Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2145 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. III, 25/01/2022, (ud. 03/11/2021, dep. 25/01/2022), n.2145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22241/2019 R.G. proposto da:

Comune di Lignano Sabbiadoro, rappresentato e difeso dall’Avv. Luca

Ponti, con domicilio eletto in Roma, Via Eustachio Manfredi, n. 5

presso l’Avv. Luca Mazzeo;

– ricorrente –

contro

G.D., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giancarlo Tonetto, e

Giandomenico De Francesco, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, Via Filippo Corridoni n. 19;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste, n. 420/2019

depositata il 17 giugno 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dei 3 novembre

2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 10 aprile – 3 giugno 2014 il Tribunale penale di Udine dichiarò G.D. colpevole del reato di “frode nelle pubbliche forniture” (art. 356 c.p.), commesso nell’ambito del contratto d’appalto stipulato dal Comune di Lignano Sabbiadoro con la società (OMISSIS) S.r.l. di cui il predetto era l’amministratore, e lo condannò alla pena di legge e al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede a favore dello stesso comune, costituitosi parte civile, al quale attribuì una provvisionale di Euro 10.000.

La Corte d’appello di Trieste, pronunciando sul gravame proposto dall’imputato, lo assolse per insussistenza del fatto, e, per l’effetto, revocò le statuizioni civili.

Su ricorso della parte civile, tale sentenza fu annullata ai soli effetti civili dalla Corte di cassazione, sesta sezione penale (sentenza n. 3041/2018), che, conseguentemente, rinviò la causa, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., al giudice civile competente in grado d’appello, anche per il regolamento delle spese del giudizio penale nei suoi vari gradi.

2. Il Comune di Lignano Sabbiadoro riassunse quindi il processo avanti la Corte d’appello di Trieste chiedendo la condanna di G.D. al risarcimento del danno – “ambientale, morale e non patrimoniale” – causatogli dall’indicato reato.

In particolare, secondo quanto riferito in sentenza, l’ente:

– espose nell’atto di riassunzione di avere instaurato nei confronti della (OMISSIS) una causa civile per conseguire il risarcimento dei danni subiti in conseguenza delle irregolarità riscontrate nell’espletamento del servizio appaltato; che, successivamente, stante l’intervenuto fallimento della società, aveva avanzato domanda d’insinuazione al passivo nella relativa procedura, cui aveva fatto seguito la causa d’opposizione allo stato passivo, nonché quella d’opposizione al decreto ingiuntivo che nel frattempo gli era stato notificato ad istanza della curatela per il pagamento del corrispettivo del servizio prestato dalla fallita: cause tutte definite tra le stesse parti con un contratto di transazione stipulato luglio 2013;

– illustrò, quindi, le ragioni del vantato credito risarcitorio riferendole esclusivamente al danno ambientale ed a quello alla propria immagine, insistendo per la condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 50.000,00, “con la sola eccezione di quanto già oggetto di domanda nei confronti del fallimento “(OMISSIS) s.r.l.” in seno al procedimento di opposizione allo stato passivo”.

3. Con sentenza n. 420/2019 depositata il 17 giugno 2019 la Corte d’appello di Trieste ha dichiarato la domanda in parte inammissibile e, “per il resto”, l’ha rigettata, condannando il comune alla rifusione, in favore di G.D., delle spese di ogni grado e fase del processo (primo grado, appello, giudizio di cassazione penale, giudizio di rinvio), dichiarando altresì la sussistenza dei presupposti per l’applicazione a carico dello stesso comune del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

3.1. In motivazione la corte friulana ha anzitutto rilevato l’incertezza del bene oggetto della domanda, osservando al riguardo che la pretesa, originariamente introdotta con l’atto di costituzione di parte civile davanti al Tribunale penale di Udine, e sostanzialmente ribadita in sede di riassunzione a seguito di rinvio disposto dalla S.C., riguardava dichiaratamente la lesione di posizioni soggettive diverse da quelle per le quali era stata a suo tempo formulata domanda di insinuazione al passivo nell’ambito del fallimento della società appaltatrice “(OMISSIS)”, delle quali ultime, però, tale ultimo atto nulla diceva, in violazione del dovere assertivo dell’attore, funzionale allo scopo di consentire di apprezzare se la domanda riguardasse o meno posizioni ulteriori e distinte da quelle prese in considerazione in sede fallimentare.

