Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21446 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/09/2017, (ud. 07/07/2017, dep.15/09/2017),  n. 21446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27038/2011 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA SALLUSTIANA 23,

presso lo studio dell’avvocato ATTILIO CAROSELLI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI ROMA in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 520/2010 della COMM. TRIB. REG. del Lazio,

depositata il 29/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2017 dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.S. impugnava l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate di Roma ai fini IRPEF, IRAP ed IVA relativamente all’anno 2001, in cui era emerso, a seguito di verifica della Guardia di Finanza, l’omessa dichiarazione e registrazione di canoni di locazione ed inoltre, in relazione alla attività di fabbricazione di apparecchi elettromedicali, la mancata presentazione della documentazione contabile richiesta, con la conseguenza che il reddito era stato rettificato induttivamente.

2. Con sentenza n. 573/23/2009 la CTP di Roma rigettava il ricorso.

3. La CTR del Lazio, con la sentenza impugnata, rigettava l’appello proposto dal contribuente. Osservava la Commissione che i giudici di primo grado avevano argomentatamente rilevato la legittimità della rettifica operata dall’Ufficio, a fronte della sostanziale inattendibilità dei dati relativi ai ricavi, di talchè la effettuata rettifica era da ritenersi riconducibile alle tipologie previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.

4. Ricorre per cassazione B.S., chiedendo che la sentenza impugnata venga cassata.

5. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente premette di avere impugnato l’avviso di accertamento relativamente all’anno 2001 ai fini IREF, IRAP e IVA inviatogli dalla Agenzia delle Entrate mediante il quale veniva rettificato induttivamente il reddito IRPEF con determinazione di un reddito imponibile pari ad Euro 33.564,00 così composto: reddito di locazione Euro 10.323,97 e Euro 23.240,56 da reddito di impresa.

1.1 Dopo aver richiamato i termini della intera vicenda processuale, l’esponente con il primo motivo deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 53 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3. La parte considera che il reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), può essere determinato dall’Ufficio; ma rileva che tale determinazione deve avvenire sulla base dei dati raccolti. L’esponente osserva che l’Ufficio accertatore, nel caso di specie, ha ignorato i dati informativi forniti dal B., celibe, malato come da certificazione indicata, modesto lavoratore, ed ha valorizzato la cessazione della micro attività produttiva di apparecchi elettromedicali, unitamente ad altre circostanze di fatto. Il ricorrente considera che illegittimamente la CTR ha affermato che il contribuente non aveva contrastato con elementi reali e certi quanto operato dall’Amministrazione. E sottolinea che in sentenza non si è tenuto conto del fatto che l’Amministrazione avrebbe dovuto filtrare il suo operato accertativo attraverso i criteri della prudenza e della buona fede.

1.2 Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente osserva che le argomentazioni affidate al primo motivo comportano anche la violazione di principi che regolano la valutazione delle prove. La parte sottolinea che vi è stata cancellazione della partita IVA in periodo precedente a quello relativo al periodo di imposta 2001. Si duole, inoltre, dei criteri di computo dei costi di produzione, inferiori a quelli in media sostenuti dalle piccole imprese.

1.3 Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si rileva che l’art. 39, comma 2, lett. d), cit. è stato utilizzato dall’Amministrazione sulla base di una interpretazione contrastante con la realtà dei fatti, di talchè è stata inventata una falsa realtà reddituale, in violazione dell’art. 53 Cost., come interpretato dal Giudice delle leggi, in ordine alla capacità contributiva.

1.4 Con il quarto motivo viene denunciata la violazione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., posto che la CTR si è espressa favorevolmente rispetto alla posizione dell’Amministrazione.

1.5 Con il quinto motivo si deduce la violazione del diritto comunitario. L’Alterazione della realtà economica, prativa dall’Amministrazione, si pone in violazione degli artt. 17, 33 e 52 della Carta dei Diritti Fondamentali della U.E., nonchè dell’art. 6 della Convenzione EDU.

2. I motivi sono infondati e vanno disattesi.

2.1 Soffermandosi sul primo motivo, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità, con riguardo all’accertamento in rettifica della dichiarazione del contribuente per redditi d’impresa (ovvero per redditi derivanti dall’Esercizio di arti e professioni, che debbano parimenti risultare da scritture contabili), ha da tempo chiarito che l’atto di accertamento deve essere motivato, con riferimento sia ai presupposti che consentono il ricorso al metodo analitico od a quello induttivo, sia alle ragioni che giustificano il calcolo in rettifica (Sez. 1, Sentenza n. 1022 del 24/02/1989, Rv. 461988-01). Si è pure osservato che, in materia di IVA, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Sez. 6-5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203-01).

E bene, la sentenza impugnata si colloca nell’alveo dell’insegnamento ora richiamato. La CTR ha considerato che già la CTP aveva apprezzato la legittimità della rettifica operata dall’Ufficio, a fronte di un redito di locazione non dichiarato dal contribuente e di una contabilità contraddittoria e lacunosa. In particolare, il Collegio ha rilevato: che la sostanziale inattendibilità dei dati relativi ai ricavi ben può essere evidenziata attraverso la comparazione con dati extracontabili; che, nel caso di specie, l’accertamento induttivo non era consistito in una mera trasposizione di calcoli, giacchè l’Amministrazione aveva effettuato una mirata ricerca probatoria sulla effettiva capacità del contribuente; e che legittimamente l’Ufficio aveva presunto l’esistenza di una fonte di reddito non dichiarata, posto che l’attività produttiva non era cessata ma era in realtà proseguita senza la registrazione dei corrispettivi. Sulla scorta di tali insindacabili rilievi, la CTR ha rilevato che la rettifica in questione era riconducibile alle tipologie previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e che correttamente l’Ufficio aveva disconosciuto la deducibilità dei componenti negativi non documentati, con rettifica del reddito di impresa. Per le medesime ragioni, ora richiamate, la CTR ha poi osservato che non era accoglibile l’istanza dedotta in udienza dal rappresentante del ricorrente, volta al riconoscimento dei costi in misura pari al 10%. A margine di tali considerazioni, il Collegio ha pure chiarito che l’Amministrazione Finanziaria aveva soddisfatto l’onere probatorio su di lei gravante; e che, di converso, il contribuente non aveva addotto prove di eguale valore, ma di segno contrario, essendosi limitato a presentare certificazione medica non pertinente.

2.2 Le considerazioni ora svolte evidenziano l’infondatezza delle censure affidate al secondo, al terzo ed al quarto motivo di ricorso, che si esaminano congiuntamente: la logicità dell’ordito motivazionale e la conducenza delle valutazioni effettuate dai giudici di merito rispetto alle acquisite emergenze di prova, inducono a rilevare l’inconferenza dei rilievi difensivi, peraltro espressi in termini meramente assertivi, senza un reale confronto con il percorso argomentativo espresso in sede di merito.

2.3 II quinto motivo, afferente alla dedotta violazione del diritto comunitario, è destituito di ogni fondamento. Null’altro che richiamare, al riguardo, i principi recentemente affermati dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 20429 del 26/09/2014, Rv. 632181-01); e preme evidenziare che la Corte regolatrice, nella sentenza ora richiamata, ha sottolineato che il legislatore nazionale, già con la Legge Comunitaria del 2008, aveva dovuto porre in essere modifiche normative, proprio al fine di adeguare l’ordinamento interno a quello Comunitario, al fine di estendere i criteri di accertamento di attività non dichiarate.

3. In conclusione, per quanto detto, si impone il rigetto del ricorso. Non luogo a provvedere sulle spese, in difetto dí costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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