Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21452 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/07/2021, (ud. 11/06/2021, dep. 27/07/2021), n.21452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29522/15 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

la quale è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– ricorrente –

contro

P.L., rappresentata e difesa, giusta procura in calce al

controricorso, dall’avv. Sandro Ponziani, con domicilio eletto

presso lo studio dell’avv. Gabriele Corona, in Roma, via Vittorio

Colonna, n. 40;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Toscana n. 842/5/15 depositata in data 11 maggio 2015.

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 giugno

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, impugnò la sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso proposto da P.L., titolare di impresa individuale, avverso due avvisi di accertamento, relativi agli anni 2006 e 2007, con cui l’Ufficio finanziario aveva ripreso a tassazione costi di sponsorizzazione e pubblicità ritenuti indeducibili ai sensi dell’art. 109 t.u.i.r., comma 5, per mancanza di inerenza e per antieconomicità degli stessi.

A sostegno dell’appello evidenziò che la contribuente lavorava per conto terzi, per cui non aveva rapporti con i destinatari del messaggio pubblicitario, e che in ogni caso gravava sulla contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza e congruità dei costi sostenuti.

La contribuente ribadì, invece, che la L. n. 289 del 2002, prevedeva l’integrale deducibilità delle spese di pubblicità a favore di società ed associazioni dilettantistiche e che l’Ufficio non aveva contestato i requisiti richiesti affinché le spese fossero ritenute deducibili.

2. La Commissione tributaria regionale respinse il ricorso, confermando la decisione impugnata. Osservò che nessuna contestazione era stata mossa dall’Ufficio in ordine all’effettiva corresponsione delle somme da parte della contribuente ed alla specifica attività del beneficiario, per cui doveva ritenersi che la condotta posta in essere fosse conforme a quanto richiesto dalla L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8; secondo l’interpretazione letterale la disposizione normativa prevedeva una presunzione assoluta circa la natura di tali spese che venivano considerate di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante. Ritenne, quindi, assorbito l’ulteriore motivo con il quale l’Ufficio finanziario aveva contestato l’inerenza e (“antieconomicita” dei costi, requisiti propri delle spese di rappresentanza per le quali non vigeva la presunzione che veniva, invece, riconosciuta per le spese di pubblicità.

3. Contro la decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un unico motivo.

P.L. resiste mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo la difesa erariale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 108 e 109, e della L. n. 289 del 2002, art. 90, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In primo luogo evidenzia che i giudici di appello hanno applicato, in via automatica, la L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8, anche al recupero fiscale di costi di sponsorizzazione sostenuti nei confronti di soggetti diversi da quelli previsti dalla disposizione di legge, ed in particolare, in relazione al costo di sponsorizzazione di Euro 6.000,00 sostenuto nell’anno 2007 dalla contribuente in favore della Associazione Pro Loco (OMISSIS), la quale non era né società o associazione sportiva dilettantistica, né fondazione costituita da istituzioni scolastiche, né ancora associazione sportiva scolastica svolgente attività nei settori giovanili.

Inoltre, con riguardo a tutti i costi di sponsorizzazione o pubblicità de quibus, relativi al 2006 e al 2007, la disposizione di legge in esame, secondo la ricorrente, non è tale da consentire la indiscriminata ed automatica deducibilità, a prescindere dalla verifica circa la effettività, inerenza e congruità dei costi stessi. Richiamando le Risoluzioni n. 21/E del 2003 e n. 57/E del 2010, sottolinea che la deducibilità dei costi di cui al citato art. 90, comma 8, era consentita nella compresenza di una serie di presupposti, mentre la decisione d’appello, non facendo buon governo della disposizione, aveva ritenuto che essa consentisse una automatica ed indiscriminata deducibilità dei costi astrattamente rientranti nell’ambito di applicazione, ritenendo poi assorbita la doglianza afferente all’inerenza ed all’antieconomicità dei costi. In realtà, aggiunge la ricorrente, era stato rimarcato nel ricorso in appello che l’attività dell’impresa individuale della contribuente era esclusivamente svolta per “conto terzi”, ossia nei confronti di industrie manifatturiere di abbigliamento, il che confermava la mancanza di inerenza delle spese di sponsorizzazione e pubblicità sostenute per raggiungere un pubblico “generalista”, quale quello interessato dalle manifestazioni (sportive e non) dalla stessa finanziate.

2. La censura è infondata.

2.1. La L. n. 289 del 2002 (legge finanziaria del 2003), art. 90, comma 8, stabilisce: “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 Euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 74, comma 2”.

2.2. La disposizione di cui si discute può essere esaminata sotto due distinti profili, il primo, relativo alla natura giuridica delle sponsorizzazioni come spese di pubblicità o di rappresentanza, e, il secondo, relativo alla sussistenza o meno di una presunzione legale di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni medesime.

