Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21458 del 25/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 25/10/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 25/10/2016), n.21458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26847/2014 proposto da:

TONI 2 SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

D.V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA 78 ROMA,

presso lo studio dell’avvocato MARCO MARIANI, che lo rappresenta e

difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.L., G.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 533/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 07/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ritualmente notificato a G.L. ed a G.V. in data (OMISSIS), ai sensi della L. n. 53 del 1994, TONI 2 s.p.a. ha impugnato per cassazione la sentenza in data 7.5.2014 n. 533 della Corte d’appello di Bari confermativa della decisione di prime cure che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione ad uso commerciale stipulato il (OMISSIS) inter partes, per inadempimento della società conduttrice al pagamento dei canoni relativi ai mesi di (OMISSIS).

I Giudici di secondo grado ritenevano che il Tribunale di Bari avesse correttamente pronunciato sulla domanda di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., in seguito alla opposizione della intimata ed alla prosecuzione del giudizio con il rito locativo, in quanto introdotta – nella fase sommaria del giudizio – con la stessa intimazione di sfratto per morosità. Inoltre rilevavano la gravità dell’inadempimento, in considerazione di pregresse morosità della conduttrice (per i mesi da (OMISSIS)) che avevano dato luogo a procedimenti giudiziari analoghi.

La sentenza di appello, è stata censurata da TONI 2 s.p.a. con tre motivi concernenti errori di diritto processuale e sostanziale.

Non hanno resistito gli intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere rigettato.

Sostiene la ricorrente con il gruppo di censure proposte che il Giudice di appello: a) non avrebbe considerato che i G. non avevano in alcun modo qualificato la domanda proposta ed inoltre b) non avrebbe valutato “l’elemento soggettivo, posto che Toni 2 s.p.a. aveva provveduto a sanare la morosità oggetto della intimazione di sfratto….con pagamento effettuato il (OMISSIS) prima della udienza di convalida”, incorrendo in violazione dell’art. 112 c.p.c. (qualificazione della domanda) e dell’art. 1455 c.c. (gravità dell’inadempimento), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il primo asserto è smentito dalla lettura della sentenza impugnata.

La Corte territoriale, diversamente da quanto opinato dalla difesa della ricorrente, ha individuato il “petitum” oggetto della domanda introduttiva della fase sommaria formulata con l’atto di intimazione di sfratto per morosità, alla stregua dei seguenti rilievi: il primo, in fatto, fondato sulla rilevazione delle allegazioni contenute nell’atto introduttivo, evidenzia come nell’atto introduttivo i locatori non si erano limitati a richiedere la convalida dello sfratto ma avevano fatto espresso riferimento anche “alla risoluzione del contratto ed alla clausola contrattuale che tale sanzione prevedeva”; il secondo, in diritto, in quanto fondato sul consolidato principio, enunciato da questa Corte, secondo cui il ricorso per intimazione di sfratto dovuto a morosità ex art. 658 c.p.c., comma 1, non convalidato per la opposizione dell’intimato, si converte nel successivo giudizio ordinario in domanda di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., per inadempimento all’obbligazione di pagamento dei canoni (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3955 del 24/08/1978; id. Sez. 3, Sentenza n. 5566 del 14/09/1983; id. Sez. 3, Sentenza n. 3154 del 23/03/1991; id. Sez. 3, Sentenza n. 14527 del 11/10/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 24207 del 14/11/2006 – che distingue pertanto in relazione al petitum ed alla causa petendi la domanda di risoluzione proposta con l’intimazione di sfratto per morosità, volta ad una pronuncia costitutiva fondata sulla gravità dell’inadempimento, dalla distinta domanda di risoluzione ex art. 1456 c.c., volta ad una pronuncia dichiarativa che prescinde dall’accertamento giudiziale della gravità della violazione -; id. Sez. 3, Sentenza n. 26508 del 17/12/2009; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2685 del 06/02/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 15904 del 11/07/2014).