Ha soggiunto che, “a prescindere” da ciò, emergeva dal contenuto della produzione documentale offerta dalla controparte, che “oggetto della domanda d’insinuazione al passivo fu il credito risarcitorio vantato dall’ente per alcuni dei danni (all’immagine e morali) pure dedotti nell’odierna causa” e che, però, “per quanto già spiegato, (sono stati) espressamente esclusi dall’odierna cognizione”.

Da tali rilievi ha, quindi, desunto l’inammissibilità, in parte qua, della domanda.

3.2. Ha subito dopo rilevato che “ciò che, invece, non venne chiesto con la domanda d’insinuazione al passivo del fallimento, è il danno “ambientale” L. n. 349 del 1986, ex art. 18 e successive modifiche, che il Comune di Lignano Sabbiadoro fa espressamente discendere dall’abbandono di rifiuti sulle strade, a causa dell’eccessivo riempimento dei cassonetti non svuotati nei tempi debiti, che ha causato… un grave e innegabile danno non patrimoniale alla salubrità dell’aria e alla salute pubblica…”.

La relativa pretesa risarcitoria ha, però, ritenuto “all’evidenza infondata” sul rilievo che il suddetto danno non poteva configurarsi per la semplice presenza sul selciato di alcuni – non meglio quantificati – sacchetti delle immondizie, ma richiedeva che le sporcizie fossero state in tale quantità da arrecare l’inquinamento non soltanto estetico – dell’ambiente, e un pericolo alla salute pubblica, il che non era stato minimamente dimostrato dal comune, che piuttosto si era limitato ad una sbrigativa enunciazione, “senza fornire alcun riscontro, mediante apposite certificazioni sanitarie, o una sia pur minima documentazione fotografica del fenomeno, o anche solo mediante notizie di stampa che, se effettivamente vi fossero state simili condizioni d’insalubrità, non sarebbero di certo mancate”.

4. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Lignano Sabbiadoro propone ricorso affidato a undici motivi, cui resiste G.D., depositando controricorso.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi quattro motivi del ricorso investono la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità della pretesa risarcitoria per “danni all’immagine e morali”.

Con essi l’ente ricorrente denuncia rispettivamente:

i. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione ed erronea applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 112 e all’art. 164 c.p.c. ed in relazione agli artt. 1362,1372,1304 c.c.”: contesta la ritenuta indeterminatezza (parziale) della domanda, rilevando che era stato precisamente specificato che la stessa – riferita al danno da reato – era stata proposta nei confronti di una persona fisica e non nei confronti di una società commerciale, mai coinvolta nel procedimento penale e con la quale sola era stata sottoscritta una transazione;

ii. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza per mancanza della motivazione, in relazione all’art. 112 e all’art. 164 c.p.c. ed in relazione agli artt. 1362,1372,1304 c.c.”: lamenta sul punto difetto assoluto di motivazione per non avere la corte applicato le disposizioni in materia di contratti e di transazione, e segnatamente per non avere tenuto nel minimo conto il contenuto di questo atto e, soprattutto, del fatto che lo stesso non liberava il G. dalle pretese risarcitorie che il comune, con il consenso della Curatela (OMISSIS) S.r.l., si era riservato di proseguire avverso il legale rappresentante di quest’ultima;

iii. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 164 e all’art. 183 c.p.c.)”: rileva che, non avendo il giudizio di rinvio natura di impugnazione, la corte d’appello avrebbe dovuto al più assegnare all’attore in riassunzione un termine per meglio precisare la domanda;

iv. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza, in relazione all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c., per carenza assoluta di motivazione in relazione alla mancata applicazione, nel caso in esame, dell’art. 164 c.p.c., comma 5.

2. Di tali motivi è fondato il primo, con assorbimento degli altri.

L’ente ricorrente ha, infatti, evidenziato (v. ricorso, pagg. 15-17), con pieno assolvimento dell’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (v. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077) e l’esame diretto degli atti, consentito a questa Corte quale giudice del fatto processuale, conferma che:

– con l’atto di costituzione di parte civile nel processo penale il Comune di Lignano Sabbiadoro ebbe a chiedere il risarcimento del danno all’ambiente e all’immagine, direttamente correlandoli alla condotta del G. e chiaramente distinguendoli da quelli che, in separato giudizio, erano già stati chiesti nei confronti della società, soggetto distinto, della quale il predetto era amministratore; oltremodo chiari in tal senso i seguenti passaggi dell’atto predetto, tratti dal più ampio stralcio riportato in ricorso: “vi sono però dei risvolti ulteriori, patrimoniali e non patrimoniali, che non sono oggetto del giudizio ancora in corso (si intende quello di opposizione allo stato passivo del fallimento della società, n.d.r.) e che per contro si correlano direttamente all’operato ed alla condotta del sig. G.D., giusta i fatti a lui addebitati nel decreto di citazione a giudizio.

