Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21443 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. I, 06/10/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 06/10/2020), n.21443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7832/2019 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE n. 14, presso lo studio dell’avvocato ALESSIA CIPROTTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTA MARCHESETTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE MILANO SEZ DISTACCATA MONZA E BRIANZA;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO depositato il 31/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato il 17.1.2018 il ricorrente impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, sezione di Monza, con il quale era stata respinta la sua istanza volta ad ottenere la predetta tutela.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano rigettava il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.A. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, convertito in L. n. 46 del 2017, per violazione degli artt. 77,3 e 24 Cost.. Ad avviso del ricorrente, da un lato difetterebbero i presupposti di urgenza di cui all’art. 77 Cost., come dimostrato dal fatto che l’art. 21 della normativa contestata ne ha previsto l’applicabilità soltanto ai procedimenti introdotti dopo il centottantesimo giorno successivo all’entrata in vigore del decreto legge. Dall’altro lato, invece, sarebbe in concreto violato il diritto di difesa del richiedente asilo alla luce della composizione delle Commissioni territoriali e della circostanza che la videoregistrazione non viene di fatto mai assicurata, con conseguente snaturamento della ratio stessa della norma.

Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 77 Cost., la questione è manifestamente infondata. Invero, il fatto che il D.L. n. 13 del 2017, art. 21, convertito in L. n. 46 del 2017, stabilisca che alcune delle norme contenute nel predetto decreto si applichino soltanto ai giudizi introdotti dopo 180 giorni dalla sua entrata in vigore, non vale a dimostrare l’assenza del requisito dell’urgenza che consente il ricorso al particolare strumento del Decreto-Legge.

Sotto un primo profilo, infatti, l’applicazione solo ai giudizi introdotti dopo 180 giorni dall’entrata in vigore non solo non smentisce, ma – al contrario – conferma che lo strumento normativo è destinato ad entrare in vigore immediatamente dopo la sua pubblicazione, nel rispetto quindi della previsione di cui all’art. 77 Cost.. L’entrata in vigore, infatti, è comunque immediata, e la previsione che stabilisce l’applicabilità di certe disposizioni solo ai giudizi introdotti dopo una determinata data si giustifica proprio in ragione dell’immediata entrata in vigore che è connaturata allo strumento normativo di cui si discute.

Sotto un secondo profilo, poi, si deve osservare che l’art. 21, non riguarda l’intero testo normativo, ma soltanto alcune delle disposizioni contenute nel Decreto-Legge (e segnatamente gli artt. 3, 4, art. 6, comma 1, lett. d), f) e g), art. 7, comma 1, lett. a), b), d) ed e), art. 8, comma 1, lett. a) e b), nn. 2), 3) e 4) e lett. c), nonchè l’art. 10); il che conferma che tutte le altre disposizioni sono immediatamente applicabili a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione del Decreto-Legge nella Gazzetta Ufficiale.

