Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21456 del 19/08/2019

Cassazione civile sez. II, 19/08/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 19/08/2019), n.21456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13121-2015 proposto da:

D.T., D.M., D.A., D.F.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA VIRGILIO ORSINI 19, presso lo

studio dell’avvocato VITTORIO MAESTRI, rappresentate e difese

dall’avvocato FRANCESCO SANTORO;

– ricorrenti –

contro

C.G. in sostituzione di C.D. E FIGLI SNC,

elettivamente domiciliati in ROMA, V.G.NICOTERA 29, presso lo studio

dell’avvocato MICHELE GUZZO, rappresentati e difesi dall’avvocato

MAURIZIO SAVASTA;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 587/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/04/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Maurizio Savasta e Flavia Ugolini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 14-3-1991 le sorelle D.M., F., T. ed A. convenivano dinanzi al Tribunale di Trani C.D., deducendo: a) che, con contratto preliminare di permuta concluso in data (OMISSIS), Ca.Vi. e D.L., rispettivamente madre e fratello delle istanti, si erano impegnati a cedere al convenuto un compendio immobiliare sito in (OMISSIS), in cambio di una percentuale di quanto lo stesso avrebbe edificato sull’intera superficie; b) che, in esecuzione del predetto contratto preliminare, erano stati stipulati una compravendita per la cessione del suolo e dei contratti preliminari per l’acquisto degli immobili realizzandi, nei quali erano intervenuti, quali promittenti acquirenti, i figli della Ca.; c) che le parti contemporaneamente avevano integrato il loro programma negoziale con una scrittura privata sottoscritta il 17-12-1986.

Ciò posto e atteso che il C. era rimasto inadempiente agli obblighi assunti, le attrici chiedevano il trasferimento ex art. 2932 c.c. degli immobili previsti quale corrispettivo della permuta, e l’attribuzione in proprietà dei 4/7 del 40% di tutte le cubature realizzate in più rispetto a quelle previste in permuta, il risarcimento dei danni per la ritardata consegna e per i vizi riscontrati negli immobili, il pagamento delle penali pattuite e delle spese necessarie per il trasferimento degli immobili, la restituzione delle somme incassate dal convenuto per la locazione degli immobili.

2. Con sentenza non definitiva del 25 febbraio 2003 il giudice di primo grado accoglieva parzialmente la domanda ex art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento in favore delle attrici della proprietà degli immobili oggetto dei contratti preliminari di vendita come indicati in dispositivo, previa corresponsione del 50% dell’IVA sul prezzo già pagato; accoglieva parzialmente la domanda diretta al riconoscimento della penale da ritardo, rigettava, invece, quella finalizzata al pagamento della penale da inadempimento così come rigettava le domande di risarcimento danni per vizi degli immobili e di pagamento delle somme ricevute per canoni di locazione; condannava genericamente le attrici al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..

3. Avverso la predetta decisione proponevano appello immediato le sorelle D. e appello incidentale il C..

Con sentenza non definitiva del 23 febbraio 2006 la Corte di Appello di Bari rigettava l’eccezione sollevata dal C. di inammissibilità della domanda ex art. 2932 c.c. proposta dalle attrici; rigettava la domanda delle appellanti principali, diretta ad ottenere la consegna a D.M. di un posto auto diverso rispetto a quello assegnatole; in parziale accoglimento dell’appello principale, revocava la condanna generica delle attrici per responsabilità aggravata; rigettava la domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. proposta dalle appellanti principali; dichiarava inammissibile la domanda del C. diretta al riconoscimento degli interessi moratori sulle somme attribuitegli dal primo giudice come corrispettivo degli immobili trasferiti in proprietà alle sorelle D.; disponeva come da separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio in relazione alle pretese delle appellanti principali circa le domande ex art. 2932 c.c. riproposte in appello e quelle concernenti le penali, nonchè la domanda diretta a conseguire le somme incassate dal C. a titolo di canoni di locazione relativi all’immobile poi trasferito ad D.A..

