Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21458 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21458 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 27952-2010 proposto da:
OCRES

DI

RENATO

SCROCCA

S.R.L.

01314831007,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. TAZZOLI 6,
presso lo studio dell’avvocato CONDEMI MORABITO LUIGI,
che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

2013
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SCIACQUATORI FRANCESCO;

intimato

avverso la sentenza n. 7069/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 18/05/2010 r.g.n. 2143/07;

Data pubblicazione: 19/09/2013

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/06/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato CANEVA DANIELE per delega CONDEMI
MORABITO LUIGI;

Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18.5.2010, la Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione del
Tribunale di Tivoli, dichiarava il diritto di Sciacquatori Francesco ad essere assunto da
parte della S.r.l. OCRES di Rtlitao. Scócca e condannava quest’ultima a pagare al primo
le retribuzioni maturate dal giorno del provvedimento di avviamento obbligatorio al lavoro
alla data della sentenza d’appello, commisurate all’inquadramento di cui all’atto di

Rilevava la Corte del merito che nessuna delle disposizioni contenute nella legge 68/99,
in esecuzione della quale era stato emanato il provvedimento di avviamento obbligatorio,
imponeva termini decadenziali a carico del lavoratore avviato per l’assunzione obbligatoria
e che lo stesso aveva l’onere di presentarsi entro un termine ragionevolmente necessario
per stabilire la stipulazione del contratto, potendo presumersi dalla inerzia del lavoratore la
implicita volontà di rinuncia all’assunzione solo ove la stessa fosse valutata in termini di
ragionevolezza e rapportata ad un lasso temporale individuato con criteri desumibili dalla
fattispecie concreta. Riteneva che l’apposizione del termine di cinque giorni nel
provvedimento di avviamento da parte della P. A. non costituisse ed individuasse un
obbligo di natura legale o convenzionale la cui inosservanza determinava decadenza del
diritto, ma che il mancato rispetto del termine assumesse rilievo ai soli fini dell’inserimento
in una eventuale successiva graduatoria in sede di collocamento obbligatorio. Aggiungeva
che dall’ istruttoria espletata era emerso che il lavoratore si era recato presso la società
appellata ricevendone il rifiuto all’assunzione e rilevava che il tempo della presentazione
era collocato a stretto ridosso temporale dell’atto di avviamento dell’8.5.2002. Non
risultava, poi, alcuna valida ragione del rifiuto e quindi, di fronte a tale illegittimo
comportamento datoriale, andava risarcito l’intero pregiudizio patrimoniale rapportabile,
senza ulteriore prova da parte del lavoratore, alle utilità perse — retribuzioni – a cui avrebbe
avuto accesso se tempestivamente assunto.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Ocres s.r.l. con unico motivo, articolato in più
punti.
Il lavoratore è rimato intimato.
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avviamento.

MOTIVI DELAL DECISIONE
La società denunzia l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, ai sensi dell’ art. 360, n. 5, c.p.c. ed in particolare:
a) sulla insufficienza della prova relativa alla presentazione del lavoratore presso la sede
della OCRES, assume che la testimonianza resa dal teste indicato dal lavoratore è stata

Sciacquatori in azienda, nonostante che il responsabile amministrativo della società
avesse precisato che la segretaria forniva unicamente informazioni generiche e che era da
escludere che la stessa avesse potuto negare l’assunzione. Aggiunge che non vi era stata
neanche una raccomandata e/o una richiesta scritta che potesse confermare la volontà di
dare seguito all’avviamento al lavoro e che nell’atto di avviamento era stato stabilito il
termine di presentazione di cinque giorni, con previsione, in caso di mancato rispetto dello
stesso, della perdita della possibilità di partecipare all’avviamento immediatamente
successivo. Rileva la contraddizione con quanto affermato dal teste della società
resistente in primo grado e la mancata indicazione dell’identità della persona cui era stata
rivolta la richiesta di assunzione, idonea a realizzare l’accettazione di una proposta
irrevocabile capace di determinare la conclusione del contratto;
b) sulla omessa acquisizione probatoria presso l’U.P.L.M.O. di documentazione attestante
l’eventuale successivo avviamento del lavoratore, al fine di quantificare il danno imputato
all’azienda inadempiente, assume che l’onere probatorio al riguardo gravi sul lavoratore,
che avrebbe dovuto documentare, al fine di limitare il risarcimento dovutogli, l’eventuale
reinserimento nelle liste di collocamento e/o la successiva chiamata, e che il giudice del
merito avrebbe dovuto disporre l’acquisizione presso l’ufficio suindicato delle informazioni
necessarie, al fine di circoscrivere entro i giusti limiti le conseguenze risarcitorie;
c) sulla insufficienza probatoria in merito alla effettiva presentazione del lavoratore invalido
presso l’azienda nel termine apposto dall’U.P.L.M.O. nell’atto di avviamento, rileva che la
previsione di una decadenza dal diritto all’assunzione come effetto sanzionatorio del
mancato rispetto del termine può desumersi dal contesto normativo, indipendentemente
da una specifica qualificazione, e che la introduzione di termine perentorio può essere
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erroneamente ritenuta decisiva dalla Corte ai fini della prova della presentazione dello

