Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21460 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. I, 15/09/2017, (ud. 27/04/2017, dep.15/09/2017),  n. 21460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16505/2011 proposto da:

Intesa Sanpaolo S.p.a., (c.f. (OMISSIS)), quale successore di

Sanpaolo IMI S.p.a. che a sua volta ha incorporato il Banco di

Napoli S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Scrivano Luciano, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.E.B. – Cooperativa Edile Bolognese S.c.r.l. in Liquidazione Coatta

Amministrativa, in persona dei commissari liquidatori pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Dè Pontefici n. 3, presso

l’avvocato Panio Nico, rappresentata e difesa dall’avvocato Camerini

Carlotta, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 692/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2017 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 26 luglio 2005 n. 866, ha rigettato il gravame di San Paolo IMI spa (già Banco di Napoli) avverso la sentenza del Tribunale di Bologna che, in accoglimento della domanda della Cooperativa Edile Bolognese-CEB (in liquidazione coatta amministrativa dal 22 febbraio 1992, cui era seguita la sentenza del 15 giugno 1993 dichiarativa dello stato di insolvenza), aveva accolto la revocatoria di rimesse, aventi natura solutoria, effettuate tra il 6 marzo 1991 e il 22 febbraio 1992 sul conto corrente n. (OMISSIS) e aveva condannato il Banco di Napoli a restituire Lire 2.968.096.067, oltre interessi.

La banca appellante aveva imputato al primo giudice di avere erroneamente ritenuto che il predetto conto corrente fosse assistito da un’apertura di credito di sole Lire 150 milioni, mentre risultava da un atto avente data certa la concessione di un ampliamento fino a Lire 700 milioni, benchè affetto da errore materiale nella individuazione del conto; inoltre, aveva errato, il primo giudice, nel valutare la prova della scientia decoctionis.

Ad avviso della Corte d’appello, come risultava da una missiva del Banco di Napoli al CEB con timbro postale del 5 luglio 1991, il predetto ampliamento dell’apertura di credito si riferiva ad un diverso conto corrente (n. (OMISSIS)), aperto il 26 gennaio 1990, mentre l’altro conto corrente era stato aperto negli anni settanta e non era dimostrato l’asserito errore che, secondo la banca, inficiava la predetta missiva; con riguardo alla scientia decoctionis, la Corte ha evidenziato l’allarmante andamento del conto con numerosi sconfinamenti per importi notevolmente superiori al fido accordato, la presenza di plurime procedure monitorie anche per importi notevoli e con clausola di immediata esecutività, l’iscrizione di una ipoteca giudiziale e tre ipoteche volontarie; inoltre, ha osservato che, nonostante il bilancio chiuso al 31 dicembre 1990 presentasse un apparente utile di esercizio, dal bilancio successivo risultavano perdite di oltre otto miliardi di Lire e una esposizione debitoria verso le banche di oltre quattro miliardi, e ciò era segno evidente di un collasso economico risalente agli esercizi precedenti che avrebbe dovuto allertare la banca ed indurla ad una particolare attenzione nella lettura dei bilanci e nella verifica della reale attività produttiva dell’impresa; infine, ad avviso della Corte, la concessione da parte di CEB di un’ipoteca a favore del Banco di Napoli a garanzia di un mutuo fondiario accordato ad un proprio cliente (dipendente della banca), anzichè escludere la scientia decoctionis, avrebbe dovuto porre la banca in allarme per l’evidente anomalia dell’operazione.

Avverso questa sentenza il San Paolo IMI ha proposto ricorso per revocazione, ex art. 395 c.p.c., n. 4, lamentandosi del mancato esame di un documento che assumeva decisivo per la valutazione della scientia decoctionis, cioè di una certificazione rilasciata dalla cancelleria del Tribunale di Bologna, in data 10 marzo 1992, su richiesta della banca, nell’ambito dell’istruttoria per la erogazione del menzionato mutuo garantito da ipoteca, che attestava l’inesistenza di procedure concorsuali a carico della CEB.

Il ricorso per revocazione è stato rigettato dalla Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 27 maggio 2011 n. 692, che ha escluso l’errore revocatorio.

Intesa San Paolo spa ha proposto ricorso per cassazione avverso entrambe le menzionate sentenze, affidato a tre motivi, cui si è opposta la CEB con controricorso. La ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si imputa alla sentenza n. 692/2011 violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, e L. Fall., art. 67, comma 2, per non avere preso in considerazione il menzionato certificato della cancelleria emesso venti giorni dopo il decreto ministeriale di messa in liquidazione coatta, che dimostrava la inscientia decoctionis della banca, la quale altrimenti non avrebbe concesso il mutuo garantito da un’ipoteca offerta da un terzo a rischio di default o fallito.

Il motivo è infondato, essendo conforme a diritto la sentenza impugnata che ha ritenuto inesistente il dedotto errore revocatorio, da intendere come falsa percezione della realtà o svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consistente in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano – come nella specie – direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (tra le tante, Cass. n. 8180/2009). La Corte di merito ha plausibilmente ritenuto che il fatto risultante dall’anzidetta certificazione della cancelleria non fosse univoco nè decisivo, atteso che l’oggetto della scientia decoctionis non è l’esistenza della procedura concorsuale, ma lo stato di insolvenza del debitore.

Il secondo motivo di ricorso imputa alla sentenza n. 866/2005 violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, , artt. 1362 e 1433 c.c. e vizio di motivazione, per avere erroneamente ritenuto che l’estensione del fido a Lire 700 mil. non si riferisse al conto corrente n. (OMISSIS) ma ad un conto diverso (n. (OMISSIS)).

Il motivo è inammissibile, mirando ad una rivisitazione del giudizio di fatto, adeguatamente compiuto dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto infondato l’argomento secondo cui il conto n. (OMISSIS) non aveva registrato significativi movimenti e infondata la tesi della banca secondo la quale era impossibile che si riferisse a questo conto l’ampliamento dell’apertura di credito a Lire 700 mil.; inoltre, come rilevato nella sentenza impugnata, dalle annotazioni nell’estratto del libro fidi risultava che l’apertura di credito di Lire 700 mil. era assistita da pegno su titoli che assisteva il conto n. (OMISSIS) e non l’altro (n. (OMISSIS)).

Con il terzo motivo di ricorso si imputa alla sentenza n. 866/2005 violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, e vizio di motivazione circa le conseguenze sulla valutazione della scientia decoctionis dell’errore di giudizio denunciato nel motivo precedente.

Il motivo è inammissibile.

Va ricordato che, in tema di elemento soggettivo dell’azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, la scientia decoctionis in capo al terzo, come conoscenza dello stato di insolvenza, è oggetto di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato, potendosi formare il relativo convincimento anche attraverso il ricorso alle presunzioni, alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza, con rilevanza peculiare della condizione professionale dell’accipiens e del contesto nel quale gli atti solutori si sono realizzati (Cass. n. 8827/2011, n. 12306/2010, 2557/2008).

La sentenza impugnata ha adeguatamente argomentato in ordine alla conoscibilità dello stato di insolvenza, sulla base di una serie di elementi indiziari, di cui si è dato conto nei “fatti di causa”, la cui valutazione da parte del giudice di merito non è censurabile in questa sede. Inoltre, la questione della decorrenza del dies a quo per il computo a ritroso del periodo sospetto non è esaminabile in questa sede, essendo nuova perchè non trattata nel giudizio di merito.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 6200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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