Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21463 del 25/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 25/10/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 25/10/2016), n.21463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18861/2012 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L. CARO 62,

presso lo studio dell’avvocato SIMONE CICCOTTI, che lo rappresenta e

difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

13, presso lo studio dell’avvocato LORETTA FIORETTI CARMAGNOLA, che

lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2455/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato SIMONE CICCOTTI;

udito l’Avvocato LORETTA FIORETTI CARMAGNOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato il 16 settembre 2004 P.E. adiva il Tribunale di Roma perchè condannasse T.M. a rilasciargli un immobile in Roma da lui occupato senza titolo, e a risarcire i danni. Avendo il giudice istruttore dichiarato contumace il convenuto e mutato il rito in rito ordinario, con sentenza del 22 marzo-13 giugno 2005 il Tribunale accoglieva le domande attoree, emettendo peraltro una condanna generica per il risarcimento dei danni. T.M. proponeva appello e controparte si costituiva chiedendo la conferma della sentenza impugnata. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 18 aprile-1 giugno 2011 ha rigettato l’appello.

2. Ha presentato ricorso T.M., sulla base di due motivi; si difende con controricorso P.E., che ha pure presentato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del procedimento e della sentenza di primo grado per violazione degli artt. 291 e 427 c.p.c., nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione da parte del giudice d’appello delle stesse norme.

Avrebbe errato il giudice d’appello nell’escludere la nullità della sentenza di primo grado per omessa notifica al contumace dell’ordinanza di mutamento del rito, omissione denunciabile pure in appello. Incorrendo in tale violazione, si sarebbe in effetti violato il contraddittorio, con conseguente nullità di tutti gli atti successivi, inclusa la sentenza, onde si sarebbe dovuto applicare l’art. 354 c.p.c.. Il motivo si conclude pertanto chiedendo di rimettere la causa al primo giudice o al giudice d’appello perchè rinnovi gli atti.

Il secondo motivo ancora denuncia nullità del procedimento e della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 180 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma del 2005, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione da parte del giudice d’appello della stessa norma. Mutato il rito, infatti, la prima udienza avrebbe dovuto essere tenuta ex art. 180 c.p.c.; e l’appellante aveva “precisato” alla corte territoriale “il derivato pregiudizio nel suo imprescindibile diritto di difesa” per violazione degli artt. 180 e 183 c.p.c., norme inderogabili poste a tutela appunto di tale diritto. La conclusione è la stessa del primo motivo.

I due motivi possono essere congiuntamente vagliati, in quanto il contenuto di entrambi non risulta idoneo a inficiare in punto di diritto la decisione del giudice d’appello, fondatasi su un piano diverso e ancor più a monte della tematica invocata dal ricorrente: i limiti di ammissibilità, sotto il profilo dell’interesse processuale, dell’appello fondato esclusivamente su doglianze di rito. Correttamente il giudice d’appello richiama al riguardo un chiaro arresto di questa Suprema Corte, Cass. Sez. 3, 29 gennaio 2010 n. 2053, che puntualizza come l’impugnazione con cui l’appellante censura soltanto per vizi di rito una pronuncia che decide anche nel merito a suo sfavore è ammissibile “solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.”, mentre, laddove i vizi denunciati non rientrino in uno dei casi tassativamente previsti dalle suddette norme “è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito”, per cui, qualora non lo faccia, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito “è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione”. Si tratta dell’espressione di un consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte (v. S.U. 14 dicembre 1998 n. 12541) nel senso appunto che l’appello per vizi di rito, al di fuori dei tassativi casi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. – i quali, comportando la regressione al primo grado, investono di per sè anche il merito della decisione -, è sorretto da interesse processuale, ovvero è ammissibile e rispondente al modello legale di impugnazione, solo se viene congiuntamente addotta una lesione concreta che sotto il profilo di merito l’error in procedendo ha cagionato all’impugnante (ex multis, v. da ultimo Cass. sez. 3, 3 dicembre 2015 n. 24612, Cass. sez. 1, 21 settembre 2015 n. 18578, Cass. sez. lav. 11 febbraio 2015 n. 2682, Cass. sez. 3, 12 dicembre 2014 n. 26157, Cass. sez. lav., 23 giugno 2014 n. 14167; e cfr. pure S.U. 19 maggio 2008 n. 12644). Logicamente, quanto appena rilevato conduce al difetto di interesse anche nella proposizione del ricorso avverso la sentenza d’appello.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 3800, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016

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