Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2146 del 29/01/2021

Cassazione civile sez. un., 29/01/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 29/01/2021), n.2146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Primo Presidente f.f. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 37683-2019 proposto da:

D.S.M., D.S.P., in qualità di eredi di

D.S.G. e B.M.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MIGLIANICO 69/C, presso lo studio dell’avvocato ELENA

BARTOLOMEO, rappresentati e difesi dall’avvocato ROBERTA

ALESSANDRINI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 149/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 20/06/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2020 dal Consigliere GRAZIOSI CHIARA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale VISONA’STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato Andrea Del Vecchio per delega dell’avvocato Roberta

Alessandrini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso notificato il 17 dicembre 2015 M. e D.S.P., in qualità di eredi di soci della cessata Ideai Casa di D.S. e B. s.n.c., convenivano davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d’appello di Roma il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per ottenerne la condanna a risarcire i danni che sarebbero loro derivati dall’esondazione del fiume Tronto avvenuta nei giorni 8, 9 e 10 aprile 1992, per un totale importo di Euro 6370,92 oltre accessori.

Il Ministero si costituiva, resistendo.

Il Tribunale, con sentenza n. 2/2018, rigettava la domanda per difetto di legittimazione attiva degli attori.

2. M. e D.S.P. proponevano appello, cui resisteva il Ministero.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rigettava l’appello con sentenza n. 149/2019, riconoscendo la legittimazione attiva degli appellanti ma ritenendone prescritto il diritto al risarcimento.

M. e D.S.P. hanno presentato ricorso – illustrato anche con memoria -, da cui si è difeso il Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso si articola in tre motivi, che, pur non essendo introdotti con una numerazione e con l’indicazione di quale prospettino fra le censure indicate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, sono individuabili come segue.

3.1 Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2935 e 2938 c.c., per avere il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche accolto l’eccezione di prescrizione in base a un fatto mai allegato dal Ministero che, proponendo l’eccezione, nei suoi atti sia in primo grado sia in secondo grado si sarebbe tuttavia limitato ad indicare come dies a quo per l’esercizio del diritto risarcitorio l’anno 1985 (quando furono compiute le opere di sistemazione idraulica del fiume) – tesi che sarebbe illogica, perchè l’esondazione avvenne nel 1992, ragion per cui sarebbe stato impossibile esercitare un diritto al risarcimento di danni ancora inesistenti – oppure l’anno 1992 (quando avvenne, appunto, l’esondazionè).

Ai sensi dell’art. 2935 c.c., la prescrizione del diritto decorre da quando il titolare può farlo valere: nel caso di specie, il Ministero non avrebbe indicato le circostanze dalle quali era desumibile che “i ricorrenti avessero avuto o avrebbero potuto avere… una sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato con le carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche del fiume”.

3.2 Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, per non avere il Ministero assolto non solo l’onere di allegazione, ma neppure l’onere di prova. Anzichè verificare se fosse stato adempiuto l’onere probatorio, il Tribunale di tale onere avrebbe gravato proprio i ricorrenti, esigendo che dimostrassero quando poterono avere conoscenza della responsabilità causale delle carenze di progettazione delle opere idrauliche e di manutenzione delle stesse. Tra l’altro, riguardo a una ulteriore controversia sulla stessa tematica sarebbe stata invece disposta una perizia in sede penale e una consulenza tecnica d’ufficio in sede civile.

3.3 Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., per errore di sussunzione: richiamata giurisprudenza relativa all’avvio della prescrizione quando si dovrebbe avere sufficiente conoscenza della rapportabilità causale in base alla ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, ed elencati poi vari casi in cui tale principio veniva applicato, si sostiene che, qualora non lo si applichi, si incorrerebbe in errore di sussunzione e dunque in falsa applicazione dell’art. 2935 c.c..