disposta dal negozio. Osserva che i termini fissati dall’amministrazione sono per loro
natura apposti al fine di consentire il corretto e celere esercizio dell’attività amministrativa
e richiama il contenuto della sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda,
ritenendo che, in tema di inadempimento di obbligazioni corrispettive, se la parte
convenuta eccepisca l’inadempimento dell’attore, su quest’ultimo grava l’onere della prova
di avere adempiuto all’obbligazione di cui l’altra è creditrice ed evidenzia che tale onere

Il ricorso è infondato.
Il primo ed il terzo profilo della doglianza possono esaminarsi congiuntamente, per
l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.
In base al sistema delle assunzioni obbligatorie degli invalidi (ed assimilati) disciplinato
dalla legge 2 aprile 1968 n.482 e, successivamente, dalla legge 12.3.1999 n. 68, in forza
del provvedimento di avviamento sorge a carico del datore di lavoro un mero obbligo
legale di stipulare il contratto di lavoro ed all’autonomia delle parti è affidata la
determinazione dei molteplici elementi essenziali del contratto. Conseguentemente,
qualora manchi la necessaria collaborazione dell’invalido, viene meno l’obbligo di
stipulazione posto dalla legge a carico del datore di lavoro (cfr. Cass. 27.2.1995 n. 2237,
Cass. 25.10.1996 n. 9319). La collaborazione dell’invalido può essere ancorata alla
previsione di un termine, contenuta nell’atto di avviamento entro il quale lo stesso deve
presentarsi in azienda. Non può ritenersi, tuttavia, che sia consentito fissare termini
decadenziali che rendano oggettivamente gravoso l’esercizio del diritto stesso, anche
tenendo conto, in linea generale, del fatto che le norme che disciplinano l’azione
amministrativa ed, in particolare, il provvedimento amministrativo, sono tutte norme
imperative, giacchè trovano fondamento nei principi costituzionali di buon andamento e di
efficienza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Il limite rimane sempre anche
in tal caso quello di evitare che i termini rendano troppo difficile l’esercizio del diritto a una
delle parti. La valutazione, a norma dell’art. 2965 cod. civ., circa la congruità del termine
di decadenza previsto contrattualmente, di competenza del giudice di merito, deve avere
riguardo alla brevità dello specifico termine e alla particolare situazione del soggetto
obbligato a svolgere l’attività prevista per evitare la decadenza.
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non era stato nella specie assolto.

Con riguardo specificamente al rapporto di lavoro e sia pure con riferimento a fattispecie
non del tutto assimilabile dei termini di decadenza previsti dai contratti collettivi per
l’esercizio dei diritti dei lavoratori, è stato ritenuto che assume particolare rilievo, ai fini di
tale valutazione di congruità, il raffronto con la disciplina dell’art. 2113 c. c. sulle rinunce e
le transazioni — che possono essere impugnate entro sei mesi dalla loro data e comunque
entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – potendosi assimilare l’inerzia del

