Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21450 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21450 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 20827-2009 proposto da:
FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. 07973780013,

(nuova

denominazione della FIAT AUTO S.P.A.,) in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo
studio dell’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO (STUDIO
2013
2126

TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO), che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati LUCA ROPOLO, FRANCO
BONAMICO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 19/09/2013

BUTERA MICHELINA BTRMHL53E71H281P,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio
dell’avvocato COSSU BRUNO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato POLI ELENA, giusta
delega in atti;

avverso la sentenza n. 894/2008 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 25/09/2008 R.G.N. AT/24-/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/06/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito l’Avvocato COSSU BRUNO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

– controri corrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25 settembre 2008 la Corte d’appello di Torino ha
confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 16 novembre 2007 con
la quale era stata dichiarata l’illegittimità della collocazione in CIGS di
Butera Michelina dipendente della FIAT Auto s.p.a., per il periodo 9

dicembre 2002 — 30 aprile 2003 e successivamente nel luglio 2003, ed è
stata condannata la FIAT Auto al pagamento in favore della lavoratrice
delle differenze tra la normale retribuzione di fatto e quanto percepito a
titolo di CIGS. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia
confermando la precedente giurisprudenza in materia, affermando che l’art.
2, comma V d.P.R. 218 del 2000 non ha abrogato la norma che impone al
datore di lavoro di adottare meccanismi di rotazione tra i lavoratori da
sospendere, stabilendo che le modalità di tale rotazione devono formare
oggetto dell’esame congiunto con le rappresentanze sindacali, e imponendo
all’impresa di indicare le ragioni tecnico organizzative della mancata
adozione di meccanismi di rotazione, per cui, anche ammettendo che tale
art. 2 abbia abrogato la disciplina di cui alla legge 223 del 1991 riguardo
all’obbligo di comunicazione all’inizio della procedura posticipandolo al
momento dell’esame congiunto, non è comunque sminuito l’obbligo
imposto all’impresa con riferimento alla rotazione. Nel caso in esame tale
obbligo è stato disatteso stante la genericità, lacunosità ed evanescenza
delle ragioni addotte dalla FIAT Auto alla mancata adozione della
rotazione. Anche con riguardo ai criteri di scelta non è sostenibile
un’implicita abrogazione della legge 223 del 1991 in quanto l’art. 2 del
d.P.R. 218 del 2000 non disciplina l’intera materia regolata da detta legge,
ma semplifica l’iter procedimentale senza assolutamente privare l’oggetto
dell’esame congiunto fra le parti. Pertanto la corte torinese ha affermato la
coesistenza della disciplina della legge 223 del 1991 e, in particolare,
dell’art. 1, comma 7, e del d.P.R. 218 del 2000 e la conseguente

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4

permanenza dell’obbligo di compiuta comunicazione solo differito dal
momento iniziale della procedura. D’altra parte, anche dal punto di vista
sistematico, non sarebbe sostenibile l’abrogazione di una norma primaria
che incide su diritti soggettivi dei lavoratori, ad opera di una norma
delegata. La Corte territoriale ha escluso inoltre l’efficacia sanante del

dal momento che il citato d.P.R. 218 non ha introdotto una sorte di
controllo interno a carico del Ministero circa la regolarità e completezza
dell’esame congiunto. In conclusione il lavoratore non ha avuto modo di
conoscere i precisi motivi ed i criteri adottati nella scelta di porla in CIGS,
e l’illegittimità della procedura non può essere sanata da alcun verbale di
incontro successivo.
La FIAT Group Automobiles s.p.a., nuova denominazione della FIAT Auto
s.p.a., propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a

motivi.
Il lavoratore si difende con rituale controricorso, deducendo preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso per intervenuto giudicato, in ragione dell’effetto
riflesso esercitato sul presente giudizio dall’accertamento definitivo nel
giudizio ex art. 28 S.L., promosso dalla FIOM nei confronti della Fiat,
relativamente alla antisindacalità del comportamento tenuto dalla società nella
vicenda descritta.
La società ha depositato una memoria a norma dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 20
della legge n. 50 del 1997 in relazione all’art. 1 della legge 223 del 1991 ed
al d.P.R. n. 218 del 2000, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., e la
violazione o falsa applicazione dell’art. 15 delle preleggi in relazione al
rapporto tra il d.P.R. 218 del 2000 e l’art. 1 della legge n. 223 del 1991, ai

verbale di riunione presso il Ministero del Lavoro in data 5 dicembre 2002,

sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce la portata
innovativa del d.P.R. 218 del 2000 rispetto alla disciplina della legge 223
del 1991 affermandosi l’unicità della procedura di CIGS che
configurerebbe un iter complesso in cui sarebbero intimamente connesse la
fase sindacale e quella amministrativa. Sarebbe inoltre irrilevante la

