Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21442 del 10/10/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 21442 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente contro
PETTI Gabriele, elettivamente domiciliato in Roma, via della Balduina n.
63, presso l’avv. Cristina Savorelli, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avv. Maria Colarieti giusta delega in atti;
controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania,
sez. staccata di Salerno, n. 68/12/07, depositata il 16 luglio 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 giugno

7.

Data pubblicazione: 10/10/2014

2014 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
udito l’avv. Cristina Savorelli per il controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Paola
Mastroberardino, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione

previa riunione, due appelli proposti da Gabriele Petti contro altrettante
sentenze della CTP di Salerno ed annullato l’avviso di accertamento,
fondato sul metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, a titolo di
IRPEF ed ILOR relative all’anno 1996.
Il Petti aveva presentato due distinti ricorsi avverso l’atto impositivo,
avvalendosi della sospensione dei termini disposta dall’art. 15 della legge n.
289 del 2002, come successivamente modificato e integrato. I primi giudici
avevano, da un lato, rigettato il primo ricorso per tardività della
documentazione prodotta e inammissibilità dell’ampliamento del thema
decidendwn, e, dall’altro, dichiarato inammissibile il secondo perché
costituente duplicazione del primo.
Il giudice d’appello ha, invece, ritenuto che, ai sensi dell’art. 358 cod.
proc. civ., riprodotto nell’art. 60 del d.lgs. n. 546 del 1992 per il processo
tributario, il potere di proporre appello non si consuma se non per effetto
della declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione stessa; anche per il
primo grado, pertanto, e con riferimento al caso di specie, ha osservato che
“deve ritenersi rituale la proposizione, da parte del contribuente, di motivi
aggiunti o nuovi motivi e legittima la produzione di documenti, essendo
stati tali atti compiuti in pendenza del termine per impugnare (circostanza
questa pacifica tra le parti)”.
Nel merito, ha affermato che il Petti aveva dimostrato, in ordine alle
varie operazioni finanziarie contestategli (in particolare, versamenti
effettuati per aumento di capitale di società partecipate), l’inesistenza di tali
spese, trattandosi di “fattispecie artatamente configurate al , solo fine di
accedere a contribuzioni erariali”, e che “gli aumenti di capitale erano privi
di reale consistenza e di apprezzabili elementi reddituali non dichiarati”.
2. Il contribuente ha resistito con controricorso e memoria illustrativa.
2

staccata di Salerno, indicata in epigrafe, con la quale sono stati accolti,

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2,

Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denuncia la violazione degli
artt. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione agli artt. 15, comma 8, della
legge n. 289 del 2002, 34, primo collima, lett. c), del d.l. n. 269 del 2003, e
2, comma 48, della legge n. 350 del 2003.
Premesso di ritenere legittima, secondo la più recente giurisprudenza di
questa Corte, la proposizione di un secondo ricorso avverso un medesimo