Il fatto che i locatori non avessero qualificato specificamente la domanda, è questione del tutto irrilevante ai fini del sindacato sui vizi di legittimità dedotti, atteso che laddove l’atto introduttivo del giudizio contenga tutti gli elementi necessari ad individuare la causa petendi ed il petitum, è riservato in via esclusiva al Giudice di merito – ed anche al Giudice di legittimità – il potere di qualificare la pretesa in relazione allo schema della corrispondente fattispecie giuridica stratta nel quale viene ad essere sussunta.

Il secondo asserto, volto a contestare la omessa considerazione da parte del Giudice di appello, ai fini della valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento, del comportamento del debitore successivo alla proposizione della domanda di risoluzione (idest alla notifica dell’atto di intimazione di sfratto per morosità), avendo la società a distanza di breve tempo sanato la morosità, non è supportato da alcun argomento in diritto e contrasta anzi, tanto con la valutazione della gravità dell’inadempimento compiuta “in concreto” dal Giudice di appello che ha tenuto conto anche delle pregresse morosità che avevano dato luogo ad analoghi giudizi pendenti tra le parti, quanto con il principio di diritto, enunciato da questa Corte, per cui la purgazione della mora, successiva alla domanda di risoluzione insita nell’intimazione di sfratto, non è ostativa, ai sensi dell’art. 1453 c.c., u.c., all’accertamento della gravità del pregresso inadempimento nell’ambito del giudizio ordinario che a tal fine prosegua dopo il pagamento dei canoni scaduti da parte dell’intimato (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14527 del 11/10/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 24460 del 18/11/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 18500 del 26/10/2012). La censura, peraltro, se intesa a criticare la valutazione operata dal Giudice di appello su fatti allegati e dimostrati in giudizio, viene a risolversi nella contestazione di un “errore di fatto”, in palese distonia ed incoerenza con il vizio di violazione di norma di diritto sostanziale (art. 1455 c.c.) sottoposto al sindacato di legittimità della Corte, incorrendo pertanto nella dichiarazione di inammissibilità.

Venendo all’esame della censura dedotta per vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. (ultrapetizione), la stessa deve ritenersi inammissibile in quanto priva di autosufficienza e comunque inconferente rispetto alla “ratio decidendi”.

Sostiene la ricorrente che il Giudice di appello avrebbe errato a ritenere che fosse stata introdotta nel giudizio di merito, svoltosi a seguito della chiusura della fase sommaria, la domanda di risoluzione automatica ex art. 1456 c.c., alla quale in locatori nell’atto di intimazione di sfratto – avrebbero fatto riferimento richiamando “la clausola contrattuale che tale sanzione prevedeva” (cfr. in motivazione, sentenza appello).

Orbene la sentenza di appello, diversamente da quanto ipotizzato dalla ricorrente, non tratta di clausole risolutive “espresse”, nè ha dichiarato risolto il contratto in virtù dell’effetto automatico della clausola, in tal senso non essendo incorso il Giudice di secondo grado nel dedotto vizio di ultrapetizione, mentre la breve proposizione, sopra riportata, estrapolata dalla motivazione della sentenza, non è in alcun modo indicativa dell’assunto difensivo, tanto più avendo omesso la ricorrente di trascrivere la clausola del contratto di locazione (impedendo in tal modo alla Corte di apprezzarne il modus operandi) in violazione di quanto prescritto ai fini della ammissibilità della censura dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

In ogni caso occorre rilevare, da un lato, che eventuali dubbi interpretativi cui poteva dare luogo l’atto di intimazione di sfratto per morosità (parzialmente trascritto a pag. 7 del ricorso: “….stante la gravità dell’inadempimento, anche alla luce di guanto pattuito alla clausola n. 13 del contratto….”) sono stati risolti dal Giudice di secondo grado che ha qualificato “ab origine” la domanda come risoluzione per inadempimento di non scarsa importanza ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., ed in relazione a tale oggetto del giudizio ha esaminato i fatti e ritenuto sussistere la intollerabilità della prosecuzione del rapporto locativo, con la conseguenza che risultando la piena corrispondenza tra “chiesto (così come qualificato) e pronunciato” deve escludersi che la Corte territoriale sia incorsa nel vizio di ultrapetizione dichiarando la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore.

