Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21452 del 19/08/2019

Cassazione civile sez. II, 19/08/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 19/08/2019), n.21452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7902-2015 proposto da:

A.S., rappresentato e difeso da se medesimo ex art. 86

c.p.c., elettivamente domiciliato in MILANO, VIALE MAJNO 17-A,

presso il suo studio;

– ricorrente –

contro

P.A., D.M.C., rappresentati e difesi dall’avvocato

MASSIMO MARMONTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 95/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/03/2019 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’avv. A.S. – deceduto nelle more di questo procedimento di legittimità come documentato dai resistenti con la nota difensiva del 18.2.2019 – ebbe ad avviare la presente lite nel 2006 per ottenere dagli odierni resistenti – ed altri loro parenti non più interessati alla causa – il pagamento delle competenze professionali maturate in relazione a loro difesa sia in procedimenti giudiziali che per attività stragiudiziale conseguiti a sinistro stradale, in cui trovò la morte il minore P.A. – figlio e fratello delle odierne parti resistenti – e rimasero feriti il padre e la madre, odierni resistenti.

Resistettero i consorti P., sia in proprio che quali legali rappresentanti i figli minori, contestando la pretesa attorea poichè il professionista attore già soddisfatto del suo onorario.

Il Tribunale di Milano adito ebbe ad accogliere la pretesa attorea nella minor misura di Euro 960,82 con interessi a carico dei consorti P..

Avverso detta decisione propose appello l’avv. A. reclamando il riconoscimento dell’intera somma pretesa a titolo di compenso professionale siccome precisato nelle sue parcelle.

La Corte ambrosiana, con la sentenza impugnata,ebbe a rigettare il gravame rilevando come corretta fosse stata la liquidazione del compenso,effettivamente dovuto, da parte del Tribunale poichè trovava applicazione il criterio di liquidazione portato nella norma tariffaria D.M. n. 127 del 2004, ex art. 5, comma 5 e come, in assenza di elementi specifici per ritenere che l’attività professionale svolta si fosse presentata di rilevante impegno,bene fossero stati applicati i minimi tariffari.

Avverso detta sentenza l’avv. A. ha proposto ricorso per cassazione, strutturato su due motivi.

Hanno resistito con controricorso i consorti P., che hanno pure depositato nota difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da A.S. s’appalesa infondato e va rejetto.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente denunzia violazione delle norme D.M. n. 127 del 2004, ex art. 5, commi 4 e 5 – tariffa forense -, nonchè nullità della sentenza per violazione della legge processuale e carenze motivazionali, ex art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 112 e 115 c.p.c.

Anzitutto, l’avv. A. osserva come erroneamente la Corte ambrosiana ha confermato la correttezza della statuizione del Tribunale afferente l’applicabilità del criterio di liquidazione ex art. 5, comma 5 tariffa sulla somma globale riconosciuta in favore della famiglia P. con riduzione del 30% del compenso così individuato, poichè le singole posizioni erano accomunate da fatto genetico unico ed avevano imposto differenziato trattamento esclusivamente in relazione alla quantificazione del ristoro dovuto a ciascun famigliare.

Viceversa, ad opinione del ricorrente, le stesse posizioni dei singoli danneggiati erano differenziate, non bastando l’unicità del fatto genetico per accomunarle, poichè erano state esaminate problematiche peculiari in relazione a ciascuna singola posizione.

Pertanto, correttamente, i Giudici di merito avrebbero dovuto procedere a riconoscere il suo diritto al pagamento,da parte di ciascun danneggiato ristorato, del compenso individuato in base alla tariffa e questo ridotto del 30%,ex art. 5 comma 5 della Tariffa, ovvero, se ritenuto unitario il compenso, aumentarlo ex art. 5 comma 4 tariffa forense in relazione al numero degli patrocinati.

La prospettazione della questione, siccome lumeggiata in ricorso per cassazione, non appare coerente con l’argomentazione illustrata dalla Corte ambrosiana per rigettare la ragione di gravame.

Difatti la Corte di merito indica la pretesa dell’avv. A. siccome rivolta ad ottenere la liquidazione di parcelle uguali in ragione di ciascuna parte danneggiata assistita facente parte della famiglia P..

