Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21453 del 21/10/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 21453 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MATERA LINA

Data pubblicazione: 21/10/2015

SENTENZA

sul ricorso 24551-2010 proposto da:
PIUBELLI MARIA LAURA PBLMLR66C48L781W, ZANTEDESCHI
AMALIA ZNTMLA37M55C412D in proprio e quali

eredi di

PIUBELLI CARLO, elettivamente domiciliati in ROMA,
LARGO TONIOLO 6, presso lo studio dell’avvocato
UMBERTO MORERA, che li rappresenta e difende
2015

unitamente all’avvocato SILVANA NARDELLI;
– ricorrenti –

1741

Nonché da:
CATULLO COSTRUZIONI DI ZAMBONI GIOVANNI & C SNC
01781960230, IN PERSONA DEL SOCIO E LEGALE RAPP.TE

o

GIOVANNI

ZAMBONI

ZMBGNN29H07B296W v-IN

PROPRIO,

elettivamente domiciliat9 in ROMA, PIAZZA DELLA
LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO
CAPECCI, che 1(1) rappresenta e difende unitamente agli
avvocati ARIANNA FIOCCO, LUIGI PASETTO;

contro

ZANTEDESCHI AMALIA ZNTMLA37M55C412D, PIUBELLI MARIA
LAURA PBLMLR66C48L781W, elettivamente domiciliati in
ROMA, LARGO TONIOLO 6, presso lo studio dell’avvocato
UMBERTO MORERA, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato SILVANA NARDELLI;
– controricorrenti al ricorso incidentale –

Nonché da:
CATULLO

COSTRUZIONI

01781960230,

DI ZAMBONI GIOVANNI & C SNC

IN PERSONA DEL COAMMINISTRATORE E LEGALE

RAPP.TE MARCHI DAMIANO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA ALCIDE DE GASPERI 21, presso lo studio
dell’avvocato CRISTIANA VANDONI, che le rappresenta e
difende unitamente all’avvocato SILVIO TOSI;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

ZANTEDESCHI AMALIA ZNTMLA37M55C412D, PIUBELLI MARIA
LAURA PBLMLR66C48L781W, IN PROPRIO E QUALI EREDI
LEGITTIMI DI PIUBELLI CARLO, elettivamente domiciliati
in ROMA,

LARGO TONIOLO 6,

presso lo studio

– controricorrentep e ricorrenté incidentale –

dell’avvocato UMBERTO MORERA, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato SILVANA NARDELLI;
– controricorrenti al ricorso incidentale non chè contro

VINCO

ALBINO

VNCLBN46E16H608D,

MARCHI

DAMIANO

– intimati. –

avverso la sentenza n. 1246/2009 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 16/07/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/07/2015 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’Avvocato Nardelli Silvana difensore dei
ricorrenti che si riporta alle conclusioni in atti
depositate;
uditio; peAvv.P Vandoni Cristina e l’Avv. Capecci
Francesco difensori dei controricorrenti e ricorrenti
incidentali che si riportano anche loro alle
conclusioni già depositate in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, l’assorbimento del
ricorso incidentale condizionato: inammissibile e
comunque infondato il ricorso del coamministratore
Catullo snc.

MRCDMN51517H712S;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 22-25 giugno 1993 Piubelli Carlo,
Piubelli Maria Laura e Zantedeschi Amalia convenivano davanti al
Tribunale di Verona Zamboni Giovanni, Vinco Albino e la Catullo