Il dibattito circa la qualificazione giuridica delle sponsorizzazioni quali spese di rappresentanza o di pubblicità, che è sorto anteriormente alla legge finanziaria 2008 (L. n. 227 del 2007), che ha apportato modifiche all’art. 108 t.u.i.r., comma 2, è da ritenersi superato essendosi ormai affermato l’orientamento di questa Corte che le riconduce nel novero delle spese pubblicitarie.

Prima delle suindicate modifiche introdotte dalla Finanziaria del 2008, il regime di deducibilità delle spese di rappresentanza era assai meno favorevole rispetto al regime di deducibilità delle spese pubblicitarie. Infatti, l’art. 108 t.u.i.r., comma 2, secondo periodo, consentiva la deducibilità delle spese di rappresentanza nella misura di un terzo del loro ammontare, per quote costanti nell’esercizio di sostenimento e nei quattro successivi. Per contro, il primo periodo del citato art. 108 t.u.i.r., comma 2, stabiliva l’integrale deducibilità delle spese di pubblicità, mantenendo tuttavia criteri di imputazione temporale analoghi a quelli applicabili alle spese di rappresentanza (deducibilità nell’esercizio di sostenimento o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi).

Il limite in questione è stato eliminato dalla Finanziaria del 2008, che ha previsto che le spese di rappresentanza sono integralmente deducibili a condizione che soddisfino i requisiti di inerenza e congruità stabiliti dal decreto ministeriale del 19 novembre 2008, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse e del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa.

2.3. In linea generale, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite (Cass., sez. 5, 21/04/2021, n. 10440; Cass., sez. 17/02/2016, n. 3087).

Di norma, le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della norma menzionata, ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta “aspettativa di ritorno commerciale” (Cass., sez. 6-5, 5/03/2012, n. 3433; Cass., sez. 5, 27/05/2015, n. 10914; Cass., sez. 5, 23/03/2016, n. 5720). Pertanto, laddove non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in esser dallo sponsor, le relative spese non possono essere considerate di pubblicità, e come tali integralmente deducibili, ma devono ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dall’art. 108 t.u.i.r., e dalle disposizioni secondarie attuative (Cass., sez. 5, 23/03/2016, n. 5720).

2.4. Una eccezione alla giurisprudenza sinora richiamata è invece prevista dalla L. finanziaria 2003, richiamato art. 90, comma 8, laddove, a fronte delle erogazioni dello sponsor, lo sponsee si impegna ad una serie di attività promozionali suscettibili di valutazione economica.

Si e’, al riguardo, spiegato che la citata disposizione ha introdotto, a favore del solo “soggetto erogante” il corrispettivo (nella specie la società controricorrente) e non, invece, a favore dell’associazione sportiva che riceve l’erogazione di denaro (cfr. Cass., sez. 6-5, 26/06/2019, n. 17196, in motivazione), una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria di tali spese, e ciò in assoluta sintonia con i documenti di prassi.

2.5. Infatti, con la circolare del 22 aprile 2003, n. 21/E, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che “La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate – nel limite del predetto importo comunque di pubblicità e, pertanto, integralmente deducibili per il soggetto erogante ai sensi dell’art. 74 t.u.i.r., comma 2, nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio medesimo e nei quattro anni successivi”. Ha, ulteriormente, evidenziato, con la risoluzione del 23 giugno 2010, n. 57/E, che “la fruizione dell’agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni: 1) i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante; 2) deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima”.

2.6. Questa Corte ha più volte ribadito che “in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 90, comma 8, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale” (Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14232), “senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori” (Cass., sez.6-5, 6/04/2017, n. 8981; v., altresì, Cass., sez. 6-5, 21/03/2017, n. 7202; Cass., sez. 6-5, 19/01/2018, n. 1420; Cass., sez. 6-5, 30/05/2018, n. 13508, nonché Cass., sez. 6-5, 26/09/2018, n. 22855; Cass., sez. 6-5, 6/05/2020, n. 8540).

3. Per quel che, invece, attiene all’altro profilo, il citato art. 90, comma 8, costituisce norma speciale, destinata a derogare anche al regime generale di deducibilità dei costi previsto dall’art. 109 t.u.i.r., trattandosi di disposizione che detta peculiari condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità che rispondono alle specifiche esigenze del settore di riferimento, ossia delle compagini sportive dilettantistiche.