4. La causa in appello proseguiva con una consulenza tecnica d’ufficio avente ad oggetto alcuni aspetti fattuali della vicenda necessitanti ulteriore approfondimento, con particolare riguardo alla cosiddetta lottizzazione “(OMISSIS)”.

5. Anche il giudizio di primo grado proseguiva, giungendo a conclusione con sentenza definitiva di condanna di C.D. al pagamento di somme a titolo di equivalente monetario delle superfici residue ancora dovute alle sorelle D., in particolare: Euro 10.611,39 a D.M., Euro 18.829,25 a D.F., Euro 9218,76 ad D.A., e di condanna delle sorelle D. al pagamento in favore del C., a titolo di ristoro di danni ex art. 96 c.p.c. della somma di Euro 20.658,28 oltre rivalutazione secondo indici Istat dal 23 marzo 1995 alla sentenza ed interessi legali sulla somma base annualmente rivalutata con la stessa decorrenza sino al soddisfo.

6. Anche la sentenza definitiva di primo grado era oggetto di impugnazione sia da parte delle sorelle D. che del C., gli appelli venivano riuniti.

7. La Corte d’Appello di Bari rigettava l’appello principale delle D. avverso la sentenza non definitiva. Accoglieva parzialmente l’appello incidentale del C. avverso la sentenza non definitiva a modifica dei capi da 10 a 12 del dispositivo della sentenza; revocava la condanna del C. a pagare rivalutazione e interessi delle somme per sorte capitale indicate nei capi da 10 a 12.

7.1 Con riferimento alla sentenza definitiva accoglieva parzialmente gli appelli delle D. e del C. e, a modifica del capo primo del dispositivo della sentenza impugnata, condannava C.D. a pagare la somma di Euro 28.898 in favore di D.M., la somma di Euro 28.007 in favore di D.A., di Euro 37.091 nei confronti di D.F..

7.2 La Corte d’Appello, preliminarmente, precisava che erano state definitivamente risolte le questioni relative al posto auto, la condanna generica della D. al risarcimento dei danni per aver trascritto la domanda giudiziale senza la normale prudenza, e la domanda risarcitoria per responsabilità aggravata in appello spiegata dalla D., e quanto all’appello del C. erano già risolte le questioni relative all’eccezione di inammissibilità delle domande ex art. 2932 c.c. che a loro volta erano state accolte dal Tribunale e la domanda di riconoscimento di interessi moratori sulle somme attribuite al corrispettivo dei beni trasferiti dalle controparti. Dunque, di tali questioni non doveva più discutersi.

7.3 Il giudice del gravame rigettava la censura relativa alla pronuncia di difetto di interesse delle D., perchè era stata accolta la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. e riteneva sussistente la necessità di pronunciarsi sul trasferimento del bene, in quanto nonostante le parti si fossero accordate per il trasferimento degli immobili oggetto dei quattro contratti preliminari di compravendita gli atti pubblici non erano stati stipulati e dunque, la cessazione della materia del contendere non assorbiva tale questione e, non vi era alcuna contraddizione tra il dispositivo e la motivazione della sentenza.

7.4 Per quel che ancora rileva la Corte d’Appello riteneva che il motivo di censura riguardante la mancata consegna per mancato trasferimento delle superfici residue di cui all’art. 3 della scrittura integrativa del 17 dicembre 1986 fosse inammissibile per difetto di specificità ex art. 342 c.p.c., posto che, non era formulata alcuna censura rispetto alla motivazione della sentenza di primo grado che aveva affermato non potersi procedere all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, in quanto l’opzione era prevista collettivamente in favore di tutti i germani D., previo conteggio e conguaglio tra essi e tali conguagli e conteggi non erano stati eseguiti.

Le appellanti si erano limitate ad affermare che l’errore del Tribunale era consistito nel non aver tenuto conto della clausola numero 6 della scrittura integrativa e della bozza di transazione predisposta dal C..

