Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21450 del 19/08/2019

Cassazione civile sez. II, 19/08/2019, (ud. 20/03/2019, dep. 19/08/2019), n.21450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14070-2015 proposto da:

R.V., rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO

GHIDOTTI;

– ricorrente e c/ricorrente all’incidentale –

contro

D.G., D.M., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

PIO XI 13, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CROCE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GLAUCO ARCAINI;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

D.L. DECEDUTO IL (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1450/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/03/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che la vicenda qui al vaglio può riepilogarsi nei termini seguenti:

– i coniugi D.L. ed S.E. erano divenuti usufruttuari, per assegnazione da cooperativa edilizia, di un alloggio, la cui nuda proprietà era stata contestualmente ceduta ai figli M. e D.G.;

– la nuda proprietà era stata successivamente espropriata, all’esito di processo esecutivo, e di essa si era reso acquirente R.V.;

– deceduta, ancora successivamente, la S., il R. agiva in giudizio nei confronti di D.L. e il Tribunale, accogliendone la domanda, constatata l’assenza di clausola di accrescimento, dichiarava che l’attore era divenuto pieno proprietario per il 50%, per consolidamento dell’usufrutto, venuto meno per morte, con la nuda proprietà, condannando il convenuto a risarcire il danno da occupazione senza titolo della metà dell’immobile dalla morte della coniuge in poi;

– la Corte d’appello, riformava in toto la statuizione di primo grado, assumendo che “Nel caso di usufrutto costituito a favore di due coniugi in regime di comunione legale, ciascun coniuge è titolare del relativo diritto di godimento dell’oggetto dell’usufrutto, per l’intero e non per una quota predeterminata che non esiste, dove la partecipazione dell’uno, non è limitativa della concorrente partecipazione dell’altro”, con la conseguenza “che, morta la moglie S. ed estintasi la comunione legale, il D. già titolare dell’intero usufrutto, al pari della moglie, sull’immobile sul quale era costituito, continua ad esercitare sullo stesso il medesimo diritto che esercitava in vita della moglie, senza che in capo al nudo proprietario possa ritenersi consolidata quella pretesa quota del 50%”;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello il S. ricorre sulla base di cinque motivi, che G. e D.M., succeduti per morte a D.L., resistono con controricorso, in seno al quale propongono ricorso incidentale condizionato sulla base di cinque motivi e che il ricorrente controdeduce al ricorso incidentale con specifico controricorso;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 184 c.c., comma 1 e art. 189, c.c., artt. 149-191-194 c.c., artt. 979 e 1014, c.c., art. 1362 c.c. e segg., art. 1350 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo, in sintesi quanto segue:

– la Corte locale aveva fatto un inconferente riferimento alla sentenza della Corte Cost. n. 311/1988, la quale, lungi dall’escludere la nozione di quota, propugnando un usufrutto indistinto nella comunione legale, aveva elaborato la nozione di comunione senza quote al solo fine di tutelare il coniuge dagli atti d’alienazione compiuti dall’altro coniuge a sua insaputa;

– resta fermo che l’accrescimento non può darsi senza una specifica disposizione negoziale;

– la comunione legale si scioglie per le causi previste dalla legge, fra le quali la morte di uno dei coniugi;

– dagli artt. 979 e 1014 c.c., deriva che l’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario e si estingue per riunione in capo allo stesso titolare del diritto di usufrutto e di nudo proprietario, privilegiando, la legge, la libera circolazione dei beni, anche nel caso di cousufrutto;

– erano rimaste violate le norme sull’ermeneutica negoziale, avendo la sentenza impugnata non tenuto conto del fatto che nel titolo di provenienza non constava clausola di accrescimento;

– si era finito, infine, per violare l’art. 1350, c.c., ipotizzando un accrescimento d’usufrutto in assenza della forma solenne prevista dalla legge;

ritenuto che con il secondo motivo il R. deduce violazione degli artt. 2043,2056,1223 e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non essere stato risarcito il danno da occupazione senza titolo.