“Si tratta del danno ambientale, cagionato dalla condotta dell’odierno imputato…, nonché del pregiudizio all’immagine (ed alla “personalità”:…) dell’Ente, determinatosi esso pure a fronte della condotta connessa al fatto reato, condotta particolarmente odiosa tenendo conto dell’elevato profilo di moralità e di correttezza nell’adempimento alle proprie obbligazioni che ben altrimenti si pretenderebbe da chi contratta con la P.A., nonché del danno morale determinato allo stesso COMUNE DI LIGNANO SABBIADORO dal comportamento descritto nel capo di imputazione, e che è dipendente ancora una volta dall’operato dell’odierno imputato, e di cui quest’ultimo, al di là delle responsabilità della sua società (oggetto di causa) è tenuto a rispondere a titolo personale e jure proprio nei confronti dell’Ente”;

– nell’atto di riassunzione era stato poi ribadito (pag. 15 dell’atto, riportato per un breve stralcio a pag. 17 del ricorso) che: “specificamente, all’operato ed alla condotta del sig. G.D., giusta i fatti a lui definitivamente addebitati, si correlano direttamente due voci di danno: 1. danno ambientale, L. n. 349 del 1986, ex art. 18 e successive modifiche; 2. danno all’immagine dell’Ente”.

Appare innegabile che alcuna indeterminatezza può dunque predicarsi della domanda, né sul piano oggettivo (ossia circa la natura e consistenza dei danni pretesi e circa il fatto che li aveva determinati), né su quello soggettivo (circa l’individuazione cioè del preteso responsabile, nella persona di G.D., quale soggetto distinto dalla società da lui amministrata, parte del separato giudizio).

Ne’ da tali atti può desumersi – come afferma la corte nel secondo passaggio argomentativo – alcuna limitazione della pretesa risarcitoria, in relazione a quella già azionata, nei confronti però di soggetto diverso, nel separato giudizio civile di opposizione allo stato passivo, poi definito con transazione. Al contrario dagli atti menzionati e dai passaggi trascritti emerge palese e ripetuta la precisazione che ciò che si intende escludere dalla domanda risarcitoria è solo la pretesa risarcitoria già separatamente azionata nei confronti della società, non quella, ancorché coincidente nel suo oggetto, nei confronti del suo amministratore, quale, in ipotesi, concorrente diretto responsabile.

Non sembra possibile diversamente argomentare dal seguente passaggio dell’atto di costituzione di parte civile, anch’esso trascritto in ricorso (pagg. 16-17): “In relazione a tali profili di responsabilità extracontrattuale della persona fisica G.D. e che esulano dal giudizio attualmente in corso, il COMUNE DI LIGNANO SABBIADORO intende perciò ottenere quanto di ragione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2043 e 2059 c.c. e della L. 8 luglio 1986, n. 349, art. 18 in particolare per il danno ambientale e/o per tutti i danni riconducibili ai fatti di cui al capo di imputazione, secondo quanto emergerà in corso di giudizio e per la somma che sarà accertata e/o ritenuta di giustizia – con la sola eccezione di quanto già oggetto di domanda nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in seno al procedimento di opposizione allo stato passivo di cui si è dato atto – dovendosi escludere qualsivoglia rinuncia alle domande svolte in sede civile e quindi con esclusione di trasferimento delle stesse ex art. 75 c.p.p., comma 1”.

L’inciso “con la sola eccezione di quanto già oggetto di domanda nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in seno al procedimento di opposizione allo stato passivo di cui si è dato atto” va invero chiaramente inteso come volto ad evitare indebite locupletazioni in relazione (soltanto) al quantum del risarcimento chiesto nel separato giudizio, non all’an dello stesso, ovvero alla natura del danno ed al suo fatto originatore.

Induce in tal senso: a) il fatto che tale inciso segue il riferimento alla quantificazione del danno (“… secondo quanto emergerà in corso di giudizio e per la somma che sarà accertata e/o ritenuta di giustizia, con la sola eccezione di quanto…”), non alla sua individuazione in relazione all’oggetto e al fatto lesivo; b) l’essere l’eccezione ivi posta riferita non al danno ma a “quanto (di esso, sottinteso, n.d.r.) già oggetto di domanda nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.r.l.”.