La clausola n. 6 si riferiva secondo la Corte d’Appello alla differenza tra superfici attribuite con i contratti preliminari di vendita e superfici di permuta, ponendosi in rapporto di specialità rispetto alla clausola numero tre, nel senso che una volta quantificata la superficie di permuta ancora a credito delle D., da attribuire collettivamente, ove le quattro sorelle ricorrenti in virtù dei conteggi e dei conguagli fossero risultate creditrici di superfici tali da integrare un’unità autonoma, il C. avrebbe dovuto consentire a D.F. di conseguire un’autonoma unità immobiliare.

La determinazione delle quote a credito delle sorelle implicava la preliminare determinazione della complessiva superficie a credito. Quanto alla proposta transattiva la stessa non equivaleva a riconoscimento del diritto e non poteva influire sulle ragioni della decisione ma evidenziava che il contenuto dell’oggetto del contratto era indeterminato tanto da determinarne la nullità.

Infatti le pattuizioni indicate consentivano di rilevare solamente il diritto dei sette germani D. di conseguire una determinata percentuale di superficie rispetto al costruito e di desumere da tale premessa il diritto di tutti a ricevere, quale unicum indivisibile, la differenza di superficie a credito e, una volta eseguiti i conteggi e i conguagli, il diritto di D.F. di rendersi intestataria dell’unità autonoma in base ai resti superficiari suoi e delle sorelle. Dunque dal contratto non era possibile ricavare quale fosse la superficie complessivamente a credito delle D. e neanche se la superficie integrativa dovesse essere riconosciuta sotto forma di unità abitativa o di locale, a quale fabbricato si facesse riferimento, a quale piano e a quali dimensioni.

Il giudice del gravame evidenziava che la possibilità di determinare l’oggetto di un contratto preliminare attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua conclusione, trova limite proprio nel caso in cui l’identificazione del bene da trasferire non avvenga mediante contratto definitivo bensì afferisca alla pronuncia giudiziale prevista dall’art. 2932 c.c. che presuppone necessariamente l’esatta individuazione del bene.

Per questo motivo le domande ex art. 2932 proposte dalle D. non potevano essere accolte.

Le stesse considerazioni dovevano svolgersi anche nei confronti della domanda ex art. 2932 della cosiddetta lottizzazione “(OMISSIS)” riferita alla clausola numero otto della scrittura privata integrativa rispetto alle superfici diverse distinte da quelle relative ai sette corpi di fabbrica progettualmente previsti. Dalla scrittura integrativa non emergevano elementi tali da individuare i beni e a conferma dell’indeterminatezza dell’oggetto del contratto, le stesse appellanti facevano riferimento alle proposte formulate dal C. nel periodo delle trattative per il bonario componimento della lite. Dunque, le obbligazioni di cui all’art. 8 della scrittura integrativa erano del tutto indeterminate e non consentivano la pronuncia ex art. 2932 c.c., non essendo possibile il trasferimento coattivo di superfici identificate solo nella percentuale, non avendo peraltro le parti formulato domanda di risarcimento del danno.

Anche i motivi di appello che riguardavano le penali per l’inadempimento e per il ritardo erano infondati. La penale per l’inadempimento non era dovuta, avendo il creditore accettato la prestazione anche se tardiva e non essendo stata trasfusa nei contratti preliminari ma prevista solo nell’originario contratto di permuta.

La penale per il ritardo nella consegna dei beni era dovuta nei limiti individuati dal Tribunale che comprendeva oltre alle unità abitative, anche i box e i posti macchina avvinti dal nesso di pertinenzialità con i primi. Veniva rigettato anche il motivo di appello relativo ai canoni percepiti dal C. nel periodo di ritardata consegna del bene.

La Corte d’Appello, infine, rigettava tutti i motivi di impugnazione della sentenza non definitiva di primo grado non ancora esaminati con la sentenza non definitiva d’appello.

In particolare, per quel che ancora rileva, la Corte d’Appello riteneva infondato il motivo relativo alla condanna ex art. 96 c.p.c. delle sorelle D. per lite temeraria per l’imprudente trascrizione della domanda. Tale condanna, infatti, era stata annullata con la sentenza non definitiva di appello, e tuttavia gli effetti dall’annullamento potevano prodursi solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza riformata.

