Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21447 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21447 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 27663-2009 proposto da:
C.I.S.I. (CONSORZIO INTERCOMUNALE SERVIZI ISCHIA), in
persona del legale rappresentante pro tempore,
domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dagli avvocati PASQUALE
2013

PACIFICO e DI MEGLIO VITTORIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1762

contro

CECCHI SALVATORE CCCSVT52E67E329K, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

Data pubblicazione: 19/09/2013

’ SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli
avvocati PUCA DOMENICO e TELESE LUIGI, giusta delega
in atti;

controri corrente

avverso la sentenza n. 6403/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/05/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. COSTANTINO FUCCI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di NAPOLI, depositata il 01/12/2008 r.g.n. 6177/06;

Udienza 16.5.2013, causa n. 4
n. 27663/09

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Napoli con sentenza del 29.10.2008, in parziale accoglimento
dell’appello proposto da Cecchi Salvatore avverso la sentenza emessa dal Tribunale di
Napoli- Sezione distaccata di Ischia- del 19.10.2005, dichiarava l’illegittimità del
mutamento di mansioni subito dal ricorrente ed ordinava al CISI ( Consorzio
intercomunale servizi Ischia) di reintegrarlo in mansioni equivalenti a quelle espletate
sino all’Ottobre 2000 con condanna del CISI al risarcimento del danno quantificato
nella misura del 30% delle retribuzione globale di fatto. La Corte territoriale osservava
che con delibera n. 1/2000 il CISI aveva disposto l’affidamento del servizio idrico
integrato alla Evi spa, che con delibera del 28.5.2000 era stato disposto anche il
passaggio del personale. Il Cecchi non aveva prestato il suo consenso al mutamento
del datore di lavoro e pertanto non aveva più potuto esercitare l’ attività sino allora
svolta di “responsabile di area di acquedotto”. La Corte di appello rilevava che non
poteva parlarsi di un trasferimento in senso tecnico e che non sussisteva una cessione
di azienda ex art. 2112 c.c. in quanto le parti avevano fatto entrambe riferimento al
mancato consenso del lavoratore alla cessione del contratto: pertanto il rapporto era
proseguito con il CISI, anche dopo il 2000. Il CISI, rimasto ininterrottamente il datore di
lavoro, non poteva violare il disposto di cui all’art. 2103 c.c. e doveva quindi adibire il
Cecchi alle mansioni per le quali era stato assunto, né era stato provato che
l’adibizione a mansioni inferiori fosse dipesa dalla volontà di evitare il licenziamento. La
prova espletata aveva dimostrato che dopo il 2000 il Cecchi aveva svolto solo
marginali compiti di ordine esecutivo e burocratico e, neppure con l’annullamento della
delibera n. 1/2000, il Cecchi era stato nuovamente adibito alle mansioni
originariamente svolte; il Cecchi non aveva più svolto mansioni di geometra con grave
pregiudizio della sua professionalità. Tenuto conto dell’età del Cecchi e della durata del
demansionamento ( e della sua intensità) per la Corte territoriale poteva liquidarsi una
somma a titolo di risarcimento pari al 30% dell«, retribuzione globale di fatto per il
periodo dal Novembre 2000 alla data della sentenza di appello, con gli accessori come
specificati in sentenza.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Cisi con due motivi; resiste il
Cecchi con controricorso. Parte ricorrente ha prodotto anche memoria difensiva ex art.
378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Circa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’intimato per carenza di
mandato in quanto il Geom. Di Vaia (che ha conferito il mandato) sin dal 13.3.2009 non
sarebbe stato più il Cda del Consorzio per essersi il Cidi estinto in tale data, la detta

R. G.

eccezione va dichiarata inammissibile per mancanza di idonea documentazione atta a
provare le circostanze indicate a pag. 6 del controricorso.