ricorrente contesta la sussistenza di quest’ultimo requisito: a suo avviso,
infatti, il secondo ricorso avrebbe dovuto essere proposto, in base alle norme
sopra citate (che avevano introdotto, e prorogato, la sospensione dei termini
di impugnazione degli atti ivi indicati), entro il termine ultimo del 18 marzo
2004, laddove esso è stato notificato in data 19 aprile 2004.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che va ribadito il principio secondo il quale, nel processo
tributario, il contribuente che abbia proposto valido ricorso non consuma il
potere di impugnazione dell’atto dell’Amministrazione e non perde, quindi,
la possibilità di proporre, finché non sia scaduto il termine per impugnare,
nuovi motivi con un ulteriore atto che abbia i requisiti previsti dall’art. 18
d.lgs. n. 546 del 1992, non potendo ricavarsi, dal sistema in generale e in
particolare dall’art. 24 del citato decreto, il principio di consumazione del
potere di impugnazione degli atti dell’autorità finanziaria (Cass. nn. 8234 del
2008 e 15441 del 2010, nonché, Cass. n. 7303 del 2012), la censura della
ricorrente non investe la ratio decidendi, sul punto in esame, della sentenza
impugnata, sopra riportata in narrativa (peraltro, non è oggetto di
contestazione alcuna l’affermazione del giudice a quo secondo cui la
tempestività della proposizione di nuovi motivi era circostanza pacifica tra
le parti); inoltre, ed in ogni caso, va ribadito il principio secondo il quale, in
tema di contenzioso tributario, sebbene l’inammissibilità del ricorso
introduttivo sia rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio,
tuttavia la relativa eccezione non può essere sollevata per la prima volta
innanzi al giudice di legittimità, allorché il suo esame implichi accertamenti
di fatto, riservati al giudice di merito (Cass. nn. 26391 del 2010, 7410 del
2011), quali, nella specie, la data di proposizione dei ricorsi o dei motivi
aggiunti al primo ricorso.
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atto impositivo, purché essa avvenga entro il termine di impugnazione, la

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2. Con il secondo motivo, è denunciata la violazione degli arti. 2697,
2702 e 2730 cod. civ., ed è formulato il quesito “se, in base ai principi
generali in tema di prova civile e tributaria, si possa attribuire valore di
confessione ai fini tributari, rilevante e prevalente sulle contrarie prove
documentali utilizzate dall’Ufficio, alle dichiarazioni rese dal contribuente
in sede penale, secondo cui la documentazione probatoria posta a base
dell’accertamento dell’Ufficio avrebbe avuto intenti meramente simulatori e

Il motivo è inammissibile, attenendo a tematica — valore probatorio nel
giudizio tributario di confessione resa in sede penale — estranea alla ratio
della sentenza impugnata.
3. Col terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1415 e segg. cod. civ. e chiede “se il contribuente
possa far valere la simulazione degli atti da lui stipulati al fine di contestare
la fondatezza della pretesa creditoria esercitata dall’Ufficio finanziario, che
abbia fatto legittimo affidamento sulla realtà apparente posta in essere dallo
stesso contribuente attraverso gli atti che si assumano simulati”.
Il motivo è infondato.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 disciplina, fra l’altro, com’è noto, il
metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione
temporis (cioè tra la legge n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito
in legge n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità
di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva
di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di
capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o
servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in
sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto
comma), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle — di
solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare
durevolmente il patrimonio del contribuente.
Resta salva, in ogni caso, ai sensi del sesto comma dell’art. 38 cit., la
prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della
sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla
complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito

rientrasse nell’ambito di un programma illecito avente rilevanza penale”.

REI

ESENTE DA REGISTXAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R, 26/4/1936
N. I31 TAB.A.LLB NS

MATERIA TRIBUTARIA
dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del
2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o
esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013).
Tra le prove contrarie è ammessa, per quanto qui direttamente rileva,
anche quella che il versamento degli importi contestati non è avvenuto e
che, quindi, non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa
meramente apparente, per avere l’atto in questione natura simulata: questa

immobili, che è consentito al contribuente dimostrare che manca una
disponibilità patrimoniale in quanto il contratto stipulato, in ragione della
sua natura simulata, ha una causa gratuita, anziché quella onerosa apparente
(Cass. nn. 8665 del 2002 e 5991 del 2006).
4. Infine, con la quarta censura, la ricorrente denuncia l’insufficienza
della motivazione della sentenza impugnata.
Il motivo è inammissibile, in quanto del tutto privo, in violazione
dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, di una chiara e
sintetica indicazione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, richiesta da detta
norma per la formulazione di censure di vizi di motivazione, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. nn. 2652 e 8897 del 2008,
27680 del 2009 e numerosissime successive conformi).
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenz2 e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida
in C. 7000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2014.

Corte ha già affermato, al riguardo, in fattispecie di spese per acquisto di

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