inadempimento alle obbligazioni assunte in forza delle scritture
private del 15-4-1989 e del 24-1-1991. Gli attori assumevano che
nella prima di dette scritture, denominata “contratto preliminare di
compravendita immobiliare”, relativa ai piani secondo e terzo e a n.
2 cantinole dì un fabbricato sito in Verona, Corso Porta Corsari 43,
oltre che ad un garage sito al n. 18 dell’adiacente via Catullo, si
dava atto della corresponsione alla sottoscrizione della somma di lire
480.000.000 e si prevedeva la permuta a favore della società Catullo
di un capannone del valore di lire 250.000.000. Asserivano che in
allegato al menzionato preliminare vi era un contratto di appalto, in
base al quale la società Catullo si era impegnata a consegnare
all’acquirente gli immobili compravenduti ristrutturati secondo le
modalità indicate nel medesimo capitolato entro il 31-12-1990.
Poiché tale termine non era stato rispettato, le parti avevano
raggiunto, con la scrittura del 24-1-1991, un nuovo accordo, in base
al quale si procedeva comunque al rogito notarile e la data dì
realizzazione della ristrutturazione veniva posticipata al 30-6-1991.
In tale accordo le parti avevano pattuito le penali per il ritardo, ed

Costruzioni s.n.c., chiedendo che venisse accertato il loro

avevano concordato che, qualora gli immobili non fossero stati
comunque consegnati entro il 31-12-1991, a favore del promissario
acquirente sarebbero maturati gli interessi del 12% sulle somme fino
a quel momento versate, pari a complessive lire 480.000.000. Gli

di vendita definitivo degli immobili, sebbene non ancora ultimati, al
prezzo complessivo di lire 450.000.000; e che, stante la protratta
inadempienza della società Catullo, con lettera del 28-12-1992 essi
avevano intimato alla predetta società e ai soci illimitatamente
responsabili Vinco e Zamboni di procedere ai lavori di
ristrutturazione ai fini della consegna degli immobili entro 90 giorni,
termine quest’ultimo vanamente spirato.
Tanto premesso, gli istanti chiedevano che, accertati i gravi
inadempimenti dei convenuti, con particolare riguardo al contratto di
appalto intercorso il 15-4-1989 e successivamente modificato con
accordo del 24-1-1991, ed accertata la sussistenza di gravi vizi e
violazioni edilizie, nonché la mancata consegna delle opere, venisse
pronunciata la risoluzione del contratto per cui è causa per colpa dei
convenuti ovvero, in subordine, venisse dichiarata la sua risoluzione
di diritto a seguito della formale diffida attorea; con condanna dei
convenuti alla restituzione delle somme loro versate ed al
risarcimento dei danni.

attori riferivano che in data 4-4-1991 era stato stipulato il contratto

Nel costituirsi, i convenuti chiedevano il rigetto delle domande
ex adverso proposte, sostenendo che il mancato completamento della

ristrutturazione era stata determinata dalla condotta degli attori, i
quali dopo il rogito notarile avevano chiesto delle varianti che

1992), e dopo il rilascio della concessione avevano rifiutato di
concordare il corrispettivo per le opere addizionali.
Con sentenza in data 17-11-2003 il Tribunale adito, nel
rilevare che le due scritture private contenevano solo una promessa
di vendita di cose immobili future e che ai fini della ristrutturazione
il contratto di appalto non era stato concordato tra le parti, ma solo
previsto come eventualità futura, non accoglieva la domanda di
risoluzione del contratto di appalto, ma accoglieva la domanda
attrice limitatamente alla condanna dei convenuti al pagamento della
somma di lire 335.490,39, corrispondente alla maggiore somma (lire
280.000.000) versata dagli attori rispetto al valore commerciale dei
beni trasferiti, maggiorata degli interessi del 12%, come previsto
nella clausola n. 7 dell’accordo modificativo del 24-1-1991.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale
gli attori e appello incidentale i convenuti.
Con sentenza in data 16-7-2009 la Corte di Appello di Venezia
rigettava sia il gravame principale che quello incidentale. La Corte
territoriale, per quanto rileva in questa sede, escludeva che con le