assunto dalla ricorrente, più che ai principi in tema di obbligazioni corrispettive che
impongono al soggetto creditore, di fronte all’eccezione del debitore che assume
l’inadempimento del primo, di provare di avere adempiuto all’obbligazione di cui l’altra
parte è creditrice, si tratta di valutare se la possibilità per l’amministrazione di stabilire un
termine a carico del lavoratore nell’atto di avviamento al lavoro possa incidere nel senso di
desumere dal mancato rispetto dello stesso, e quindi dall’inerzia del lavoratore, l’implicita
volontà di rinuncia all’assunzione, senza considerare che, nella specie, non risulta
neanche — come accertato dalla Corte del merito – che il comportamento del predetto si sia
in maniera certa discostato dalla previsione dell’atto della P.A.
Ed invero, risulta in fatto che lo Sciacquatori si è recato presso la sede società Ocres nei
primi di maggio 2002, a stretto ridosso temporale dell’atto di avviamento e che “ha ricevuto
il rifiuto all’assunzione”. A fronte di tali emergenze, la società ha eccepito che non risulta
l’identità del soggetto cui era stata rivolta l’istanza e che non era seguita alcuna richiesta
ufficiale di assunzione, attraverso la presentazione di istanza scritta che confermasse la
volontà di dare seguito all’avviamento al lavoro. Orbene, come già evidenziato, il ritenere
che il tempo trascorso dall’avviamento alla presentazione in azienda sia o non sia
sufficiente base per dedurre la pur implicita volontà di rinuncia all’assunzione è un ovvio
apprezzamento di merito, che, adeguatamente motivato, resta estraneo al controllo di
legittimità. E nel caso in esame la Corte d’Appello ha indicato gli elementi (la
comunicazione dell’atto di avviamento e le modalità di tempo e luogo di presentazione del
lavoratore presso l’azienda) attraverso i quali ha desunto l’insufficienza della dedotta
ragione del rifiuto e della mancata assunzione con correlativa inosservanza del
corrispondente obbligo. Tali elementi appaiono anche adeguati ad un corretto percorso
logico; ne’, peraltro, la ricorrente contesta direttamente l’adeguatezza di questi elementi,

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lavoratore ad un’implicita rinunzia (Cass. 9202/2003). Quindi, contrariamente a quanto

ne’ specifica le ragioni in base alle quali il giudice del gravame avrebbe potuto ritenere
realizzata una definitiva inosservanza dell’avviamento dopo il decorso del termine di
cinque giorni dall’avviamento, se non richiamando in modo affatto generico la contraria
dichiarazione del teste della parte datoriale che avrebbe escluso la possibilità per la
segretaria contattata dallo Sciacquatori di negare l’assunzione, essendo la stessa
deputata unicamente a fornire informazioni di carattere generale. Non risultano, tuttavia,

della società e tanto basta per affermare che correttamente è stato ritenuto che non vi era
stata rinuncia all’avviamento e che permaneva il vincolo costituito da questo atto, con
conseguente obbligo del datore di lavoro di costituire il rapporto di lavoro ed il simmetrico
diritto alla costituzione. Conseguentemente al riscontro che non risulta chiarita in termini
idonei la decisività della circostanza di fatto asseritamente trascurata dal giudice del
merito, nella permanenza del vincolo idoneo a configurare un inadempimento della
società, bene è stato determinato il risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni
mensili non percepite.
Quanto al secondo profilo di doglianza ed, in particolare, con riguardo alla prova del
successivo avviamento e di una successiva chiamata del lavoratore, gravante, secondo la
ricorrente, sul lavoratore, è sufficiente richiamare l’insegnamento di legittimità,
reiteratamente espresso in tema di nullità del termine apposto al contratto di lavoro ma
utilmente richiamabile nella fattispecie all’esame, secondo il quale, in tema di risarcimento
del danno dovuto al lavoratore, ai fini della sottrazione dell”aliunde perceptum” dalle
retribuzioni dovute al lavoratore, è necessario che risulti la prova, il cui onere grava sul
datore di lavoro, non solo del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo
una nuova occupazione, ma anche di quanto percepito, essendo questo il fatto che riduce
l’entità del danno presunto (cfr. Cass., ord. , sez. 6°, 26.10.2010 n. 21919). Occorre,
invero, che il datore di lavoro dimostri quantomeno la negligenza del lavoratore nella
ricerca di altra proficua occupazione, o che comunque risulti, da qualsiasi parte venga la
prova, che il lavoratore abbia trovato una nuova occupazione e quanto egli ne abbia
percepito, tale essendo il fatto idoneo a ridurre l’entità del danno risarcibile (cfr., in tale
senso, Cass. 10.4.2012 n. 5676).
Per tutte le esposte considerazioni il ricorso deve essere respinto.
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indicati in modo puntuale i termini della dichiarazione resa dal responsabile amministrativo

Nulla va statuito sulle spese di lite del presente giudizio, essendo lo Sciacquatori rimasto
intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese.

Così deciso in Roma,iI27.6.2013

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