8. D.M., D.F., D.T. ed D.A. hanno proposto ricorso per la cassazione della suddetta sentenza, sulla base di sette motivi

9. C.G., in qualità di erede di C.D. e di legale rappresentante della C.D. e figli snc, ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale affidato a un motivo.

10. Entrambe le parti con memorie depositate in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto – omessa motivazione e contraddittorietà della medesima su un fatto decisivo del giudizio art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 342 c.p.c. e agli artt. 1362,1363 e 1367 c.c..

Le ricorrenti avevano censurato la pronuncia non definitiva del Tribunale di Trani lamentandone l’erroneità nella parte in cui aveva ritenuto intrasferibile pro quota ulteriori superfici spettanti alle ricorrenti in virtù del contratto preliminare di permuta. Inoltre, avevano lamentato che la clausola n. 6 della scrittura integrativa dei rispettivi preliminari di vendita, stipulata contestualmente agli stessi, prevedeva in capo alle sorelle D. il diritto al residuo, qualora vi fosse stata differenza tra le superfici di preliminare e quelle di permuta.

Le due doglianze erano strettamente interdipendenti e l’una costituiva il presupposto logico giuridico dell’altra.

Secondo i ricorrenti la Corte d’Appello non avrebbe colto il nesso tra le due censure e, secondo la corretta interpretazione della clausola, l’attribuzione collettiva a tutti i germani della superficie a conguaglio era prevista per il caso in cui ciascuno di costoro avesse avuto una superficie minore rispetto a quella spettante per il raggiungimento della percentuale globale del 40%. In sostanza la superficie dei singoli appartamenti consegnati a ciascuno dei germani doveva corrispondere nel complesso al 40% di quanto era stato realizzato sul suolo oggetto della permuta. Dall’ambito di applicazione di tale previsione contrattuale non poteva restare escluso il caso in cui alcuno dei germani avesse avuto esattamente quanto di sua competenza. A conferma di ciò la ricorrente evidenzia che la clausola n. 3 della scrittura integrativa prevedeva che, una volta fatti i dovuti conteggi e conguagli, il completamento sarebbe spettato solo in favore della D.F. nel caso in cui la differenza fra la superficie di preliminare e quella di permuta sussistesse – come in realtà si era verificato – soltanto nei confronti delle sorelle D..

La diversa interpretazione fondata rigidamente sulla lettera della clausola portava a ritenere necessaria l’attribuzione collettiva delle differenze a conguaglio a tutti i sette germani D. anche nel caso concreto in cui alcuni di essi avessero già ricevuto esattamente quanto a loro dovuto.

Sulla base di tali considerazioni le ricorrenti ritengono che la decisione impugnata violi gli artt. 1362,1363 e 1367 c.c..

1.2 Il primo motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

Per quanto attiene alla violazione dell’art. 342 c.p.c. il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la sentenza impugnata che aveva dichiarato a sua volta inammissibile il terzo motivo di appello per difetto di specificità. Sul punto le ricorrenti non formulano alcuna censura, limitandosi a richiamare la violazione dell’art. 342 c.p.c. senza indicare l’effettivo contenuto del motivo di appello e le ragioni dell’erronea statuizione circa il difetto di specificità dello stesso.

Con riferimento alla violazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c. la censura è infondata in quanto le ricorrenti si limitano a prospettare una diversa interpretazione delle clausole contrattuali che, prescindendo dal dato letterale, valorizzi il collegamento tra la clausola numero 3 e quella numero 6 della scrittura integrativa del 17 dicembre 1986 e, tuttavia, non indicano le ragioni per le quali la Corte d’Appello avrebbe violato le citate norme in materia di interpretazione del contratto.

Peraltro il motivo di ricorso non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza che aveva ritenuto nulle le clausole n. 6 e 8 per l’indeterminatezza dell’oggetto a aveva affermato la conseguente impossibilità di pronuncia ex art. 2932 c.c..

