Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21451 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/07/2021, (ud. 11/06/2021, dep. 27/07/2021), n.21451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12588/15 R.G. proposto da:

AD MAIORA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, quale incorporante per fusione

della Golf Club La Torre s.r.l., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv. Guido Doria, con domicilio eletto presso

il suo studio in Brescia, via Vittorio Emanuele II, n. 42;

domiciliata in Roma, p.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

la quale è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 1947/5/14 depositata in data 14 novembre

2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 giugno

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La società Golf Club La Torre s.r.l. propose ricorso avverso il provvedimento della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle entrate – con cui era stata accertata, per l’anno 2006, maggiore IRES, con irrogazione di sanzione per infedele dichiarazione, a seguito di rigetto dell’istanza presentata per la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo eccependo l’incompetenza funzionale della Direzione provinciale e l’infondatezza della pretesa fiscale.

2. Respinto il ricorso dalla Commissione provinciale adita, la contribuente impugnò la sentenza dinanzi alla Commissione tributaria regionale che rigettò l’appello.

Disattesa l’eccezione di difetto di motivazione della sentenza di primo grado, i giudici di secondo grado rilevarono che con il regolamento di Amministrazione approvato con Delib. del Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4, e successive integrazioni, alle Direzioni provinciali era stato affidato il compito di emettere gli avvisi di accertamento, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, qualora il contribuente non avesse un volume di affari superiore a 100.000,00 Euro.

Escluso, inoltre, un eventuale contrasto della normativa dettata in materia di società di comodo con i principi costituzionali, rilevarono che lo studio contabile proveniente dalla società di revisione KPMG, prodotto dalla contribuente per dimostrare l’inidoneità degli indici economici presi a riferimento dall’Agenzia delle entrate, non poteva considerarsi determinante ai fini della contestazione dell’avviso di accertamento, trattandosi di “indagine compiuta su un campione vasto e variegato di società”, alla quale non poteva essere attribuita efficacia dimostrativa dell’esistenza di oggettive situazioni che avessero reso impossibile il conseguimento dei ricavi di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30.

3. Contro la suddetta decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione la società Ad Maiora s.r.l. in liquidazione, quale incorporante per fusione della società Golf Club La Torre s.r.l., con tre motivi.

L’Agenzia delle entrate, ritualmente intimata, ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente deduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, lamentando che la decisione impugnata è affetta da difetto assoluto di motivazione, poiché la Commissione regionale, pronunciandosi sul motivo di gravame con cui aveva dedotto che la sentenza di primo grado non esplicitava il percorso logico giuridico seguito dai giudici, ha ritenuto infondata tale censura, rendendo una motivazione meramente apparente, che rimanda alle argomentazioni della Direzione provinciale di Bologna dell’Agenzia delle entrate e, per relationem, alla sentenza della Commissione provinciale senza esaminarne il contenuto e omettendo di rendere evidente il ragionamento logico giuridico sotteso alle conclusioni raggiunte.

2. Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1, 2, 3 e 4 disp. gen..

Evidenzia che i giudici di appello hanno richiamato unicamente il Regolamento di Amministrazione approvato con Delib. del Comitato Direttivo 30 novembre 2000, n. 4, non idoneo a superare la assenza di normativa speciale di rango superiore che attribuisca competenza alla Direzione Provinciale per l’emanazione dell’accertamento. Aggiunge che a seguito dell’emanazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, istitutivo delle Agenzie delle entrate, il successivo Regolamento di organizzazione del Ministero delle Finanze, varato con D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, all’art. 23, aveva disposto l’abrogazione di “tutte le norme relative all’Amministrazione finanziaria incompatibili con le disposizioni del D.Lgs. n. 300 del 1999”, e tra queste era ricompreso il D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 2 (che recita: “La Direzione Centrale per l’accertamento e la programmazione del Dipartimento delle entrate e i servizi per l’accertamento e la programmazione delle Direzioni regionali delle entrate eseguono, sulla base di piani annuali o in via straordinaria, controlli e verifiche per l’accertamento dei tributi devoluti alla competenza del Dipartimento delle entrate, avvalendosi di tutti i poteri di indagine previsti dalle singole leggi di imposta. Le notizie, le informazioni e i dati acquisiti, nonché i risultati delle verifiche eseguite, sono comunicati agli uffici competenti ai fini dell’accertamento”). Tale abrogazione non poteva essere superata dal Reg. di Amministrazione n. 4 del 2000, art. 2, comma 4. Inoltre, il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 27, con decorrenza dal 1 gennaio 2009, aveva stabilito che per i contribuenti con volumi di affari e ricavi non inferiori a cento milioni di Euro, le attribuzioni ed i poteri previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, erano demandati alle strutture individuate con il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui al D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 71; si trattava di disposizione legislativa speciale che non aveva fondamento ove il potere di effettuare verifiche fiscali fosse già stato riconosciuto in capo alle Direzioni regionali.

3. Il primo motivo, sebbene in tesi fondato, non giova alla contribuente per le ragioni che si esporranno in relazione al secondo motivo di ricorso.