delegificare ex lege 59 del 1997.
Con il secondo motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art.
2697 cod. civ. e dell’art. 2 del d.P.R. 218 del 2000 in relazione al verbale
del Ministero del Lavoro del 5 dicembre 2002, ai sensi dell’art. 360, n. 3
cod. proc. civ.; omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio in relazione al verbale di esame congiunto del 5 dicembre
2002 redatto dal Ministero del Lavoro, ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. In particolare si lamenta che sarebbe stato interpretato erroneamente
tale verbale con il quale si sarebbe dato atto ufficialmente della correttezza
della procedura di concessione della CIGS, e tale effetto certificativo non
potrebbe essere sindacato da parte del giudice ordinario.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1,
comma 7 della legge n. 223 del 1991, dell’art. 5, commi 4, 5 e 6 della
legge n. 164 del 1975, e dell’art. 2 del d.P.R. 218 del 2000 in relazione al
contenuto della lettera di apertura della procedura, ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ.; in via gradata si ribadisce l’esaustività del contenuto delle
comunicazioni di avvio della procedura di CIGS anche a voler fare
riferimento alla sequenza procedurale delineata dall’art. 1, comma 7 della
legge 223 del 1991 e dell’art. 5, commi 4, 5 e 6 della legge n. 164 del 1975,
o anche a volersi sostenere che dovesse essere effettuata una qualche
comunicazione sui criteri di scelta.

mancata inclusione dell’art. 5 della legge 164 del 1975 tra le norme da

Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1,
comma 7 della legge 223 del 1991 e dell’art. 5, commi 4, 5 e 6 della legge
n. 164 del 1975, e dell’art. 2 del d.P.R. 218 del 2000 in relazione alla
posizione soggettiva del lavoratore, ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ.; omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in

collocato in CIGS.
Con il quinto motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art. 1
della legge n. 223 del 1991 ed ancora dell’art. 2 d.P.R. 218 del 2000 in
relazione all’efficacia di accordi sindacali raggiunti in corso di gestione
della CIGS ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.; violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. e dell’art. 1375
cod. civ. nonché violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione agli accordi
sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003 in relazione all’art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. In particolare si ribadisce che gli accordi citati comunque
legittimerebbero e sanerebbero la procedura svolta anche con riferimento
alla scelta dei lavoratori ed alla rotazione.
Con il sesto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697
cod. civ. e dell’art. 1362, II comma cod. civ. in relazione alla regolare
stipulazione degli accordi sindacali 18 marzo 2002 e 22 luglio 2003 in
relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.; insufficiente, contraddittoria o
omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex
art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che sarebbe stata
erroneamente valutata l’irregolarità degli accordi raggiunti quando invece
tutte le rappresentanze sindacali erano state regolarmente convocate dalle
rispettive organizzazioni sindacali, per cui legittimamente la FIAT Auto
aveva fatto affidamento sulla regolarità degli incontri e della procedura a
cui erano finalizzati.

relazione alla omessa motivazione della posizione soggettiva del lavoratore

In via preliminare, va disattesa la deduzione della parte controricorrente di
inammissibilità del ricorso per l’intervenuta definizione del procedimento
per repressione del comportamento antisindacale, promosso dalle 00.SS.
nei confronti di Fiat, per violazione degli oneri di informazione nell’ambito
della procedura collettiva che ha condotto all’applicazione della CIGS di
cui ora si discute. La difesa di parte controricorrente ha in proposito

prodotto le sentenze di questa Corte 9 giugno 2009 n. 13240 e 1 luglio
2009 n. 15393 che rigettano il ricorso per cassazione di Fiat avverso la
sentenza di appello che riteneva sussistente il comportamento antisindacale
e dichiarava l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione in CIGS
adottati a seguito della procedura avviata con la comunicazione del 31
ottobre 2002. Dalla pronunzia di queste sentenze deriverebbero le
conseguenze giuridiche per cui il comportamento antisindacale presenta nel
caso in esame natura plurioffensiva e la rimozione dei suoi effetti comporta
l’adozione di provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro dei
singoli lavoratori; l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1, comma 7,
della legge n. 223 del 1991 è configurabile come una particolare fattispecie
di obbligazione solidale attiva e/o indivisibile, di modo che le pronunzie in
questione, intervenute tra FIAT e le 00.SS., possono essere fatte valere ai
sensi dell’art. 1306 c.c. da tutti gli altri creditori (in questo caso i lavoratori)
contro il debitore; ai sensi dell’alt. 2909 c.c. – ove l’espressione che “il
giudicato fa stato tra le parti” dovrebbe essere letta nel senso che gli effetti
delle due sentenze potrebbero estendersi all’odierna parte controricorrente,
in quanto non pregiudicata dalla mancata partecipazione al contraddittorio
in quel procedimento.
In proposito, il collegio ribadisce che il giudicato si forma tra le parti del
processo (e loro eredi o aventi causa) e la deduzione della possibile natura
plurioffensiva del comportamento che ha costituito l’oggetto del relativo