Nè può ritenersi che il Governo, prima, e il Parlamento, poi, abbiano ecceduto i limiti dell’ampio margine di discrezionalità che spetta loro, ai sensi dell’art. 77 Cost., comma 2, nel valutare i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che giustificano l’adozione di un decreto-legge, posto che il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17.2.2017 e successivamente convertito, con modificazioni, nella L. 13 aprile 2017, n. 46) fa espressamente riferimento, nel suo preambolo, alla “… straordinaria necessità ed urgenza di prevedere misure per la celere definizione dei procedimenti amministrativi innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e per l’accelerazione dei relativi procedimenti giudiziari, nel rispetto del principio di effettività, in ragione dell’aumento esponenziale delle domande di protezione internazionale e dell’incremento del numero delle impugnazioni giurisdizionali”, nonchè alla “… straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure idonee ad accelerare l’identificazione dei cittadini stranieri, per far fronte alle crescenti esigenze connesse alle crisi internazionali in atto e alla necessità di definire celermente la posizione giuridica di coloro che sono condotti nel territorio nazionale in occasione di salvataggi in mare o sono comunque rintracciati nel territorio nazionale” ed alla “… straordinaria necessità ed urgenza di potenziare la rete dei centri di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14 e di assicurare al Ministero dell’interno le risorse necessarie per garantire la effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione e allontanamento dei cittadini stranieri in posizione di soggiorno irregolare”. Tutti i riferiti profili di necessità ed urgenza, oggettivamente sussistenti, sono richiamati ed approfonditi dalla relazione illustrativa e dai pareri preparatori al disegno di legge di conversione, e giustificano ampiamente il ricorso allo strumento del Decreto-Legge, in applicazione dei principi di discrezionalità e di responsabilità politica, nonchè del criterio generale di precauzione che deve presidiare le scelte legislative riferibili ad ambiti – come quello della disciplina della protezione internazionale e del diritto di asilo – che sono connotati da una oggettiva delicatezza, in ragione della specifica rilevanza dei diritti costituzionali in gioco (sul punto, cfr. Corte Cost., sentenza n. 5 del 22.11.2018).

Del pari infondata è la dedotta violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in riferimento alla composizione delle commissioni territoriali per l’esame delle domande di protezione internazionale ed umanitaria. Il ricorrente si duole del fatto che la decisione sull’istanza di protezione internazionale, nell’ambito della fase amministrativa, sia affidata ad un organo sfornito del necessario requisito della terzietà, perchè composto da almeno quattro membri, uno dei quali proveniente dalla carriera prefettizia, uno dalla Polizia di Stato, uno dall’organico di un ente territoriale ed uno designato dalla U.N.H.C.R., con l’eventuale partecipazione di un quinto membro appartenente al Ministero degli Esteri. Tale organo, che per legge decide con il voto favorevole di almeno tre membri, con prevalenza in caso di parità del voto del Presidente, verserebbe in condizione di conflitto di interesse in quanto la maggioranza dei suoi componenti proviene da una delle parti coinvolta nel giudizio e titolare del potere disciplinare su detti soggetti.

Occorre premettere che nella materia della protezione internazionale ed umanitaria il giudice ordinario non esercita un sindacato limitato alla regolarità dell’atto impugnato, con il quale la commissione territoriale concede, o nega, la tutela in concreto invocata dal richiedente, o del procedimento che è stato in concreto seguito per l’adozione di detto atto. La cognizione del giudice ordinario, infatti, ha ad oggetto la spettanza del diritto soggettivo alla protezione invocato dallo straniero (Cass. Sez. U, Sentenza n. 32045 dell’11/12/2018, in particolare alle pagg. 6 e ss. e Cass. Sez. U, Sentenza n. 32177 del 12/12/2018, in particolare alle pagg. 9 e ss.; nonchè Cass. Sez. U, Ordinanza n. 5059 del 28/02/2017, Rv. 643118).

Ne consegue che eventuali nullità relative al procedimento svoltosi innanzi le commissioni territoriali non rilevano in quanto tali, poichè comunque in sede giurisdizionale si realizza la garanzia del contraddittorio pieno tra le parti ed il giudice si pronuncia sul diritto soggettivo alla protezione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 7385 del 22/03/2017, Rv. 643652; nonchè la recente Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, in particolare alle pagg. 12 e ss.). Allo stesso modo, l’eventuale carenza di terzietà dell’organo amministrativo cui il legislatore affida il compito di istruire, esaminare e decidere, in prima istanza, sulla domanda di protezione internazionale o umanitaria non si riverbera in vizio del procedimento o del suo provvedimento conclusivo, posta l’esistenza della successiva fase giurisdizionale a cognizione piena, nella quale al richiedente asilo è comunque assicurata una pronuncia sulla spettanza del suo diritto alla protezione invocata, resa da un giudice terzo ed imparziale all’esito di un processo a cognizione piena.