3.1. La Commissione tributaria regionale, laddove esamina il motivo di gravame con cui la contribuente si doleva della totale assenza di motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla dedotta incompetenza funzionale della Direzione provinciale, si limita a richiamare la sentenza di primo grado, tralasciando di riportarne il contenuto, e ad affermare che i giudici provinciali hanno ritenuto non “compiutamente strutturate le tesi rappresentate” dalla contribuente e “condivisibili le argomentazioni esposte dall’Ufficio finanziario”, in tal modo non rendendo evidente il percorso argomentativo seguito per addivenire al proprio convincimento, ed aderendo, in modo acritico, al dictum della Commissione tributaria provinciale.

3.2. Secondo il costante orientamento della Corte, al quale il Collegio aderisce, “In tema di processo tributario è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame.” (Cass., sez. 5, 5/10/2018, n. 24452; Cass., sez. 5, 11/11/2020, n. 25325; Cass., sez. L, 14/02/2020, n. 3819; Cass., sez. L, 25/10/2018, n. 27112; Cass., sez. L, 5/11/2018, n. 28139, la quale ha stabilito che “La sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame”).

4. Va, tuttavia, rilevato che i giudici regionali hanno comunque proceduto all’esame della questione afferente alla asserita incompetenza delle Direzioni provinciali ad emettere avvisi di accertamento, illustrando, con adeguate argomentazioni, le ragioni sottese al rigetto dell’eccezione che, non discostandosi dall’orientamento di questa Corte, impongono di ritenere infondato il secondo motivo di ricorso.

4.1. La L. n. 244 del 2007 (finanziaria 2008), art. 1, comma 360, ha previsto che al fine di rafforzare l’attività di controllo dell’Agenzia delle entrate attraverso l’impiego ottimale delle risorse e di facilitare il rapporto dei contribuenti con gli uffici, con il regolamento di amministrazione di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 71, e successive modificazioni, possono essere individuati gli uffici competenti a svolgere le attività di controllo e di accertamento. Il regolamento si ispira ai seguenti criteri: a) rafforzamento dell’attività di controllo in relazione alla peculiarità delle tipologie di contribuenti e alle diverse fattispecie di accertamento; b) impiego ottimale delle risorse, nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, nonché facilitazione del rapporto dei contribuenti con gli uffici, anche attraverso lo sviluppo delle tecnologie informatiche e telematiche; c) individuazione dei livelli di responsabilità relativi all’adozione degli atti di accertamento sulla base della rilevanza e complessità degli stessi.

4.2. Con il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13, convertito con la L. n. 2 del 2009, si è stabilito che ferme restando le previsioni di cui ai commi da 9 a 12, a decorrere dal 1 gennaio 2009, per i contribuenti con volume d’affari, ricavi o compensi non inferiore a cento milioni di Euro, le attribuzioni ed i poteri previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 31 e ss., nonché quelli previsti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 e ss., sono demandati alle strutture individuate con il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 71.

La norma indicata deve, pertanto, essere interpretata sistematicamente con le previgenti norme del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ed in particolare con l’art. 57, comma 1, che ha istituito la Agenzia delle entrate cui sono stati trasferiti i “rapporti giuridici, poteri e competenze” -corrispondenti alle funzioni già esercitate dai Dipartimenti delle entrate del Ministero delle Finanze – che “vengono esercitate secondo la disciplina della organizzazione interna di ciascuna agenzia”; con l’art. 61, commi 1 e 2, che ha istituito l’Agenzia delle Entrate come ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico con autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria (cfr. Statuto, art. 1, comma 1, e 13, comma 1, approvato con Delib. del Comitato Direttivo in data 13 dicembre 2000, n. 6), e con l’art. 62, comma 2, che ha attribuito alla Agenzia delle entrate tutte le competenze già esercitate dal Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze e concernenti i servizi di relativi alla amministrazione alla riscossione, al contenzioso dei tributi diretti ed indiretti.

4.3. L’Agenzia fiscale è articolata in uffici “centrali e periferici”, “regionali e provinciali”, secondo le disposizioni del “regolamento di amministrazione” adottato con Delib. del Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4 (art. 2, comma 2; art. 4, comma 1; art. 5 reg. amm.), in base a criteri organizzativi che combinano l’applicazione del principio di competenza (territoriale e per valore) con il principio gerarchico (fondato su rapporti di sovra e sottoordinazione: Statuto, art. 11, comma 1, lett. c)) ed il principio di sussidiarietà (art. 1, comma 1, lett. d), reg. amm.).

Considerato che la legge attribuisce alla Agenzia delle Entrate “tutte le funzioni concernenti le entrate tributarie erariali con il compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali, sia attraverso l’assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale” (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 62, comma 1; analogamente Statuto, art. 2, comma 1, ed art. 4, comma 1, lett. c)), ne segue che la competenza accertativa degli Uffici centrali e periferici può trovare fonte, o in una specifica attribuzione ex lege, o in via generale nelle norme organizzative dell’ente pubblico (Statuto o regolamento di amministrazione) o ancora in una delega specificamente conferita dal Direttore Generale (cfr. D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1).