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necessitavano di una concessione edilizia (poi rilasciata il 28-9-

scritture del 15-4-1989 e del 24-1-1991 fosse stato stipulato, oltre
che un preliminare di compravendita, anche un contratto di appalto.
Osservava, comunque, che, anche a voler ritenere che si trattasse di
un contratto misto, in base al principio dell’assorbimento dovevano

individuare nel preliminare di compravendita,

come comprovato

anche dal fatto che, nonostante i ritardi nella esecuzione della
ristrutturazione, le parti avevano comunque inteso procedere alla
stipula del contratto di compravendita dei due immobili, “nello stato
di fatto e di diritto in cui attualmente si trovano”, con atto pubblico
del 4-4-99, con ciò dimostrando di aver dato alla ristrutturazione
degli immobili un carattere accessorio. Il giudice del gravame
disattendeva, inoltre, anche i motivi di appello principale riguardanti
il risarcimento danni e il pagamento delle penali.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Zantedeschi Amalia e Piubelli Maria Laura, in proprio e quali eredi
legittimi di Piubelli Carlo, sulla base di cinque motivi.
La Catullo Costruzioni s.n.c., in persona del socio e legale
rappresentante Zamboni Giovanni, e quest’ultimo in proprio, hanno
resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale
condizionato.

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applicarsi le norme del contratto prevalente, che nella specie era da

Altro controricorso contenente ricorso incidentale è stato
depositato dalla stessa Catullo Costruzioni s.n.c., in persona del
coamministratore e legale rappresentante Marchi Damiano.
I ricorrenti principali hanno resistito ad entrambi i ricorsi

In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie
ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I) Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1369
c.c., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere
la Corte di Appello ritenuto corretta la ricostruzione della volontà
contrattuale operata dal primo giudice sulla base del solo criterio
letterale, omettendo di indagare sulla comune intenzione delle parti,
avuto riguardo allo scopo dalle stesse perseguito con l’intera
operazione negoziale, quale risulta alla luce del loro comportamento
complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché la violazione
degli artt, 2730, 2733, 2735 c.c., 228 e 229 c.p.c. Deducono che la
Corte di Appello non ha rilevato la nullità della sentenza di primo
grado, in quanto fondata sulla decisione “solitaria” del Tribunale,
che aveva rilevato d’ufficio e senza contraddittorio l’inesistenza del

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incidentali con due separati controricorsi.

contratto di appalto, ritenuto pacificamente dalle parti. Lamentano,
inoltre, che il giudice del gravame ha omesso di considerare vari
documenti (richiesta di condono edilizio; dichiarazioni rese dai
convenuti Vinco e Zamboni con la querela di falso del 19-4-2001)

riconoscimento dell’esistenza di un contratto di appalto.
Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1350, 1472, 1655, 1656 c.c., nonché
l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la
sentenza impugnata escluso che le scritture sottoscritte dalle parti
prevedessero un contratto di appalto, e qualificato la scrittura del 154-1989 come vendita di cosa futura anziché come rapporto
contrattuale complesso, comprensivo anche di un collegato contratto
di appalto.
Il quarto motivo denuncia: a) l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, per avere la sentenza impugnata escluso
il riconoscimento di ogni risarcimento dei danni e delle penali
contrattualmente stabilite; b) la conseguente violazione degli arti.
1490, 1494, 1497 c.c., in ordine alla configurabilità di una
responsabilità degli appellati per vizi e difetti della cosa venduta,
anche a prescindere dall’accoglimento della domanda di risoluzione
per inadempimento e dalla qualificazione della fattispecie come
contratto misto o collegato, di vendita e di appalto; e) in ogni caso,

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che avevano una chiara valenza confessoria, in riferimento al

l’erronea considerazione delle risultanze di causa, in relazione alla
sussistenza dei gravi vizi e difetti delle opere consegnate.
Con il quinto motivo, infine, i ricorrenti si dolgono della
violazione degli artt. 91 e 92 comma 2 c.p.c., in relazione alla

inoltre, la decisione impugnata, nella parte in cui ha confermato
l’esclusione della maggiorazione prevista in favore dell’avvocato
dall’art. 4 capitolo 1 della Tariffa Professionale per l’assistenza di
una pluralità di parti
2) I primi tre motivi, che per ragioni di connessione possono
essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Deve premettersi che la ricostruzione della volontà degli
stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in
un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne
consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità
soltanto nel caso in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da
non consentire di ricostruire l'”iter” logico seguito dal giudice per
attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel
caso di violazione delle norme ermeneutiche. La denuncia di
quest’ultima violazione esige una specifica indicazione dei canoni in
concreto non osservati e del modo attraverso il quale si è realizzata
la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la
puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del

disposta compensazione parziale delle spese di lite. Censurano,

ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo nessuna delle
due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo
raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di
una differente interpretazione (tra le tante v. Cass. 13-12-2006 n.