9,

accertamento rappresenta una mera deduzione descrittiva dei possibili (
-«—

interessi sottostanti e non si traduce in un fatto giuridico capace di incidere
su tale regola, mentre dell’ipotetica configurazione dell’obbligo di
comunicazione previsto dall’art. 1, comma 7° della L. n. 223/1991 come
fattispecie di obbligazione solidale attiva e/o indivisibile non è rinvenibile
alcuna base normativa.
esterno di cui si chiede l’affermazione anche tra le parti attuali, si ribadisce
che le pronunzie di questa Corte invocate non possono spiegare la stessa
autorità in un diverso giudizio, dato che il giudicato sostanziale opera
soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e
presuppone — a differenza di quanto qui riscontrabile – che tra la precedente
causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che di petitum e di causa
petendi (v. per tutte Cass. 27 gennaio 2006 n. 1760).
Nel merito il ricorso è infondato.
Per quel che riguarda la questione principale deve osservarsi che la legge
23 luglio 1991 n. 223, che introduce una visione organica dell’intervento
straordinario della CIGS, ricollegandone la fruizione a particolari requisiti
soggettivi dell’impresa e all’esistenza di uno stato di crisi aziendale, nonché
alla proposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi, limitati
nel tempo, prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e
l’approvazione dei programmi di superamento della stessa e per tutta la loro
durata, all’esito di una articolata procedura, il Ministero del Lavoro con
proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione
salariale (artt.1-2).
Il datore di lavoro deve comunicare i criteri di scelta dei lavoratori da
sospendere, adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che
svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva
interessata. I “criteri di individuazione dei lavoratori” e “le modalità della
rotazione” sono infatti oggetto di consultazione sindacale, in forza del

Quanto infine alla deduzione dell’esistenza, nella sostanza, di un giudicato

dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle 00.SS. e l’esame
congiunto di cui all’art. 5 della legge 20 maggio 1975 n. 164. Qualora il
datore, per ragioni di carattere tecnico-organizzativo connesse al
mantenimento dei normali livelli di efficienza, non intenda attuare
meccanismi di rotazione, dovrà indicarne i motivi nel programma di cui al

Il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa
integrazione, può ritenere non giustificata la non adozione della rotazione e
promuovere un incontro tra le parti sul punto. Ove non si pervenga ad un
accordo entro tre mesi dalla data della concessione del trattamento di
integrazione, il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di
rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti (comma 8, secondo
periodo).
Su tale assetto intervenne il D.P.R. 10 giugno 2000 n. 218, emanato su
delega conferita dall’art. 20 della legge di semplificazione amministrativa
15 marzo 1997 n. 59, che inserì il procedimento per la concessione della
cassa integrazione guadagni straordinaria, come regolato dalla legge n. 223
del 1991, tra quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento
emesso ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400
(art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell’allegato 1 alla legge stessa).
I rapporti tra le due fonti sono stati uniformemente definiti dalla
giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del d.P.R. n. 218
del 2000 non abroga la legge n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli
oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultima. Il d.P.R. in parola
non incide, infatti, sulle disposizioni del combinato disposto dell’art. 5 della
legge n. 164 del 1975 e dell’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991
riguardanti l’obbligo datoriale di comunicare alle organizzazioni sindacali,
in avvio della procedura per l’integrazione salariale, i criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità di rotazione

secondo comma dell’art. 1 della legge (art. 1, commi 7-8, della legge 223).

del personale, atteso che la disciplina da esso fissata attiene unicamente alla
fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della
integrazione salariale (cfr., ex ceteris, Cass. 28 novembre 2008 n. 28464).
Può, dunque, affermarsi, condividendo l’indicata impostazione
(successivamente ripresa da numerose altre sentenze, tra le quali v., ad es.,

4151 e 4152 e le numerose pronunce successive in materia) che per la
scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione, la legge n. 223 del
1991, art. 1, comma 7, prescrive che il datore di lavoro comunichi alle
organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in
relazione a quanto previsto dall’art. 5 della legge n. 164 del 1975. Tale
disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei
singoli lavoratori e le prerogative delle Organizzazioni sindacali, anche
dopo l’entrata in vigore della disciplina del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218,
atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo
sulle suddette disposizioni, ma è volta unicamente a regolamentare
diversamente il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di
concessione della integrazione salariale.
Ad analoga conclusione questa Corte è condivisibilmente pervenuta per
quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro
(art. 1, comma 7-8, della legge n. 223), precisando, altresì, che la
richiamata normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i
criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della
comunicazione di avvio della procedura a quello immediatamente
successivo dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della
norma di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 218 cit. sarebbe estraneo all’esigenza di
semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come
conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con
compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo

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