Il Tribunale avrebbe “affermato apoditticamente che i ricorrenti (semplici soci di una società di persone svolgente l’attività di commercio di casalinghi), in presenza di un’alluvione durata tre giorni (8, 9 e 10 aprile 1992), a seguito della quale è stato celebrato un processo penale” (il riferimento è al processo a tale ing. M., che avrebbe avuto competenze tecniche idrauliche in riferimento al fiume Tronto), nel quale “sono state acquisite perizie tecniche per verificare le responsabilità concernenti carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche del fiume” (il che sarebbe dimostrato da documenti prodotti), “e in presenza ancora di una legge statale del 1992 (la n. 505) e di una legge regionale del 1993 (la n. 17), che avevano riconosciuto provvidenze ai soggetti danneggiati dalla suddetta alluvione, riferendosi a calamità ed elementi straordinari, avrebbero potuto immediatamente percepire con la normale diligenza “la non straordinarietà dell’evento… essendo evidenti sin dall’inizio le carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche… e il nesso di causalità con i danni subiti””, nonostante che “non a caso” lo stesso “TRAP in tutte le numerosissime sentenze emesse dal 2007 ad oggi nelle cause di richiesta di risarcimento dei danni per l’esondazione del fiume Tronto ha considerato come dies a quo per il termine prescrizionale la data di rinvio a giudizio dell’Ing. M.”. Pertanto non sussisterebbe “dubbio alcuno sulla falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., per errore di sussunzione”.

4. I motivi possono essere vagliati congiuntamente, in quanto è evidente la loro comune sostanza principale di censura relativa a quella che il terzo motivo espressamente giunge infine a qualificare erronea sussunzione della fattispecie in riferimento all’art. 2935 c.c., che emergerebbe dall’iter motivazionale percorso dal Tribunale.

4.1 La censura di erronea sussunzione del fatto – dopo averlo giudicato come esistente, ovvero avere compiuto il relativo accertamento di merito, non direttamente censurabile dinanzi al giudice di legittimità – alla norma, nel senso di evincere dalla norma stessa conseguenze giuridiche che contraddicono la sua pur corretta interpretazione o, ancor più a priori, nel senso di ricondurre la fattispecie concreta giudicata ad una norma non pertinente perchè relativa ad una fattispecie astratta diversa e quindi non idonea a regolarla, integra il vizio di falsa applicazione di legge denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio di violazione di legge essendo circoscritto alla identificazione e alla interpretazione della norma da ritenere regolatrice del caso concreto effettuate in modo erroneo (ex plurlmis, quali esempi tra i più recenti arresti massimati, v. Cass. sez. 5, 25 settembre 2019 n. 23851 – per cui, appunto, il vizio denunciabile mediante l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione” -, Cass. sez. 1, ord. 14 gennaio 2019 n. 640 – che rimarca come il vizio di violazione di legge “investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione a essa di un contenuto” in realtà non sussistente, mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste “nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice”, perchè la fattispecie astratta in essa prevista, pur rettamente individuata e interpretata, non è idonea a regolarla, o anche nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicono la pur corretta sua interpretazione – e la conforme Cass. sez. 3, ord. 30 aprile 2018 n. 10320).

4.2 Nel caso in esame, l’erronea sussunzione in effetti sussiste nella forma di trarre dalla norma, correttamente eletta ai fini dell’applicazione, conseguenze giuridiche sulla fattispecie concreta qui sussistente tali da contraddire la pur corretta interpretazione da cui erano state prese le mosse.

