda, ed, in parte, è infondato: l’impugnata sentenza non ha, infatti sovvertito il principio relativo all’onere della prova, ma lo ha semplicemente ritenuto assolto (cfr. Cass. n. 9099 del 2012), con argomenti del tutto immuni da censure. 3.2. La violazione delle regole relative alla prova per presunzioni, contenuta nel titolo, non è stata, in alcun modo, sviluppata nel corpo del motivo.

4. Con il quarto mezzo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 244 c.p.c., in riferimento alla statuizione sub b) della narrativa. 4.1. Il motivo è inammissibile. 4.2. Sotto un primo profilo, esso non coglie la ratio decidendi che, da una parte, ha ritenuto corretta la decisione di prime cure di non dar corso alla prova testimoniale perchè gli articolati dedotti avevano ad oggetto valutazioni piuttosto che fatti e, dall’altra, non considera che i giudici a quo hanno attribuito rilievo al contratto non registrato, non già assumendo l’obbligatorietà della registrazione, ma in applicazione della regola sancita dall’art. 2704 c.c., in riferimento alla data della scrittura privata non autenticata nei confronti dei terzi. 4.3. Inoltre la censura è generica laddove non riproduce il contenuto delle prove orali, così precludendo a questa Corte l’esame della relativa decisività.

5. Il quinto motivo, col quale il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 2033 c.c., circa la prova della sua mala fede, in riferimento alla statuizione sub c) della narrativa, è inammissibile, perchè tende ad infirmare la valutazione di merito compiuta dalla Corte territoriale circa l’accertamento in giudizio della mala fede dell’odierno ricorrente, che è stata desunta, con motivazione congrua, dalla consapevolezza, da parte sua, di non rivestire la qualità vantata, la cui sussistenza costituisce, invece, il presupposto dell’indennità ricevuta.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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