A tal proposito deve ribadirsi che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: “In tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Sez. 1, Ord. n. 27136 del 2017).

In altri termini l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poichè, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa.

Nella specie il ricorrente nel censurare l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata ne prospetta una diversa fondata sulla mera contrapposizione di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue.

L’interpretazione della Corte d’Appello è ampiamente e congruamente motivata e non si fonda solo sul criterio letterale che pure assume un carattere prioritario, ma anche sui restanti criteri logici, teleologici e sistematici posto che, anche volendo accedere alla tesi dei ricorrenti, la necessità di effettuare i necessari conteggi e conguagli cui la clausola n. 6 subordinava l’ulteriore prestazione a carico del C., era il presupposto necessario per poter affermare che tutti i germani D. erano stati soddisfatti nell’esatta misura prevista in contratto. Peraltro, con il motivo in esame le ricorrenti non hanno indicato quale fosse il bene oggetto del contratto e dunque non può che confermarsi la statuizione della Corte d’Appello circa l’impossibilità di addivenire ad una pronuncia ex art. 2932 c.c..

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto – omessa motivazione, contraddittorietà della medesima su un fatto decisivo del giudizio art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1326 c.c..

I ricorrenti avevano lamentato davanti alla Corte d’Appello di Bari che il giudice di primo grado non aveva considerato il fatto decisivo per la soluzione della controversa rappresentato dalla bozza di transazione predisposta dal C. nella quale questi si era obbligato a trasferire alla D.F. l’immobile individuato proprio in esecuzione di quanto previsto dalle clausole 3 e 6 dell’atto integrativo del 17 dicembre 1986. La Corte aveva disatteso tale censura, richiamando semplicemente il principio secondo cui le proposte transattive non equivalgono a riconoscimento del diritto e non influiscono sulle ragioni della decisione.

Secondo il ricorrente quella della Corte d’Appello sarebbe una motivazione apparente in quanto non tiene conto del fatto che il documento era stato sottoscritto dalle sorelle D. e non era mai stato oggetto di contestazione da parte del C. e, dunque, vi sarebbe stata l’accettazione della proposta.

Il ricorrente richiama il principio secondo il quale i fatti specificamente indicati da una delle parti non contestati devono ritenersi come ammessi e, dunque, la bozza transattiva essendo stata prodotta in giudizio senza alcuna contestazione espressa aveva superato gli stretti confini della trattativa e aveva assunto la natura di vera e propria proposta contrattuale.

2.1 Il secondo motivo è infondato.

Il consenso che le ricorrenti affermano aver prestato non è stato dedotto nel giudizio di merito con una richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere. Al contrario, le ricorrenti all’esito del giudizio di appello hanno insistito nelle loro conclusioni, a dimostrazione del fatto che nessuna vera accettazione della proposta transattiva effettuata dal C. si era verificata. Peraltro, le ricorrenti non riportano quale sarebbe stato il contenuto integrale delle reciproche concessioni, facendo riferimento solo ad una parte della proposta del C., rendendo quindi anche non sufficientemente specifico il motivo di ricorso ex art. 366 c.p.c..

La prospettazione del perfezionarsi dell’accordo transattivo da un lato, dunque, costituisce una questione nuova in quanto la sentenza impugnata vi fa riferimento al solo fine di evidenziare l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto che rendeva inammissibile la domanda ex art. 2932 c.c. e, dall’altro può essere esclusa in quanto, oltre al dato formale della mancata esplicitazione dei presupposti del negozio transattivo, nella specie è riscontrabile, sulla base anche della condotta tenuta dalle parti, una carenza assoluta degli elementi tipici del negozio stesso, quali, le reciproche concessioni e la volontà di porre fine a una lite.

Il ricorrente richiama anche il principio di non contestazione rispetto a quanto dedotto dal C. con la proposta transattiva e, tuttavia, le trattative per comporre bonariamente la lite, le proposte, le concessioni e le rinunzie a scopo transattivo di una delle parti, se non raggiungono l’effetto desiderato, non avendo come proprio presupposto l’ammissione, totale o parziale, della fondatezza della pretesa avversaria, non rappresentano un riconoscimento, anche solo implicito, del diritto altrui.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione di norme di diritto – omessa motivazione, contraddittorietà della medesima su un fatto decisivo del giudizio art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1326 c.c..