ulteriormente puntualizzarsi che, per sottrarsi al sindacato di
legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve
essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma
una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una
clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è
consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi
disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia
stata privilegiata l’altra (Cass. 20-11-2009 n. 24539; Cass. 12-7-2007
n. 15604; Cass. 22-2-2007 n. 4178; Cass. 14-11- 2003 n. 17248).
Nella specie, la Corte di Appello, nel ritenere che con le
scritture del 15-4-1989 e del 24-1-1991 non è stato stipulato un
contratto di appalto, ma solo un preliminare di vendita, ha offerto
una interpretazione plausibile e ragionevole di tali atti, ricercando la
comune volontà delle parti attraverso una coordinata analisi
dell’intero contesto contrattuale. Essa ha tenuto conto, in particolare,
dell’esplicito riferimento, nella intestazione delle due scritture, al
“preliminare di vendita”; ha sottolineato che nel preliminare di
vendita, all’art. 4, era stato inserito non un “contratto di appalto”,

26683; Cass. 23-8-2006 n. 18375; Cass. 27-1-2006 n. 1754). Deve

ma un “capitolato di appalto”,

il quale è uno strumento ben diverso

dal primo, in quanto il contratto vincola e prescrive, mentre il
capitolato è documento accessorio e descrittivo; ha evidenziato che
la previsione, contenuta nel secondo comma (“l’impresa a cui

Catullo Costruzioni s.n.c.”),

di un futuro appalto con una impresa

diversa rispetto alla Catullo (che invece, secondo gli attori, si era
impegnata ad eseguire i lavori), risulta incompatibile con la tesi
attorea, secondo cui la scrittura del 15-4-1989 conteneva anche un
contratto di appalto tra le stesse parti contraenti; ha rilevato che
nessun contratto di appalto è previsto nella scrittura del 24-1-1991,
che è un “atto modificativo del contratto preliminare di acquisto
immobiliare sottoscritto in data 15 aprile 1989”

e, dunque, un atto

non novativo, che ha solo apportato modifiche ai pregressi accordi,
attinenti ad un preliminare di vendita e non ad un appalto.
L’iter argomentativo della sentenza impugnata appare conforme
ai canoni ermeneutici dettati dall’art. 1362 c.c. e segg., i quali
impongono di ricostruire la volontà contrattuale innanzitutto
mediante l’individuazione del senso letterale delle espressioni usate e
della comune intenzione delle parti, quale emerge dalla lettura
complessiva del programma negoziale, ed attribuiscono una portata
meramente sussidiaria agli altri criteri interpretativi (cfr. Cass. 19-72012 n. 12535; Cass. 23-4-2010 n. 9786; Cass. 20-8-2002 n. 12268;

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verranno appaltati i lavori di restauro sarà scelta dalla società

Cass. 18-4-2002, n. 56359). Nella specie, il grado di certezza ed
univocità del risultato interpretativo conseguito dalla sentenza
impugnata attraverso la coordinata lettura delle due scritture private
non consentiva il ricorso a criteri interpretativi sussidiari.