Sarà dunque questione di merito, impregiudicata e da valutare in sede di rinvio, se quanto già eventualmente ottenuto dalla (OMISSIS) a titolo di risarcimento del danno all’immagine, sia da ritenere interamente satisfattivo del credito risarcitorio al riguardo vantato dal comunque, qui importando solo rimarcare che dalla formulazione della domanda rivolta nei confronti del G. possa trarsi incertezza alcuna né rinuncia a far valere la affermata concorrente responsabilità di quest’ultimo.

Ne’ potrebbe obiettarsi che, ragionando in tal modo, questa Corte decampa dai limiti del giudizio di legittimità per invadere un campo, quello dell’interpretazione della domanda, riservato al giudice del merito.

E’ stato al riguardo già precisato nel massimo consesso, e va qui ribadito, che “quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. Sez. U. n. 8077 del 2012, cit.).

Ne deriva a fortiori anche l’inammissibilità di censure di vizio motivazionale riferite a dette valutazioni (in quanto implicanti il rispetto di regole processuali soggette, comunque, al vaglio del giudice di legittimità) quali sono quelle dedotte con il secondo e quarto motivo: censure che vanno, comunque, come detto, considerate assorbite dall’accoglimento del primo motivo.

3. Con il quinto e il sesto motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, rispettivamente, n. 4, “violazione ed erronea applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 6 CEDU, nonché all’art. 112 c.p.c. e all’art. 132 c.p.c., in relazione al contenuto della sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI penale, n. 3041/2018” nonché mancanza di motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la corte d’appello immotivatamente omesso di pronunciarsi sulla domanda preliminare e principale volta ad accertare se – così come prefigurato dalla sentenza della Suprema Corte che aveva annullato l’assoluzione ottenuta da G. in primo grado – la condotta ascritta a G.D. configurasse il reato di frode in pubbliche forniture.

3.1. Della seconda censura è evidente l’inammissibilità per sovrapposizione di censure incompatibili, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4. Con essa si denuncia, infatti, l’omessa giustificazione di una “non pronuncia”, ossia di una pronuncia della quale al contempo si lamenta l’omissione. Rimane, dunque, impossibile comprendere quale sia la ragione di critica e tanto meno la sua riconducibilità ad alcuno dei vizi tipizzati dall’art. 360 c.p.c..

3.2. Il quinto motivo – che in sostanza censura un vizio di omessa pronuncia – è poi manifestamente infondato.

3.2.1. Occorre anzitutto rilevare che dal tema devoluto al giudice civile – a seguito di annullamento con rinvio, ex art. 622 c.p.p., su impugnazione della parte civile, della sentenza penale assolutoria ai soli fini delle statuizioni civili – esula in ogni caso l’accertamento della sussistenza, in concreto, del reato.

Varrà in proposito rammentare che, come di recente evidenziato da questa Corte con sentenza n. 15859 del 12/06/2019 (ma v. anche, tra le altre emesse su numerosi ricorsi trattati nella stessa udienza pubblica del 18 aprile 2019: Cass. 25/06/2019, n. 16916; 10/09/2019, nn. 22519-22520; 12/09/2019, n. 22729) – al cui ampio e approfondito impianto argomentativo conviene qui solo fare rimando – “il disposto dell’art. 622 c.p.p. configura una sostanziale, definitiva ed integrale transiatio iudicii dinanzi al giudice civile,… essendo propriamente rimessa in discussione la res in iudicium deducta, nella specie costituita da una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l’interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del ‘fattò (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall’altro” (enfasi aggiunta).

E’ stato quindi nei citati arresti affermato, tra l’altro e per quanto interessa ai fini in esame, che:

“a) il diritto al risarcimento del danno è un diritto eterodeterminato, sicché l’identificazione della domanda è conseguenza esclusiva dell’individuazione del relativo petitum e della relativa causa petendi, così come rappresentata dal danneggiato in sede di costituzione di parte civile;

“b) i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno prescindono dall’identificazione del fatto come reato;

c) all’esito della trasmigrazione del procedimento dalla sede penale, è diverso l’ambito entro il quale l’attività difensiva delle parti viene a svolgersi, dovendo le relative questioni essere trattate in base alla prospettazione del fatto sotto il profilo (non del reato, ma) dell’illecito civile ex art. 2043 c.c.;

“d) all’esito del rinvio al giudice civile, il fatto perde la sua originaria connessione con il reato per riacquistare i caratteri dell’illecito civile, seguendo i canoni probatori propri di quel processo”.