Quanto, invece, alla censura mossa alla sentenza di appello per violazione dell’art. 1455 c.c., in punto di accertamento della gravità dell’inadempimento, la ricorrente richiama la massima tralatizia della giurisprudenza di legittimità per cui la importanza dell’inadempimento va commisurata anche alla condotta tenuta dal conduttore successiva alla domanda di risoluzione (Cass. n. 5902/2006), denunciando in conseguenza l’errore del Giudice di appello che ha affermato la non scarsa importanza dell’inadempimento, non considerando che i pregressi inadempimenti erano stati sanati come riconosciuto nella sentenza del Tribunale di Bari n. 3015/2010 emessa in altro giudizio.

Il motivo è infondato.

Premesso che in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, riservata al prudente apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, qualora sia sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22415 del 29/11/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 14974 del 28/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 24799 del 08/10/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015), e la ricorrente non censura la statuizione impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma per violazione della norma di diritto di cui all’art. 1455 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e premesso altresì che la massima tralatizia secondo cui, pur non essendo estendibile la disciplina della L. n. 392 del 1978, artt. 5 e 55, alle locazioni di immobili ad uso diverso da abitazione (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 272 del 28/04/1999), debbono tuttavia essere valutate ai fini della gravità dell’inadempimento anche le condotte tenute dal conduttore successivamente dalla domanda di risoluzione del contratto (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8076 del 04/06/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 6518 del 02/04/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 5902 del 17/03/2006), deve essere letta ed interpretata alla stregua delle peculiari fattispecie concrete esaminate, in cui l’inadempimento inizialmente non importante, veniva ad aggravarsi successivamente alla proposizione della domanda di risoluzione “…Sicchè, se l’inadempimento del conduttore perduri e si aggravi (ndr dopo la domanda di risoluzione), di quell’aggravamento il giudice deve tener conto, mentre resta irrilevante – in virtù del principio di cui all’art. 1453 c.c., comma 3 – che il conduttore adempia dopo la proposizione della domanda di risoluzione” (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18500 del 26/10/2012, che fornisce gli opportuni chiarimenti in ordine alla esatta portata del principio di diritto, come riportato nelle massime del CED di questa Corte, ribadendo l’affermazione per cui la purgazione della morosità successiva alla domanda di risoluzione non impedisce l’accertamento della gravità del pregresso inadempimento: Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14527 del 11/10/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 24460 del 18/11/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 13248 del 31/05/2010), ebbene tutto ciò premesso, la critica alla sentenza impugnata che viene svolta dalla ricorrente non individua alcun elemento circostanziale (fatto storico) pretermesso dalla valutazione della Corte d’appello, tale non potendo ritenersi la sentenza di merito n. 3015/2010 pronunciata in altro giudizio e relativa all’inadempimento dei canoni afferenti il periodo (OMISSIS) (il Giudice di appello ha, peraltro, preso in esame tale la sentenza rilevando come quel Giudice si fosse adeguato alla valutazione della importanza dell’inadempimento che era stata già compiuta dal Tribunale di Bari nella sentenza n. 3085/2009 – emessa in primo grado nel presente giudizio – con riferimento alla complessiva condotta della società conduttrice e dunque anche al mancato pagamento dei canoni nel periodo indicato (OMISSIS)), con la conseguenza che la società ricorrente venendo a dolersi della conclusione raggiunta dalla Corte territoriale in ordine alla importanza dell’inadempimento, viene sostanzialmente a richiedere a questa Corte una inammissibile rivalutazione del merito che è preclusa nel giudizio di legittimità.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, non occorrendo provvedere sul regolamento delle spese in difetto di difesa svolta dagli intimati.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte Cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016

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