riguardo alla mancata considerazione, da parte del giudice di
appello, dei comportamenti tenuti dai convenuti dopo la stipula del
contratto (presentazione dell’istanza di condono; querela di falso
presentata il 19-4-2001), difettano di autosufficienza, non
trascrivendo il contenuto dell’atto di appello, nella parte volta ad
evidenziare che tali comportamenti erano stati specificamente
sottoposti all’esame del giudice del gravame.
Il convincimento espresso dal giudice territoriale riguardo alla
mancata stipulazione di un contratto di appalto, pertanto, essendo
sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici, si
sottrae al sindacato di questa Corte.
Sotto altro profilo, si osserva che dalla lettura dello stesso
ricorso (v. pag. 32-33) si evince che con l’atto di appello gli odierni
ricorrenti avevano sostenuto l’erroneità della qualificazione
giuridica come preliminare di cosa futura anziché come contratto
misto di vendita e di appalto ed a lamentare il vizio di ultrapetizione
in cui era incorso il Tribunale nell’accertare l’inesistenza di un
contratto di appalto, nonostante tale accertamento non fosse stato

lo

Va rilevato, peraltro, che le censure mosse dai ricorrenti

chiesto da nessuna parte. Gli appellanti, al contrario, non avevano
eccepito alcuna violazione dei principi del giusto processo e del
contraddittorio, per avere il giudice di primo grado adottato, al
riguardo, una decisione “solitaria” solo all’atto della sentenza

Ciò posto, si rammenta che, secondo la giurisprudenza, nel
caso in cui il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto,
senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di
essa l’apertura della discussione (ed_ terza via), non sussiste la
nullità della sentenza, in quanto da tale omissione non deriva la
consumazione di altro vizio processuale diverso dall’error iuris in
iudicando ovvero dallterror in iudicando de iure procede ndi, la

cui

denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza
solo se tale errore sia in concreto consumato. Qualora, invece, si
tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte
soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la
violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di
chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in
termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo
grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al
fine di rimuovere alcune preclusioni, senza necessità di giungere alla
più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la
prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed

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conclusiva.

irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio
(Cass., Sez. Un. 30-9-2009 n. 20935).
Nella specie, pertanto, poiché la questione della inesistenza
della conclusione di un contratto di appalto sollevata dal Tribunale

fatto e di diritto”, il dedotto vizio di nullità della sentenza di primo
grado avrebbe dovuto essere fatta valere come motivo di appello;
sicché ogni deduzione sul punto si palesa inammissibile in questa
sede.
Le ulteriori doglianze mosse dai ricorrenti in ordine alla
qualificazione del contratto come preliminare di vendita di bene
futuro appaiono prive di ogni rilevanza, avendo la Corte di Appello
dato atto che, anche a voler considerare il contratto come preliminare
di vendita di bene già esistente, rimarrebbero valide tutte le ragioni
che hanno indotto a ritenere l’insussistenza del contratto di appalto.
Inammissibili, infine, si palesano le censure mosse in ordine
alla qualificazione alternativa del contratto misto data dalla Corte di
Appello alla operazione negoziale effettivamente voluta dalle parti.
Il giudice del gravame, dopo avere accertato che nel caso in
esame non vi era stato un contratto misto di preliminare di vendita e
di appalto, ma solo un preliminare di vendita contenente anche una
previsione di lavori di ristrutturazione, ha affermato che, “in ogni
caso”, anche a voler accedere alla tesi del contratto misto prospettata

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senza previa segnalazione alle parti integra una questione “mista di

dagli appellanti, a tale contratto, in base al principio
dell’assorbimento, dovevano applicarsi le norme del contratto
prevalente, da individuarsi nel preliminare di compravendita. Ciò in
base al rilievo che, nonostante i ritardi nella esecuzione della

aveva comunque venduto agli attori i due immobili “di vecchia
costruzione ma di recente ristrutturazione” siti al secondo e al terzo
piano di Corso Portoni Borsari 43, “nello stato di fatto e di diritto in
cui attualmente si trovano”; il che, secondo il giudice del gravame,
sta a dimostrare che le parti, con le scritture del 15-4-1989 e del 241-1991, hanno di fatto considerato come preponderante il contratto di
vendita, attribuendo alla ristrutturazione degli immobili un carattere
accessorio_
Appare evidente che la tesi del contratto misto è stata presa in
considerazione ad abundantiam, per dimostrare che, anche a voler
ritenere che nelle scritture del 15-4-1989 e del 24-1-1991 fossero
rinvenibili sia un preliminare di vendita che un contratto di appalto,
l’esito della lite non poteva che essere sfavorevole per gli appellanti.
Le argomentazioni svolte in proposito, pertanto, non incidono
sull’effettiva ratio decidendi,

costituita dall’acclarata insussistenza

di un contratto di appalto.
Orbene, costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello
secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che