3.1. Come è stato sottolineato da autorevole dottrina, la norma intende perseguire finalità diverse che, con tutta evidenza, possono essere rintracciate nella voluntas legis di approntare un regime agevolativo per quei soggetti che decidono di investire nello sport amatoriale e di favorire tramite la leva fiscale – la diffusione di questo genere di attività giudicate socialmente utili e degne di protezione, stante anche la rilevanza costituzionale dello sport. In sostanza, il legislatore ha stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, rendendo non sindacabile la scelta dell’imprenditore di promuovere il nome, il marchio o l’immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico. Non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa (Cass., sez. 5, 20/12/2018, n. 33030; Cass., sez. 5, 16/12/2019, n. 33120; Cass., sez. 5, 4/03/2020, n. 6017), e non è dunque più basata sulla necessaria riconducibilità dell’onere alla percezione di ricavi da parte dell’impresa che sostiene il costo.

Neppure, secondo la dottrina, è consentita la contestazione della incongruità o dell’antieconomicità del costo, dal momento che nel campo delle sponsorizzazioni è improponibile, se non impossibile, individuare l’ammontare “congruo” di una sponsorizzazione, poiché queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi, senza la ben che minima garanzia che tale obiettivo possa essere davvero conseguito.

3.2. Il peculiare regime approntato dall’art. 90, citato comma 8, come evidenziato dalle recenti pronunce di questa Corte, in forza della sua natura agevolativa, fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove risultino soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima (Cass., sez. 14/09/2017, n. 21333; Cass., sez. 19/01/2018, n. 1420; Cass., sez. 6-5, 6/05/2019, n. 11797; Cass., sez. 65, 9/07/2018, n. 17973; Cass., sez. 6-5, 15/01/2020, n. 8540), e consente, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor.

4. Fatta questa premessa, nella fattispecie in esame, l’Agenzia delle entrate, come sottolineato nella motivazione della decisione impugnata, non ha mosso contestazioni afferenti alla effettiva corresponsione delle somme da parte della contribuente ed alla specifica attività del beneficiario della stessa. Ciò emerge, d’altro canto, dallo stralcio dell’atto di appello riprodotto nel ricorso per cassazione alle pagg. 8 e 9, laddove non si disconosce che l’attività di sponsorizzazione sia stata realmente eseguita, tanto che si evidenzia che “il mezzo di sponsorizzazione utilizzato” era costituito “dal marchio della ditta impresso sul tesserino distribuito ai giocatori, sui cartelloni dello stadio, sulle tovagliette della Sagra della Polenta”, né che fosse rivolta ad associazioni sportive dilettantistiche.

Piuttosto l’Ufficio finanziario ha rimarcato, in punto di fatto, che l’attività dell’impresa individuale della contribuente era esclusivamente svolta “per conto terzi”, ossia nei confronti delle industrie manifatturiere di abbigliamento committenti, il che escludeva, secondo la sua ricostruzione, la sussistenza dell’inerenza delle spese di sponsorizzazioni, dal momento che il messaggio pubblicitario era rivolto ad una clientela privata che non aveva alcuna relazione con la tipologia delle vendite effettuata dalla contribuente e che non era potenzialmente interessata all’acquisto del prodotto.

Le argomentazioni difensive della ricorrente, per le ragioni su esposte, non possono essere condivise.

L’Agenzia delle entrate fonda la censura sul presupposto che si possa sindacare il tipo di veicolo pubblicitario prescelto in ragione della sua idoneità a raggiungere la clientela cui si rivolge l’impresa sponsor, ma tale affermazione si pone in contrasto con la corretta nozione di inerenza, che non poggia sulla necessaria riconducibilità dell’onere di sponsorizzazione alla percezione di ricavi da parte dell’impresa che sostiene il costo, e non tiene conto dell’evoluzione delle tecniche pubblicitarie che porta ad escludere che, nell’attuale mercato “globalizzato”, ai fini della sussistenza del requisito dell’inerenza delle spese di pubblicità, debba sussistere un legame territoriale tra l’offerta pubblicitaria e l’area geografica in cui l’impresa svolge la propria attività (Cass., sez. 5, 25/02/2015, n. 3770), né una relazione tra il concetto di spesa e quello di impresa, assumendo rilevanza il costo non tanto per la sua esplicita diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù di una correlazione con un’attività potenzialmente idonea alla produzione di utili.

Ricorrendo nel caso in esame le condizioni richieste per l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 90, comma 8, richiamato, correttamente la Commissione tributaria regionale ha, dunque, ritenuto del tutto irrilevante ogni valutazione circa l’inerenza e congruità dei costi, preclusa dalla praesumptio legis de qua, e riconosciuto l’integrale deducibilità dei costi di sponsorizzazione.

5. Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.

Quanto alla regolazione dell’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato, va fatta applicazione – nei confronti dell’Agenzia delle entrate – del principio secondo cui, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso (Cass., sez. 5, 15/05/2015, n. 9974; Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26280).

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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