Le commissioni territoriali, peraltro, non costituiscono una giurisdizione speciale, ma sono solo organi di carattere amministrativo. Non si pongono, quindi, le esigenze di terzietà che sono state ravvisate dalla Corte Costituzionale relativamente alla composizione delle giurisdizioni speciali, come nel caso della Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (C.C.E.P.S.), oggetto della sentenza della predetta Corte delle leggi n. 215 del 21 settembre 2016. In quel precedente, infatti, la garanzia di terzietà dell’organo è stata ravvisata in stretta correlazione con la sua natura, appunto di giurisdizione speciale, sul presupposto che i profili di indipendenza e terzietà imposti dell’art. 108, comma 2 e dall’art. 111 Cost. siano applicabili non soltanto agli organi ed uffici inseriti nell’ordine giudiziario nel suo complesso, ma anche agli altri organi, compresi quelli speciali, la cui attività costituisce comunque espressione della funzione giurisdizionale.

Da quanto precede deriva la carenza di decisività della questione di legittimità costituzionale proposta dal ricorrente in relazione alla composizione delle commissioni territoriali.

Manifestamente inammissibile è invece la censura con la quale il ricorrente introduce una questione di legittimità costituzionale, sempre per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in relazione alla prassi applicativa secondo cui non verrebbe mai assicurata la videoregistrazione del colloquio svolto dal richiedente dinanzi le commissioni territoriali, con conseguente frustrazione della finalità della norma che prevede tale modalità di documentazione dell’audizione. L’art. 35-bis, infatti, prevede espressamente, ai commi 10 e 11, che nel caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio svolto in sede amministrativa debba essere fissata l’udienza di comparizione delle parti dinanzi il giudice investito del ricorso avverso il provvedimento di rigetto emesso dalla commissione territoriale. In tal modo il legislatore ha inteso assicurare, nell’ambito della specifica struttura bifasica del procedimento in materia di protezione internazionale, la garanzia della piena esplicazione del contraddittorio. La scelta, che appare coerente tanto con la natura della posizione soggettiva del richiedente la protezione, inquadrabile nell’ambito del diritto soggettivo, quanto con l’ambito del sindacato devoluto al giudice ordinario, non limitato alla legittimità del provvedimento impugnato bensì esteso alla spettanza del diritto soggettivo alla protezione, si sottrae alla censura ipotizzata da, ricorrente ed appare pienamente corrispondente al principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost.. Il che esclude altresì la sussistenza di un profilo di violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., non potendosi ravvisare alcuna ipotesi di trattamento irragionevolmente diversificato di situazioni soggettive analoghe.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6, 7 e 8, art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,12,13 e 15, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria senza considerare: 1) gli aspetti clinici della storia riferita dal richiedente; 2) la sua sottoposizione a violenza e persecuzione in Libia, ad opera della banda denominata “asmaboys”; 3) la gravissima situazione economica della Guinea, Paese di origine del richiedente. Inoltre, il ricorrente lamenta la mancata concessione della tutela umanitaria, in violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, ed infine la mancata fissazione dell’udienza di comparizione, nonostante l’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale.

La censura è in parte inammissibile ed in parte infondata.