La censura riguarda il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica dell’ulteriore obbligo del C. di trasferire alle sorelle ricorrenti anche la percentuale di permuta delle altre superfici costruite sul suolo oggetto della permuta in virtù della cosiddetta lottizzazione “(OMISSIS)” in forza della clausola n. 8 dell’atto integrativo del 17 dicembre del 1986.

Il controricorrente C. si era obbligato a trasferire loro le eventuali superfici diverse e distinte da quelle relative ai sette corpi di fabbrica progettualmente previsti, la Corte d’Appello, pur riconoscendo la legittimazione attiva delle ricorrenti, ha ritenuto la nullità del preliminare per indeterminatezza dell’oggetto. Anche in questo caso il ricorrente richiama la proposta transattiva con la quale il C. aveva offerto alla ricorrente il trasferimento di ben individuati unità immobiliari in esecuzione degli obblighi di cui al richiamato art. 8 dell’atto integrativo. Dunque, su questo punto sarebbe intervenuta l’accettazione della proposta.

Il ricorrente, dunque, invoca la violazione dell’art. 1326 c.c. in tema di conclusione del contratto.

3.1 Il motivo è infondato.

Anche in questo caso deve, in primo luogo, osservarsi che i ricorrenti non riportano il contenuto della transazione che pure assumono a fondamento della loro censura. In ogni caso come si è detto con riferimento al secondo motivo la suddetta transazione non si era perfezionata e dunque non vi è stata alcuna violazione dell’art. 1326 c.c..

Devono ribadirsi, inoltre, le medesime argomentazioni spese per dichiarare l’infondatezza del secondo motivo circa il carattere di novità della prospettazione del perfezionarsi dell’accordo transattivo e la carenza assoluta degli elementi tipici del negozio transattivo quali, le reciproche concessioni e la volontà di porre fine a una lite.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto – omessa motivazione contraddittorietà della medesima su un fatto decisivo del giudizio art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1322 c.c., comma 1 e art. 2909 c.c..

Secondo il ricorrente la sentenza avrebbe errato nel dichiarare la nullità del preliminare per indeterminatezza dell’oggetto sulla base della considerazione che la bozza transattiva formulata dal C. non avrebbe avuto alcuna incidenza nella vicenda contrattuale intercorsa tra questi e le odierne ricorrenti.

Secondo il ricorrente l’interpretazione del contratto operata dalla Corte d’Appello sarebbe erronea, in quanto non tiene conto che l’atto integrativo era collegato al contratto di permuta del (OMISSIS) così come ai 7 preliminari di vendita in pari data 17 dicembre 1986 e, sulla base del nesso teleologico tra i negozi, l’atto integrativo doveva ritenersi retto dalla medesima causa dei suddetti contratti a cui accedeva. Pertanto, i contraenti avevano posto in essere una fattispecie negoziale complessa nell’ambito della loro autonomia negoziale ex art. 1322 c.c..

Dunque, secondo il ricorrente, poichè sulla validità dei preliminari stipulati il 17 dicembre 1986 si era formato il giudicato interno, tale giudicato doveva estendersi anche all’efficacia dell’atto integrativo. Risultava dunque palese la violazione dell’art. 2909 c.c..

4.1 Il quarto motivo è inammissibile.

Il motivo mescola due differenti censure, da un lato, la violazione dell’art. 1322 c.c. in materia di autonomia privata, in virtù del quale la D.F. avrebbe stipulato un preliminare valido ed efficace in quanto collegato al contratto di permuta del (OMISSIS) e, dall’altro, ritiene violato l’art. 2909 c.c. in materia di giudicato.