In questa sede, invece, sembra che il ricorrente lamenti la liquidazione di unica parcella con la decurtazione del 30%, ma con il calcolo del compenso fatto sulla somma globale a titolo di ristoro danni – Euro 713.000 – riconosciuta a tutti i componenti della famiglia P. danneggiati.

Tuttavia viene lamentata violazione del parametro D.M. n. 127 del 2004, ex art. 5, comma 5 benchè la Corte di merito abbia applicato detto parametro riconoscendo che, pur in presenza di fatto genetico del diritto uguale per tutti – il sinistro stradale, sicchè l’esame e valutazione della dinamica dello stesso non importava esame di situazioni particolari -, tuttavia la liquidazione delle singole poste di danno in relazione alle singole posizioni dei danneggiati aveva richiesto l’esame e valutazione di questioni particolari.

Proprio in ragione di detta situazione peculiare i Giudici lombardi avevano ritenuto che il parametro ex art. 5, comma 5 – come pure reputa il ricorrente – fosse adeguato a compensare il servigio professionale reso.

Il punto sul quale sembra esservi difformità risulta essere individuato dal fatto che i Giudici del merito hanno liquidato una sola parcella per tutti gli assistiti avendo come parametro di valore la somma complessiva liquidata in favore di tutti i danneggiati della famiglia P. – Euro 713.000 -, mentre il professionista ritiene che doveva esser effettuata singola liquidazione in ragione di ciascun cliente assistito.

Ma al riguardo il ricorso pecca di genericità poichè il ricorrente non riporta nè le parcelle formulate in capo a ciascun cliente, nè ricorda la somma da ciascun assistito ricevuta a titolo di ristoro, nè deduce che la somma globale riconosciuta a titolo di compenso sia inferiore alla sommatoria degli importi ottenuti liquidando il compenso in relazione a ciascun assistito ed all’ammontare della somma dallo stesso ricevuta.

Tali precisazioni appaiono rilevanti in una situazione lumeggiante la figura tipica della falsa applicazione di legge, posto che come visto il parametro astratto utilizzato dai Giudici ambrosiani era corretto anche ad opinione del ricorrente.

Il dedotto vizio di nullità con relazione alla motivazione non appare in concreto oggetto di specifica argomentazione critica svolta nel motivo d’impugnazione.

Con la seconda doglianza l’ A. rileva i medesimi vizi già indicati nel primo motivo con relazione però alla statuizione dei Giudici di merito di riconoscere la tassazione del compenso sulla scorta del minimo di ciascuna voce tariffaria.

Ad opinione del ricorrente la Corte ambrosiana ha esposto motivazione apparente per giustificare la soluzione adottata,ossia che in atti non risultavano versati elementi dai quali desumere che la questione trattata palesasse aspetti di particolare complessità sia fattuale che giuridica.

A fronte di detta, in effetti puntuale, motivazione il ricorrente non indica specificatamente quali elementi fattuali la Corte ambrosiana non ebbe a considerare, benchè presenti in atti, bensì deduce nullità per motivazione apparente contrapponendo al decisum della Corte una propria valutazione circa la complessità fattuale e giuridica della questione risarcitoria esaminata per i patrocinati P..

All’evidenza sussiste precisa motivazione nella sentenza impugnata – carenza di prova che la questione curata implicasse un rilevante impegno professionale – a sostegno del decisum sul punto ed il ricorrente reputa di superare un tanto elaborando propria valutazione circa la complessità della questione curata per conto dei singoli assistiti P..

Quanto poi alla dedotta violazione di norme giuridiche l’enunciato in rubrica del motivo non s’è tradotto in elaborazione di specifico argomento critico in parte motiva.

Al rigetto del ricorso segue la condanna dell’ A. al pagamento in favore dei resistenti in solido fra loro delle spese di questa lite di legittimità liquidate in complessivi Euro 4.300,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario siccome precisato in motivazione.

Concorrono in capo all’ A. le condizioni di legge per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rifondere ai resistenti, in solido fra loro, le spese di questo giudizio di legittimità che tassa in complessivi Euro 4.300,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo la tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di camera di consiglio, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2019

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