Invero, il Tribunale ha individuato come norma applicabile per individuare il dies a quo da cui decorre la prescrizione del diritto l’art. 2935 c.c.: in effetti, non l’ha espressamente invocata, ma l’ha lasciata inequivocamente intendere laddove richiama la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui la decorrenza del termine prescrizionale scatta da quando “il soggetto danneggiato abbia avuto o avrebbe potuto avere – usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – una sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato” (motivazione, pagina 9). Ed è questa, in effetti, la corretta interpretazione dell’espressione “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, che l’art. 2935 c.c., presenta in modo netto quanto, peraltro, conciso: la giurisprudenza di legittimità ha elaborato con adeguata attenzione, rapportandolo anche a specie peculiari di diritti soggettivi, il paradigma della possibilità di avvalersi della propria specifica posizione giuridica – resercizio” che dall’astratta titolarità conduce al concreto vantaggio -, tenendo in conto, come principio insito in ogni specie di diritto soggettivo, che il termine prescrizionale non può essere inteso, quanto alla sua decorrenza, come strumento che non rispetti l’equilibrio sistemico tra i valori coinvolti: da un lato la certezza giuridica – che si riflette, in termini di privato interesse, anche sul soggetto danneggiante -, e dall’altro l’effettività del diritto riconosciuto al danneggiato, id est il conferimento di una possibilità reale, e non quindi meramente astratta, di esercitarlo, quale tutela che ne presiede la sussistenza per un congruo tempo di fruibilità da parte del suo titolare (fondamentale al riguardo è l’insegnamento di S.U. 11 gennaio 2008 n. 576, confermato poi da S.U. 18 novembre 2008 n. 27337 – arresto, quest’ultimo, citato anche nella impugnata sentenza -; la linea interpretativa che ne è discesa è stata descritta, da ultimo, in Cass. sez. 3, ord. 10 giugno 2020 n. 11097).

4.3 Riconosciuto, allora, che la decorrenza della prescrizione non può partire da quando il danno insorge, bensì da quando il danneggiato è posto, per così dire, in una possibilità consapevole di esercitare il diritto (“dal momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto o avrebbe potuto avere – usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – una sufficiente conoscenza della rapportabilità causale”: così, come già si è visto, si esprime la sentenza impugnata), il Tribunale non applica, in effetti, bensì contraddice questo principio di corretta interpretazione in rapporto alla fattispecie concreta accertata. Risulta dalla motivazione, infatti, che il Tribunale ritiene sufficiente per far decorrere il termine prescrizionale la percezione di quanto avvenuto alla luce soltanto di una “normale diligenza”: il termine invero decorre “dalla data degli eventi dannosi (8-10 aprile 1992)”, cioè dalla esondazione, “perchè la non straordinarietà dell’evento avrebbe potuto essere immediatamente percepita dal danneggiato con la normale diligenza, essendo evidenti sin dall’inizio le carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche poi tardivamente denunciate e il nesso di causalità con i danni” (motivazione, pagine 9-10).

E’ evidente che, in tal modo, il Tribunale circoscrive ad una “normale diligenza” lo strumento di percezione, elidendo quello della conoscenza/conoscibilità tecnico-scientifica, che invece avrebbe dovuto essere tenuto in conto proprio perchè nella fattispecie così come concretamente accertata il Tribunale connette il danno in termini di rapportabilità causale non all’episodio di natura meteorologica, bensì, appunto, a “carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche”: carenze che, come i ricorrenti rilevano, non potevano certo essere conosciute/conoscibili – ovvero, non potevano essere idonee a rendere concretamente esercitabile il diritto ai sensi dell’art. 2935 c.c., – in modo atecnico, id est non potevano essere percepite, attenendo a opere tecniche, nel momento in cui ancora si conosceva soltanto l’evento della esondazione del fiume.

5. Il Tribunale quindi, applicandola alla concreta fattispecie accertata, ha erroneamente ristretto il portato della pur correttamente interpretata norma pertinente – l’art. 2935 c.c., – restringendo il significato della possibilità di esercizio del diritto ad un presupposto di cognizione/conoscibilità generica e in quanto tale insufficiente qualora la fattispecie necessiti, per identificarne la rapportabilità causale, di una specifica indagine tecnico-scientifica.

Il ricorso pertanto deve essere accolto in ordine alla censura di inesatta sussunzione – risultandone assorbita ogni altra doglianza -, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione.

P.Q.M.

Accogliendo il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2021

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