Sotto il primo profilo deve ribadirsi che per affermare l’erroneità della statuizione di nullità del contratto preliminare stipulato da D.F. per indeterminatezza dell’oggetto, il ricorrente avrebbe dovuto indicare la violazione di un criterio legale di interpretazione e non invocare la violazione dell’art. 1322.

Per quanto attiene alla violazione dell’art. 2909 c.c. il motivo non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che sul punto faceva riferimento all’irrilevanza della bozza transattiva in virtù della quale i ricorrenti ritenevano avesse assunto sufficiente determinatezza il contratto, mentre risulta del tutto nuova l’eccezione di giudicato interno sulla validità dei 7 preliminari di vendita.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 1362,1367,817 e 818 c.c..

Le ricorrenti censurano il rigetto della domanda con la quale chiedevano il riconoscimento della penale di Lire 400.000 per ogni mese di ritardo con riferimento alla tardiva consegna dei boxer e dei posti macchina. La Corte d’Appello aveva condiviso la decisione del primo giudice, secondo la quale tale clausola non era stata trasfusa nel preliminare di vendita che invece riguardava solo le unità immobiliari. Osserva il ricorrente che nel concetto di unità immobiliari rientrano anche le pertinenze e, dunque, il ritardo nella consegna di tale parte degli immobili rientrava nella clausola trasfusa nel preliminare di vendita.

5.1 Il quinto motivo è infondato.

In primo luogo deve evidenziarsi che il motivo, se pure rivolto alla parte della sentenza che aveva rigettato il motivo di appello relativo alla domanda di pagamento della clausola penale per il ritardo nella consegna dei box e dei posti macchina, non distingue con chiarezza la parte della sentenza che aveva negato la penale per l’inadempimento con quella relativa alla penale per il ritardo.

La domanda di pagamento della penale per l’inadempimento è stata rigettata perchè la prestazione del C., anche se tardiva, è stata accettata dalle ricorrenti, oltre che per non essere stata trasfusa nei preliminari di vendita.

Per quanto riguarda la penale per il ritardo la sentenza impugnata è immune dai vizi di violazione di legge prospettati.

La domanda delle ricorrenti di pagamento della penale per il ritardo nella consegna dei beni, infatti, è stata accolta con decorrenza dal 5 luglio 1990 fino all’11 novembre del 1992. Tale penale per il ritardo comprendeva anche il ritardo nella consegna dei box o posti macchina, in quanto gli stessi, essendo pertinenze delle unità residenziali, non potevano essere ritenuti autonome unità immobiliari, come previsto in contratto, e quindi non potevano essere calcolati una seconda volta.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto – omessa motivazione su un fatto decisivo del giudizio – art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 1382,1218 e 2043 c.c..

D.A. aveva censurato la sentenza del Tribunale di Trani anche nella parte in cui aveva rigettato la domanda di condanna del C. a corrispondere la somma di Lire 58.344.000 indebitamente percepita dal Comune di Barletta con la locazione del locale che doveva esserle consegnato sin dal dicembre del 1990.

Secondo le ricorrenti la clausola penale pattuita per il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione non consentiva al debitore C. di tenere rispetto a detto ritardo un’ulteriore condotta autonomamente pregiudizievole. Infatti il C. aveva disatteso il suo obbligo contrattuale di consegnare alla D. l’immobile entro la data pattuita nel preliminare e aveva stipulato con il Comune di Barletta il contratto di locazione dal quale aveva ricavato la somma sopra indicata.

6.1 Il sesto motivo è infondato.

Il danno per la ritardata consegna, come si è già detto, è stato riconosciuto mediante l’accoglimento della domanda relativa al pagamento della penale contrattualmente prevista, sicchè non può riconoscersi un ulteriore risarcimento per il medesimo titolo, non essendo contrattualmente previsto.

La clausola penale costituisce, infatti, una pattuizione accessoria del contratto, che svolge, oltre alla funzione di rafforzare il vincolo contrattuale, quella di stabilire, in via preventiva, la prestazione dovuta per il caso di inadempimento o ritardo, con l’effetto di determinare e limitare a tale prestazione (semprechè non sia stata pattuita la risarcibilità del danno ulteriore, circostanza non dedotta nel caso di specie) la misura del risarcimento dovuto (Sez. 3, Sent. n. 11204 del 1998).