4.4 Il Reg. di amministrazione, art. 4, commi 1 e 3, definisce le Direzioni regionali e le Direzioni provinciali come “strutture di vertice” a “livello periferico”, direttamente dipendenti dal Direttore della Agenzia, precisando che competenti alla emissione degli atti impositivi sono le Direzione provinciali (“gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, su delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a secondo della rilevanza o complessità degli atti…” (art. 4, comma 6, reg. amm.) (Cass., sez. 5, 3/10/2014, n. 20915)

Inoltre, l’abrogazione operata dal D.P.R. n. 107 del 2001, art. 23, della previgente disposizione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, ha comportato che gli atti istruttori e di accertamento devono essere compiuti dalle direzioni provinciali (Cass., sez. 5, 29/10/2020, n. 23859).

4.5. Le disposizioni normative sopra richiamate rendono evidente come alle Direzioni regionali debba riconoscersi, per disposizione regolamentare, la competenza a svolgere anche attività istruttoria (ispezioni, accessi, controlli, acquisizione informazioni e documenti, redazione dei relativi processi verbali) i cui risultati potranno essere utilizzati dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi.

La pronuncia censurata fa dunque corretta applicazione delle disposizioni normative, considerato che l’avviso di accertamento impugnato, riferito all’anno d’imposta 2006, è stato notificato in data 26 giugno 2009, ossia quando le Direzioni provinciali erano già operanti, e che la società contribuente aveva un volume d’affari non inferiore a 100.000,00 Euro.

5. Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, e dell’art. 53 Cost..

Assume che il meccanismo di tipo antielusivo richiamato dai giudici di appello non sarebbe conforme ai dettami costituzionali, in quanto la presunzione di un reddito minimo, mediante sostituzione degli ordinari criteri analitici di tassazione del reddito d’impresa con criteri presuntivi, appare adombrare elementi strutturali di una tassazione patrimoniale, in contrasto con l’art. 53 Cost.. Rileva, altresì, che la C.T.R. ha applicato in modo distorto la normativa vigente, dato che non ha minimamente tenuto conto di un documento di notevole importanza, quale lo studio della società di revisione KPMG, che aveva fornito la prova della non corrispondenza dei criteri presuntivi con la situazione economica delle società di gestione dei campi da golf. Lo studio, avente ad oggetto proprio l’anno 2006, aveva evidenziato che “ben due terzi dei campi” venivano gestiti “senza finalità di lucro”, che “solo un terzo dei campi da golf” richiedeva il pagamento di una quota di iscrizione, che “i ricavi dei campi da golf” erano principalmente riconducibili a quote di iscrizioni, green free, entrate derivanti da servizi di bar e ristorazione, indici questi che costituivano situazioni oggettive che avevano reso impossibile il conseguimento dei ricavi.

5.1. La censura è infondata.

5.2. Come più volte precisato da questa Corte, la disciplina delineata dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, mira a disincentivare la costituzione di società “di comodo”, ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale) (ex multis, Cass., sez. 5, 13/5/2015, n. 21358; Cass., sez. 6-5, 28/9/2017, n. 26728).

Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio (Cass. sez. 5, 24/2/2020, n. 4850).

La presunzione legale di inoperatività si fonda sulla massima di esperienza per la quale non vi e’, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione) ed ha carattere relativo. In particolare, secondo la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato, attraverso il c.d. test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società.

5.3. Tale presunzione può essere vinta mediante la dimostrazione, il cui onere grava sul contribuente, di situazioni oggettive – ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore – che abbiano reso impossibile il conseguimento del volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri.

Come già chiarito da questa Corte, la normativa, contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale, poiché, rispondendo a fini antielusivi, è funzionale alla realizzazione piena del principio di capacità contributiva, posto che l’esigenza di coniugare l’equilibrio nel riparto del carico fiscale e il diritto di difesa del contribuente appare sufficientemente garantita dagli strumenti del contraddittorio e della necessaria motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento (Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9852).

5.4. Nel caso di specie, la Commissione regionale, con accertamento in fatto non scrutinabile in sede di legittimità, ha escluso che lo studio elaborato dalla società di revisione KPGM, peraltro solo richiamato, ma non allegato al ricorso, costituisse prova idonea a dimostrare che il mancato raggiungimento dei ricavi minimi fosse imputabile a condizioni oggettive impeditive, trattandosi di “indagine compiuta su un campione vasto e variegato di società”, di per sé non sufficiente a superare l’inidoneità economica degli indici presi a riferimento dall’Ufficio finanziario.

Con la doglianza in esame, genericamente illustrata, la contribuente non fa che ribadire la validità ed importanza dello studio condotto dalla società di revisione, evidenziando che dallo stesso emergerebbero indici costituenti oggettive situazioni che avrebbero reso impossibile il conseguimento dei ricavi, ma tale assunto difensivo, difettando di adeguati riscontri documentali, come correttamente rilevato dai giudici regionali, non consente di ritenere superata la presunzione di inoperatività contestata dall’Agenzia delle entrate.

6. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in assenza di attività difensiva della parte resistente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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