Diritto

RITENUTO

che con il terzo motivo si allega violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza d’appello reso motivazione apparente;

ritenuto che con il quarto motivo il ricorso prospetta violazione dell’art. 112, c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere l’avversata sentenza statuito extra e ultra petita, per avere omesso di pronunziare e per aver violato il principio del contraddittorio, avendo deciso la causa in favore dell’appellante sulla base di una prospettazione nuova e diversa rispetto a quella ipotizzata da costui, il quale aveva evocato una clausola d’accrescimento da doversi considerare presente nel negozio di assegnazione;

ritenuto che con il quinto motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, costituito dalla presenza o meno della predetta clausola;

considerato che il primo motivo è fondato per le considerazioni che seguono:

a) la Corte Costituzionale con la richiamata sentenza n. 311/1988, negando il contrasto dell’art. 184 c.c., comma 1, con l’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 1, art. 29 Cost., comma 2 e art. 42 Cost., comma 2, ha spiegato, così confutando la tesi dl remittente, il quale ipotizzava l’affievolimento, “che la supposta deroga al principio nemo plus iuris ecc., “ispirata soltanto alla tutela dei terzi”, arreca al diritto di proprietà del coniuge pretermesso e insieme all’interesse della famiglia, tutelati rispettivamente dagli artt. 42 e 29 Cost., nonchè come questione di giustificatezza della norma secondo i parametri degli artt. 3 e 24 Cost.” che “dalla disciplina della comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria. Questa è una comunione per quote, quella è una comunione senza quote; nell’una le quote sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti (arg. ex art. 2825 c.c.) e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune (art. 1103); nell’altra i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, comma 2). Nella comunione legale la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194). Ne consegue che, nei rapporti coi terzi, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione. Il consenso dell’altro, richiesto dal modulo dell’amministrazione congiuntiva adottato dall’art. 180, comma 2, per gli atti di straordinaria amministrazione, non e, un negozio (unilaterale) autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere. Esso è un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio”;

b) appare evidente che l’intervento del Giudice delle leggi, lungi dall’avere teorizzato quanto sostenuto dai ricorrenti, ha escluso che il rimedio dell’annullabilità posto a tutela del coniuge, ad insaputa del quale l’altro coniuge abbia disposto di beni immobili o mobili registrati, di cui alla norma sottoposta al vaglio di costituzionalità, contrasti con i parametri costituzionali selezionati dal remittente e per arrivare ad una tale conclusione, dopo avere chiarito che “la corretta metodologia insegna che la “regola” (nel senso di dottrina) dogmatica di un istituto giuridico deve essere tratta non da categorie precostituite, ma ex iure quod est, cioè dalle norme positive che sostanziano l’istituto medesimo”, ha ricostruito la fattispecie nei termini di cui sopra;

c) di talchè sono state tratte le due pertinenti massime seguenti:

(1) diversamente da quanto avviene nella comunione ordinaria, la mancanza del consenso di uno dei coniugi all’alienazione di un bene immobile (o mobile registrato) in comunione legale non da luogo ad un acquisto a non domino ma ad un acquisto a domino in base a titolo viziato. Ne consegue che la prevista annullabilità dell’atto non costituisce deroga al generale principio di inefficacia degli atti di disposizione posti in essere da alienante non legittimato e, dunque, non contrasta con l’art. 3 Cost. (Non fondatezza, in riferimento al parametro citato, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 184 c.c., comma 1, nella parte in cui prevede l’annullabilità’ anzichè l’inefficacia dell’atto);