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ristrutturazione, la società Catullo, con atto pubblico dei 4-4-1991,

censuri una argomentazione della sentenza impugnata svolta

ad

abundantiam e che, pertanto, non costituisce una ratio decidendi
della medesima. Una affermazione, infatti, contenuta nella
motivazione della sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna

giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per
difetto di interesse (tra le tante v. Cass. 12-10-2014 n. 22380; Cass.
22-11-2010 n. 23635; 19-2-2009 n. 4053; Cass. 5-6-2007 n. 13068;
Cass. 14-11- 2006 n. 24209; Cass. 28-3-2006 n. 7074; Cass. 23-112005 n. 24591).
3) 11 quarto motivo è infondato.
La Corte di Appello, avendo negato la sussistenza di un
contratto di appalto, ha correttamente escluso la risarcibilità dei
danni che presupponevano l’esistenza di tale contratto.
La decisione impugnata non merita censura nemmeno nella
parte in cui ha negato anche la risarcibilità dei danni asseritamente
derivati dalla inesatta esecuzione del contratto preliminare di
vendita. La relativa statuizione, infatti, risulta sorretta da una
motivazione congruente sul piano logico, basata sul rilievo che al
preliminare è seguito un contratto definitivo con il quale gli
acquirenti hanno accettato gli immobili nello stato di fatto in cui
erano, e cioè con una ristrutturazione parziale e con le caratteristiche
che gli stessi conoscevano; e che, non a caso, le parti avevano

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influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti

rideterminato il corrispettivo (abbassandolo a lire 450.000.000),
proprio in relazione alla incompletezza della ristrutturazione.
I ricorrenti deducono che la Corte di Appello non

ha

considerato che i vizi denunciati non erano conoscibili al momento

seguito di indagini tecniche. Si osserva, peraltro, che le doglianze
mosse al riguardo difettano di autosufficienza, essendosi il ricorrente
limitato a richiamare per relationem le deduzioni svolte al riguardo a
pag. 39-57 dell’atto di appello, senza trascrivere l’esatto contenuto
di tale atto, nella parte volta a dimostrare che effettivamente

la

questione era stata sottoposta al giudice del gravame. per la parte
che qui interessa. In ogni caso, si rileva che quelli descritti a pag. 88
del ricorso non sembrano vizi non riconoscibili al momento della
consegna degli immobili.
4) 11 quinto motivo, nella prima parte, è privo di autonomia,
chiedendo la condanna dei convenuti alle spese come effetto
dell’accoglimento dei precedenti motivi.
La seconda censura mossa con lo stesso motivo è formulata in
termini del tutto generici ed è, comunque, priva di fondamento,
atteso che, nei casi di assistenza e di difesa di più parti comportante
l’esame di identiche questioni e posizioni, la maggiorazione del 20
per cento dell’onorario, ai sensi dell’art. 5, comma 4, della tariffa
professionale forense approvata con D.M. n. 585 del 1994, per

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del rogito dell’aprile 1991, essendo emersi solo in corso di causa, a

l’assistenza e la difesa di ogni parte oltre la prima è rimessa al potere
discrezionale del giudice. (Cass. 8-7-2010 n. 16153).
5) Con il ricorso incidentale condizionato la Catullo
Costruzioni s.n.c., in persona del socio e legale rappresentante

confermativi della pronuncia”

dì appello impugnata e con l’espressa

e unica finalità di corroborare “le conclusioni cui è correttamente
pervenuto il giudice del gravame”,