3.2.2. Ove, peraltro, la doglianza possa intendersi come riferita al mancato accertamento della illiceità civile del fatto se ne dovrebbe ugualmente predicare la manifesta infondatezza, non essendo possibile isolare dalla domanda di risarcimento del danno svolta in sede di costituzione di parte civile una distinta e autonoma domanda di mero accertamento della illiceità del fatto, né in concreto (avuto riguardo cioè alla testuale formulazione della domanda quale riportata in ricorso), né in astratto.

L’illiceità del fatto generatore del diritto al risarcimento non costituisce, infatti, un prius logico-concettuale distinguibile, e suscettibile di separato accertamento, rispetto al danno risarcibile, ma è al contrario inscindibilmente legato a questo, nel senso che l’illiceità (civile) del fatto – e la responsabilità, extracontrattuale, del suo autore – dipender per l’appunto dall’essere stato cagionato un “danno ingiusto”, in mancanza di che non è configurabile nemmeno l’illecito (civile).

Sul tema, si rammenterà come le Sezioni unite civili di questa Corte, nella fondamentale sentenza n. 500 del 1999, abbiano evidenziato come il giudizio civile di danno abbia concretamente assunto configurazione, carattere e ambiti che ne hanno esaltato la totale originarietà ed autonomia, attribuendo poi natura primaria alla norma di cui all’art. 2043 c.c., che non prevede soltanto una sanzione rispetto ad altre norme di divieto, ma riveste il carattere di clausola generale espressa dalla formula “danno ingiusto”, in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali l’ordinamento attribuisce rilevanza.

Con la conseguenza che, avuto riguardo al carattere atipico del fatto illecito, non è possibile individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela, spettando viceversa al giudice, attraverso la comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale intensità, l’ordinamento appresta tutela risarcitoria all’interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prenda in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, un’esigenza di protezione (così, in motivazione, Cass. n. 15859 del 2019, cit.).

4. Il settimo e l’ottavo motivo investono la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato l’esistenza del reclamato danno all’ambiente, per mancanza di prova, denunciandosi con essi, rispettivamente:

vii. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (il riferimento è alle prove apprezzate in primo grado dal giudice penale e in particolare: alle dichiarazioni dei testi C. e Ca. circa il numero limitato di automezzi utilizzato per il servizio di raccolta; alle foto, richiamate anche dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, che ritraevano la presenza di rifiuti lasciati ai lati dei cassonetti);

viii. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e art. 394 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di avvalersi del compendio probatorio già acquisito nelle precedenti fasi e gradi del giudizio.

5. Entrambi detti motivi sono inammissibili.

5.1. Va anzitutto rilevato che il riferimento alle prove testimoniali e alle fotografie risulta inosservante dell’onere di specifica indicazione, non essendo indicato: a) se le stesse siano state effettivamente acquisite nel giudizio di rinvio; b) in caso contrario, se tale acquisizione fosse stata chiesta o comunque sollecitata.

5.2. Quanto al primo, deve comunque osservarsi l’estraneità della sua prospettazione rispetto al paradigma censorio evocato.

Occorre al riguardo rammentare che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

5.3. Nella specie, peraltro, la doglianza non sembra nemmeno cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale invero consiste nella negata dimostrazione non dell’esistenza di disservizi nel servizio di raccolta quanto della loro idoneità ad arrecare nocumento (non soltanto estetico ma anche) alla salubrità dell’ambiente.

5.4. Quanto all’ottavo motivo va poi rilevata l’eccentricità del riferimento all’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo indicato il principio di diritto cui il giudice di rinvio avrebbe omesso di uniformarsi e dovendosi, comunque, escludere, nel passaggio dal giudizio penale a quello civile ex art. 622 c.p.p., alcun effetto vincolante per il giudice civile in ordine alle valutazioni, anche probatorie, contenute nella sentenza di annullamento (v. Cass. n. 15859 del 2019, in motivazione, p. 20, e le altre coeve pronunce sopra citate). Queste ultime, peraltro, nella specie, risultano riferite ad obiettivo dimostrativo (quello cioè della sussistenza del fatto-reato contestato di frode nelle pubbliche forniture) diverso da quello della sussistenza di danno ambientale.