(2) l’art. 184 c.c., comma 1, – stabilendo l’annullabilità, anzichè l’inefficacia, degli atti relativi a beni immobili o mobili registrati, compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro – non lede, ma anzi protegge, il diritto di proprietedel coniuge pretermesso e l’interesse della famiglia cui sono destinati i beni della comunione, non viola l’eguaglianza dei coniugi, e – in quanto norma di diritto sostanziale – neppure incide sul diritto di difesa del coniuge pretermesso. (Non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 184, comma 1, cit., in riferimento all’art. 24 Cost., comma 1, art. 29 Cost., comma 2 e art. 42 Cost., comma 2);

d) in definitiva, trattasi di un regime valevole per tutta la durata della comunione legale, che struttura quest’ultima in deroga alla comunione ordinaria, ma che non può sopravvivere allo scioglimento della comunione, con la conseguenza che i beni che ne fanno parte cadono in comunione ordinaria (cfr., in senso conforme, Cass. n. 8803/2017;

e) ne consegue che l’usufrutto acquistato da entrambi i coniugi permane, nella sua interezza e senza quota, nella comunione legale fra loro esistente fino allo scioglimento della stessa, allorquando cade in comunione ordinaria fra i medesimi coniugi, che divengono contitolari di tale diritto, ciascuno per la propria quota, fino alla sua naturale estinzione; tuttavia, ove la cessazione della comunione legale avvenga per effetto del decesso di uno dei coniugi, la quota di usufrutto spettante a quest’ultimo si estingue, non potendo avere durata superiore alla vita del suo titolare, salvo che il titolo non abbia previsto il suo accrescimento in favore del coniuge più longevo (Sez. 2, n. 33546, 28/12/2018, Rv. 651983);

f) in tema di usufrutto congiuntivo – quale istituto caratterizzato dal diritto di accrescimento tra i contitolari, tale da impedire la consolidazione di qualsiasi quota dell’usufrutto con la nuda proprietà finchè rimane in vita almeno uno dei contitolari originari – anche l’atto “inter vivos” a titolo oneroso, oltre che il legato, può costituire la fonte del diritto di accrescimento tra cousufruttuari, ove siffatto diritto sia previsto in modo inequivoco (pur se implicitamente) dalla concorde volontà delle parti risultante dall’atto costitutivo (Sez. 2, n. 24108, 17/11/2011, Rv. 620223), tuttavia, nel caso in esame la decisione impugnata non si fonda sull’esistenza di un simile patto, derogativo della regola ordinaria, secondo la quale l’usufrutto cessa con la morte del beneficiario;

g) non emergono, infine, apprezzabili ragioni per escludere che, in presenza di cousufrutto, deceduto uno dei cousufruttuari, la quota di possesso di quest’ultimo si consolidi con la nuda proprietà, dando vita ad una cd. comunione di godimento;

considerato che l’accoglimento del primo motivo consuma gli altri, che restano assorbiti;

ritenuto che con i cinque motivi posti a corredo del ricorso incidentale condizionato i controricorrenti hanno prospettato:

1. violazione degli artt. 112 e 161 c.p.c., art. 111 Cost., per non essere stata presa in esame la deduzione con la quale gli appellati avevano eccepito la sussistenza di un patto convenzionale d’accrescimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

2. omesso esame di tale circostanza, costituente fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

3. violazione degli artt. 112 e 161 c.p.c., art. 111 Cost., per non essersi proceduto a quantificazione puntuale della dell’indennità di occupazione, che era stata determinata dal primo giudice, in assenza di un principio di prova, facendo erroneo ricorso all’equità, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

4. omesso esame di tale circostanza, costituente fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

5. violazione degli artt. 112 e 161 c.p.c., art. 111 Cost., per non essere stato apprezzato il fatto che il padre dei controricorrenti aveva continuato a pagare la quota dell’ICI della moglie deceduta;

considerato che tutte le esposte doglianze restano anch’esse assorbite dall’epilogo;

considerato che, pertanto, la sentenza deve essere cassata con rinvio, in relazione all’accolto motivo, rimettendosi al Giudice del rinvio anche il regolamento del spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, altra sezione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2019

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