una serie di deduzioni

sostanzialmente dirette a consentire alla Corte, qualora ritenga di
dover decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., di valutare
prove e fatti asseritamente favorevoli per i resistenti, non riportati
nella motivazione della sentenza impugnata.
Il ricorso è inammissibile, in quanto con esso non sono stati
denun.ciati vizi della sentenza impugnata, né è stato chiesto il suo
annullamento, ma solo la correzione della motivazione.
E’ inammissibile; infatti, il ricorso incidentale per cassazione
proposto dalla parte vittoriosa non già per ottenere l’annullamento,
nemmeno parziale, della sentenza impugnata, ma soltanto il
mutamento della motivazione; e ciò in quanto l’impugnazione ha la
sua ragione di essere solo in quanto possa provocare l’annullamento
della sentenza (cfr. Cass. 13-3-1996 n. 2067; Cass. 11-12-1990 n.
11773; Cass. 3-4-1979 n. 1910; Cass. 22-3-1975 n. 1088), potendo la
correzione della sentenza essere ottenuta mediante la semplice

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Zamboni Giovanni, e quest’ultimo in proprio, svolgono, “ai soli fini

riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso l’esercizio
del potere correttivo attribuito alla Corte di Cassazione dall’art. 384
c.p.c. (tra le tante v. Cass. 24-3-2010 n. 7057; Cass. n. 6519/2007;
Cass. n. 3654/2006).

Costruzioni s.n.c., in persona del coamministratore e legale
rappresentante Marchi Damiano, lamentando la violazione dell’art.
78 comma 2 c.p.c., dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 24 della
Costtituzione, deduce la nullità dell’intero procedimento per
conflitto d’interessi tra la società Catullo e il suo legale
rappresentante Zamboni Giovanni. Sostiene che quest’ultimo non ha
difeso la società dalle inadempienze che venivano ad essa imputate,
al fine di proteggere il vantaggio personale avuto insieme all’altro
amministratore Vinco Albino dalla contrattazione dagli stessi svolta
con l’accordo di Pinbelli Carlo. Rileva, in particolare, che la società
si trova a rispondere di atti compiuti dal suo amministratore ad essa
sconosciuti ed in contrasto con l’atto di vendita del 4-4-1991, con il
quale la vendita avveniva nello stato di fatto e di diritto in cui il
bene si trovava e per i prezzi dichiarati; e che la difesa della società
fatta dallo Zamboni ha accettato come attribuite alla società le
scritture del 15-4-1989 e del 24-1-1991 e le conseguenze relative, in
palese conflitto con l’interesse della società ad escludere tali
conseguenze. Fa presente che dalle ispezioni ipotecarie prodotte in

17

6) Con l’unico motivo di ricorso incidentale la Catullo

sede di legittimità emerge che non è avvenuta la permuta dichiarata
nell’atto modificativo del 24-1-1991; e che lo Zamboni, il quale non
ha mai negato di essere a conoscenza del preliminare e dell’atto
modificativo, ha consentito che l’immobile de qua venisse venduto

permuta. Sostiene che tale conflitto d’interessi emerge dalla stessa
struttura degli atti del 15-4-1989, del 24-1-1991 e del 4-4-1991, ed
era del tutto evidente anche all’attore.
Il ricorso è inammissibile, avendo la Catullo Costruzioni già
consumato il potere dì impugnazione con il ricorso incidentale
precedentemente proposto dalla stessa società, in persona del socio e
legale rappresentante Zamboni Giovanni, con atto notificato il 2311-2010.
Il principio della consumazione del diritto d’impugnazione,
infatti, trova applicazione anche con riguardo al ricorso per
cassazione, per cui, dopo la proposizione del ricorso incidentale,
resta preclusa alla parte la possibilità di introdurre ulteriori censure
con un successivo ricorso incidentale (tra le tante v. Cass. 3-7-2014
n. 15234; Cass. 2-2-2007 n. 2309; Cass. n. 1915012005; Cass. n.
1732/2002).
6) In definitive, il ricorso principale va rigettato, mentre quelli
incidentali vanno dichiarati inammissibili, con conseguente
compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

18

senza che affluisse alla società il bene asseritamente datole in

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibili i
due ricorsi incidentali e compensa le spese del presente giudizio di
legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15-7-015
,

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