Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21446 del 10/10/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 21446 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CO.GE.AP. soc. consortile a r I. in liquidazione, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale
Regina Margherita n. 262/264, presso l’avv. Salvatore Taverna, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;

ricorrente

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
controticorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n.
19/02/07, depositata il 28 febbraio 2007.

Data pubblicazione: 10/10/2014

-1

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 giugno
2014 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
udito l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Tommaso
Basile, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La CO.GE.AP. soc. consortile a r.l. in liquidazione (già CISCO
sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in
epigrafe, con la quale, rigettando l’appello della contribuente, è stata
confermata la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei suoi
confronti, a titolo di IRPEG ed ILOR dell’anno 1995, per il recupero, fra
l’altro, per quanto qui interessa, di costi ritenuti indeducibili in quanto
relativi a fatture per operazioni inesistenti.
Il giudice d’appello ha ritenuto, in primo luogo, la legittimità della
motivazione dell’avviso di accertamento per relationern ad atti comunque
conosciuti dal contribuente, come nel caso di specie, e, in secondo luogo,
che è onere del contribuente provare i presupposti dei costi e degli oneri
deducibili, laddove nella fattispecie la società si è limitata ad eccepire con
affermazioni generiche la presunta illegittimità dell’avviso di accertamento
senza smentire con prove sostanziali la ricostruzione del reddito effettuata
dall’Ufficio.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 42
del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2697, 2700 e 2729 cod. civ., nonché
insufficiente motivazione su punto decisivo; chiede, in conclusione, ai sensi
dell’art. 366 bis c.p.c., “se, nel caso in esame, possa ritenersi dotato di
valida motivazione un avviso di accertamento fondato su un processo
verbale di constatazione il quale, a sua volta, faccia applicazione di meri
ragionamenti presuntivi, peraltro esorbitanti dalle finalità specifiche dei
poteri ispettivi di cui è dotata la Guardia di finanza”.
Il motivo è inammissibile: il quesito si rivela, infatti, del tutto generico
ed inidoneo a chiarire quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale la regola da applicare, in relazione alla concreta
2

ITALIA soc. consortile p.a.) propone ricorso per cassazione avverso la

fattispecie (tra le altre, Cass., sez. un., n. 26020 del 2008); peraltro, la
questione posta non investe alcuna statuizione della sentenza impugnata,
bensì censura direttamente l’avviso di accertamento.
2. Col secondo motivo, denunciando nuovamente la violazione delle
norme indicate nel primo motivo (oltre all’art. 7 della legge n. 212 del 2000)
ed il vizio di motivazione, si chiede se la motivazione di un avviso
d’accertamento sia valida allorquando rinvii al p.v.c. della Guardia di

verbale elevato a carico di diverso soggetto e del quale il ricorrente non ne
abbia avuto piena ed effettiva conoscenza”.
Anche questo motivo è inammissibile, per le stesse ragioni già esposte in
ordine al primo, e, in più, per essere in contrasto con l’accertamento di fatto
compiuto dal giudice di merito (non oggetto di adeguata censura), secondo
il quale la società aveva avuto conoscenza degli atti richiamati nell’avviso.
3. Con la terza doglianza, è denunciata la violazione dell’art. 39, primo
comma, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’omessa motivazione su punto
decisivo. Il quesito sottoposto alla Corte è “se il presunto utilizzo di fatture
per operazioni inesistenti possa essere provato mediante le presunzioni,
rispettivamente, di genericità della descrizione delle fatture emesse e di
mancanza di documentazione di supporto, e se le stesse presunzioni siano
dotate dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza”.
Con il quarto motivo, infine, deducendo violazione dell’art. 2697 cod.
civ. e vizio di motivazione, si chiede “se spetta all’Amministrazione che
sostenga l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, dimostrare la falsità
addotta attraverso la puntuale indicazione degli elementi su cui si fonda la
propria asserzione, nel quadro dei principi che governano l’onere della
prova”.

i

finanza “il quale, a sua volta, richiami le conclusioni di altro processo

I motivi, da esaminare congiuntamente attenendo alla stessa tematica,
pur prescindendo da profili di inammissibilità relativi alla genericità dei
quesiti e alla dubbia riferibilità delle questioni alla fattispecie concreta, sono
comunque infondati.
In tema di distribuzione dell’onere della prova, nel caso in cui
l’Amministrazione finanziaria contesti la deducibilità di costi indicati in
fattura (in quanto, ad esempio, ritenuti relativi ad operazioni oggettivamente
inesistenti), va, infatti, ribadito il principio secondo il quale la fattura – di
3
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regola, salva l’ipotesi di contabilità inattendibile – è documento idoneo a
rappresentare un costo dell’impresa, come si evince dall’art. 21 del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, purché, però, sia redatta in conformità ai requisiti di
forma e contenuto ivi prescritti (cfr. art. 226 della Direttiva 2006/112/CE del
Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul
valore aggiunto) (tra le altre, Cass. nn. 5748 del 2010 — secondo la quale
l’omessa indicazione nelle fatture dei dati prescritti dal citato art. 21 integra
quelle gravi irregolarità che, ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973,
legittimano il ricorso all’accertamento induttivo del reddito imponibile -,
9108 del 2012, 24426 del 2013).
Ne deriva che l’irregolarità della fattura, nel senso anzidetto, fa venir
meno la presunzione della verità di quanto in essa rappresentato e la rende
inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla
deduzione del costo relativo: ben può, in definitiva, l’Amministrazione
limitarsi a contestare l’effettività di operazioni indicate in fatture irregolari e
ritenere, pertanto, indeducibili i costi nelle stesse indicati.
4. 11 ricorso va, in conclusione, rigettato.
5.

Le spese seguono la soccombenza e S0110 liquidaté in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente

in €. 1

\\
ail spese, che liquida

5000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate 1 ebito.
Così deciso in Roma il 25 giugno 2014.

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