5.5. Il riferimento all’art. 394 c.p.c. appare a sua volta non pertinente, anzitutto e in radice perché dalle pronunce sopra richiamate (Cass. n. 15859 del 2019 e succ. conformi) emerge il necessario superamento della tesi secondo cui il giudizio di civile di rinvio di cui all’art. 622 c.p.p. sia da equiparare a quello disciplinato dall’art. 394 c.p.c. e il convincimento, qui condiviso, che, invece, debba essergli riconosciuta piena autonomia dal punto di vista morfologico e funzionale (così, in motivazione, anche Cass. 22/11/2019, n. 30522).

In ogni caso, la prospettazione difetta della necessaria individuazione dell’affermazione o del passaggio motivazionale nel quale la corte territoriale avrebbe esplicitamente o implicitamente escluso la possibilità di acquisire nel giudizio di rinvio il materiale probatorio già versato in atti nelle precedenti fasi o gradi del processo penale.

5.6. La doglianza manca comunque di decisività, risultando pertanto inammissibile anche ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2.

Non viene infatti spiegato il motivo per il quale l’osservanza della norma processuale avrebbe dovuto condurre a diversa decisione.

Va in proposito rammentato che, come costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, per evidenziare la violazione di una norma del procedimento agli effetti dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è necessario rispettare il requisito di ammissibilità di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 2: è necessario cioè che la censura di violazione della norma del procedimento venga evidenziata con caratteri tali da palesare che sono stati violati “i principi regolatori del giusto processo”.

Tale formulazione, sebbene evocativa dei contenuti dell’art. 111 Cost., comma 1, siccome poi specificati dal comma 2 e dagli altri commi della norma, secondo la ricostruzione preferibile si presta a sottendere, piuttosto che la necessità che l’inosservanza della norma del procedimento abbia violato il principio secondo qualcuna di quelle specificazioni (posto che ogni violazione di norma del procedimento si concreta almeno in una lesione del contraddittorio e/o del diritto di difesa come regolato dalle forme previste e, dunque, risulterebbe lesiva delle regole del giusto processo, con conseguente inutilità dell’art. 360-bis n. 2), in realtà il carattere che la violazione della norma del procedimento deve avere, perché possa denunciarsi in Cassazione; carattere che, anche prima dell’introduzione dell’art. 360-bis, n. 2 si esprimeva nell’essere stata la violazione denunciata decisiva, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denunciava (così Cass. n. 22341 del 26/09/2017, cui adde conff. ex multis, tra le più recenti, in motivazione, Cass. n. 2926 del 08/02/2021; n. 29903 del 30/12/2020; n. 28440 del 14/12/2020; n. 17966 del 27/08/2020; n. 26087 del 15/10/2019).

Anche sotto tale profilo si rivela pertanto dirimente il rilievo della mancata indicazione delle ragioni per cui le prove testimoniali e documentali menzionate, avrebbero con certezza dovuto condurre a diversa valutazione quanto alla dimostrazione del danno all’ambiente.

6. Con il nono motivo il ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione di legge in relazione all’art. 1226 c.c. e alla L. n. 349 del 1986, art. 18” per avere la Corte d’appello omesso di “provvedere con liquidazione equitativa”.

6.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Si deve al riguardo rammentare che, secondo pacifico insegnamento, l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare (v. e pluribus Cass. 30/04/2010, n. 10607; 12/10/2011 n. 20990; 23/09/2015, n. 18804; 22/02/2018, n. 4310; 09/04/2021, n. 9474).

Più precisamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. presuppone:

a) la certa esistenza del danno (il potere di liquidazione equitativa non potendo supplire alla mancata prova dell’esistenza stessa del danno);

b) l’impossibilità o rilevante difficoltà di quantificarlo, che deve essere “oggettiva”, cioè positivamente riscontrata e non meramente supposta, e “incolpevole”, cioè non dipendente dall’inerzia della parte gravata dall’onere della prova (v., da ultimo, Cass. 17/11/2020, n. 26051).

Nel caso di specie la sentenza esclude la prova del danno nella sua ontologica sussistenza.

7. I motivi decimo e undecimo investono infine la sentenza impugnata nella parte in cui ha, rispettivamente, condannato l’ente alla rifusione delle spese processuali, relative anche a tutte le fasi e gradi del giudizio penale, ed affermato la sussistenza dei presupposti processuali per l’applicazione a suo carico del raddoppio del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Entrambi vanno considerati assorbiti dall’accoglimento del primo motivo di ricorso, per effetto e in relazione al quale la causa va rinviata al giudice a quo, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il quinto e il nono; dichiara inammissibili il sesto, il settimo e l’ottavo; assorbiti il secondo, il terzo, il quarto, il decimo e l’undecimo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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