Il primo profilo, relativo alla mancata considerazione, da parte del giudice di merito, delle violenze subite dal richiedente in Libia, è inammissibile. Il ricorrente, infatti, si duole che il Tribunale abbia “… inoltre omesso di considerare gli aspetti clinici e le vicende vissute dal ricorrente in Libia, per le quali nessuna indagine è stata svolta” (cfr. pag. 7 del ricorso), senza tuttavia dettagliare in alcun modo in cosa consisterebbero gli “aspetti clinici” nè chiarire quali “vicende” egli abbia vissuto in occasione del soggiorno in Libia. Solo nella penultima pagina del ricorso si richiamano alcune fonti internazionali che confermerebbero il feroce trattamento riservato dalla banda degli “asmaboys” ai prigionieri caduti sotto il loro controllo, al fine di estorcere denaro alle loro famiglie di origine, ma non si indica alcun elemento o fatto specifico idoneo a dimostrare l’effettiva sottoposizione del D. al predetto trattamento. Nè il ricorrente deduce, in alcun punto del ricorso, di avere ancor oggi postumi fisici o psicologici derivanti dalle violenze che egli asserisce di aver subito in Libia. Sul punto, pur dovendosi ribadire che “… non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13096 del 15/05/2019, Rv. 653885), va tuttavia precisato che è onere del richiedente dimostrare, o anche soltanto allegare, di aver subito durante la permanenza in Libia, o in qualsiasi altro Paese di transito, un trattamento talmente disumano da aver causato conseguenze traumatiche persistenti sull’equilibrio psicofisico dello straniero. Tale principio si ricava, a contrario, da Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018, Rv. 651868, secondo la quale “Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione”. In assenza di simile allegazione, la censura è inammissibile.

Il secondo profilo, relativo alla mancata considerazione, da parte del giudice di merito, del contesto di violenza ed insicurezza generalizzata esistente in Guinea, è egualmente inammissibile. Il decreto impugnato ricostruisce infatti, sulla base di informazioni tratte da fonti internazionale debitamente richiamate in motivazione, la situazione esistente in Guinea, escludendo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria (cfr. pagg. 7 e 8 del decreto). Rispetto a tale ricostruzione il ricorrente non allega alcuna diversa informazione, limitandosi ad una generica contestazione della decisione del Tribunale. Sul punto, va ribadito che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre, più aggiornate e decisive fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede perchè estranee alla natura e alla finalità del giudizio in Cassazione (Cass. Sez.U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Il terzo profilo, con il quale il ricorrente contesta la mancata acquisizione, da parte del giudice di merito, delle informazioni sull’effettiva condizione esistente nel Paese di origine, declinando il vizio sub specie di violazione (anche) del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, è egualmente inammissibile, in quanto ancora una volta il D. contesta in modo aspecifico le conclusioni del Tribunale, peraltro confondendo, almeno in parte, gli ambiti della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, con il divieto di respingimento previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che solitamente viene ricondotto all’ambito della tutela umanitaria. Al contrario di quanto ritenuto dal ricorrente, peraltro, la situazione della Guinea è adeguatamente ricostruita nella motivazione del decreto impugnato, come già affermato in occasione della disamina del precedente profilo del secondo motivo di ricorso.

Il quarto profilo del secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la mancata fissazione dell’udienza di comparizione in assenza di videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi la Commissione territoriale, è invece infondato. Dall’esame del decreto impugnato risulta infatti (cfr. pag. 2) che “Il giudice incaricato della trattazione ha fissato udienza per la comparizione delle parti e ha proceduto all’audizione del ricorrente che ha sostanzialmente confermato quanto dichiarato davanti alla Commissione con alcune aggiunte e precisazioni”. Non si configura, quindi, alcuna violazione delle disposizioni di cui del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11.

Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato anche il riconoscimento della tutela umanitaria.

La censura è inammissibile. Il decreto impugnato dà atto che il richiedente non ha dimostrato alcuna autosufficienza economica perchè “… vive nella struttura di accoglienza, non ha riferimenti affettivi importanti ed ha svolto in tutto un tirocinio di tre mesi come giardiniere guadagnando 400 Euro al mese” (cfr. pag. 10). Il ricorrente non contrappone a tale ricostruzione alcun elemento concreto atto a dimostrare il contrario di quanto ritenuto dal giudice di merito, limitandosi alla mera allegazione di aver subito violenza in Libia quando era ancora minorenne e di aver fatto ingresso in Italia appena diciottenne, senza tuttavia nulla dedurre circa l’effettivo radicamento socio-lavorativo sul territorio nazionale.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

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