La seconda parte del motivo ( in cui si allega un’ omessa motivazione della sentenza
impugnata) va dichiarata inammissibile per mancanza del cosidetto quesito riassuntivo
prescritto all’art. 366 bis c.p.c. a pena di inammissibilità. Circa la prima parte del motivo
la Corte territoriale ha solo osservato che entrambe le parti avevano in prime cure fatto
riferimento al rifiuto del Cecchi di passare alle dipendenze dell’Evi, circostanza
evidentemente ritenuta da entrambe le parti rilevante nel caso di specie, a riprova che
non si era in realtà verificato un trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. Peraltro
emerge che, comunque ,il rapporto di lavoro è proseguito alle dipendenze del CISI e
che il Cecchi ha comunque svolto per il CISI un’attività marginale ed esecutiva ( come
riferito da alcuni testi; cfr. sentenza impugnata a pag. 10), non raffrontabile con quella
precedentemente assolta per la ricorrente, ma che comunque comprova che rimase
una complesso organizzativo non ceduto all’EVI. Pertanto non vi è stata alcuna
extrapetizione in quanto la sentenza impugnata ha riscontrato quanto affermato dal
Cecchi circa il proseguimento, senza interruzioni, dell’attività lavorativa per il CISI,
anche se svolgendo attività con compatibile con il livello di inquadramento e con la
professionalità acquisita e quindi in violazione dell’art, 2103 c.c. Che non si sia
verificato un trasferimento di azienda per quanto riguarda la posizione del Cecchi , che
costituisce comunque un accertamento di fatto non sindacabile come tale in sede di
legittimità, risulta per la Corte territoriale comprovato, come detto, anche dal riferimento
della difesa della CISI in primo grado al rifiuto del Cecchi di passare alle dipendenze
dell’EVI, allegazione questa che correttamente la Corte ha considerato pertinente,
posto che se si fosse verificata una cessione di azienda ex art, 2112 c.c. tale
circostanza sarebbe stata del tutto ininfluente, in quanto il Cecchi non avrebbe potuto
rifiutare il passaggio ad altra azienda avvenuto ex lege.
Con il secondo motivo si allega l’errore in procedendo per violazione degli artt. 112,
113, 115 e 116 c.pc. extrapetizione e connesso errore in iudicando per violazione degli
artt. 2258, 2112 e 1406 c.c. Tutta l’attività era stata ceduta; il rifiuto del Cecchi di
passare alle dipendenze dell’ESI era ininfluente. Si erano considerate circostanze
diverse da quelle allegate dalle parti in primo grado.
Il motivo appare infondato per quanto già detto. L’esistenza o meno di una cessione
d’azienda ex art. 2112 c.c. costituisce un accertamento di fatto non censurabile come
tale in cassazione: la Corte di appello ha escluso che si sia verificata una cessione di
azienda per quanto riguarda la posizione del Cecchi sulla base di solidi elementi:
l’avere le parti richiamato la circostanza di un rifiuto del Cecchi al passaggio all’Efsi;
l’avere questi continuato a lavorare ininterrottamente per il CISI svolgendo un’ attività (
ammessa persino nel ricorso) di tipo tecnico- burocratico, ma che comprova che il
rapporto è nei fatti proseguito nel tempo. Del resto se davvero il CISI avesse
2

Con il primo motivo si allega l’errore in procedendo per violazione degli artt. 112,113,
115, 116 c.p. c.: extrapetizione, nonché si allega l’ omessa motivazione della sentenza
impugnata . La società aveva sin dalle prime difese sottolineato che vi era stata una
cessione integrale del complesso organizzato di beni e servizi, mentre la decisione di
appello era incentrata sull’esistenza di una parte residua dell’azienda, mai allegata
dalle parti.

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Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite- liquidate come al
dispositivo- seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
dle giudizio di legittimità che si liquidano in euro 50,00 per spese,
nonché in euro 3.000,00 per compensi oltre accessori.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16.5.2013

considerato il Cecchi non più proprio dipendente lo avrebbe dovuto licenziare o
comunque avrebbe dovuto cessare di affidargli mansioni di sorta ( ed anche cessare di
retribuirlo), il che non è avvenuto. Anche a dare per ammesso che a monte vi sia stata
una cessione di azienda il rapporto è poi proseguito tra le parti senza soluzione di
continuità, come se tale cessione non fosse mai intervenutg, avendo il CISI continuato
a considerare il Cecchi come proprio dipendente per anni. Per queste ragioni la Corte
territoriale ha correttamente escluso la rilevanza di quanto dedotto dalla società circa
una pretesa cessione di azienda, con riguardo alla specifica posizione del Cecchi.

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