Inoltre, nel contratto preliminare, ove non sia prevista la consegna anticipata del bene, il promettente venditore rimane proprietario oltre che possessore dell’immobile ed è, quindi, legittimato a percepire i frutti civili fino alla stipula del definitivo.

Del tutto infondata, infine, è la pretesa di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale che nella specie non è in alcun modo configurabile.

7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 336 c.p.c. e 129 bis disposizioni di attuazione del codice procedura civile.

Il motivo attiene alla condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. delle sorelle D.. Tale condanna era stata annullata dalla Corte territoriale che aveva riformato sul punto la sentenza non definitiva di primo grado. Il Tribunale barese con la sentenza definitiva, nonostante l’annullamento in appello di quella non definitiva, aveva proceduto alla liquidazione del danno perchè non era passata in giudicato la pronuncia non definitiva d’appello.

7.1 Il settimo motivo è fondato.

Le ricorrenti, con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, hanno evidenziato che questa Corte con la sentenza n. 8913 del 2013, nel decidere il ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva della Corte d’Appello di Bari n. 143 del 2006, ha cassato con rinvio, ritenendo fondato il motivo relativo alla condanna ex art. 96 c.p.c. e la Corte d’Appello in sede di giudizio di rinvio ha negato la sussistenza dei presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. delle D..

Ne consegue che deve farsi applicazione del principio più volte espresso da questa Corte secondo il quale: “La cassazione, anche se con rinvio, della sentenza non definitiva, che abbia pronunciato positivamente sull'”an debeatur”, comporta la caducazione della sentenza sul “quantum”, dipendendo quest’ultima totalmente dalla prima, che della sentenza definitiva costituisce il fondamento logico-giuridico non sostituibile, “ex post”, dalla nuova pronuncia in sede di rinvio, neppure se contenente statuizioni analoghe a quella della sentenza cassata” (Sez. 3, Sent. n. 2125 del 2006).

Poichè la cassazione della sentenza non definitiva è anteriore alla sentenza definitiva in questa sede impugnata ha errato la Corte d’Appello nel ritenere che la statuizione sulla quantificazione del danno dovesse essere confermata in attesa del passaggio in giudicato dell’annullamento della sentenza non definitiva di condanna sull’an. La Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere inammissibile l’appello essendo venuta meno la sentenza oggetto del gravame. Ne consegue che la parte ha ancora interesse al ricorso e che, in ogni caso, questa Corte può rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello che il giudice di merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado (Sez. 2, Ord. n. 26525 del 2018).

8. Il motivo di ricorso incidentale è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto, omessa motivazione e contraddittorietà, violazione art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente censura la motivazione con la quale è stato condannato a corrispondere alle D. le somme a titolo di conguaglio e di penale per il ritardo con anche il pagamento degli interessi.

8.1 Il motivo è inammissibile.

La doglianza è del tutto generica, non individua esattamente la parte della sentenza impugnata, fa riferimento indistintamente alla penale per il ritardo, alla sentenza di primo grado e alle responsabilità imputabili al Comune di Barletta nel rilascio del certificato di abitabilità, ed è proposta come vizio di omessa e contraddittoria motivazione non più ricompreso nel novero di quelli previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

9. In conclusione, la Corte rigetta i primi sei motivi del ricorso principale, dichiara inammissibile il motivo di ricorso incidentale, accoglie il settimo motivo del ricorso principale e cassa senza rinvio in parte qua la sentenza impugnata1ex art. 382 c.p.c., comma 3.

10. Le spese del giudizio possono essere compensate vista la reciproca soccombenza.

11. Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta i primi sei motivi del ricorso principale, dichiara inammissibile il motivo di ricorso incidentale, accoglie il settimo motivo del ricorso principale e cassa senza rinvio in parte qua la sentenza impugnata ex art. 382 c.p.c., comma 3.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis, stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2019

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