Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21442 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. I, 06/10/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 06/10/2020), n.21442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7490/2019 proposto da:

S.M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLA

MADDALENA FERRARI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO depositato il 26/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato il 16.1.2018 il ricorrente impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano con il quale era stata respinta la sua istanza volta ad ottenere la predetta tutela.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano rigettava il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione S.M.A. affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la storia personale.

La censura è inammissibile.

Dalla motivazione del decreto impugnato risulta che il giudice di merito ha considerato certa la provenienza del richiedente dalla Guinea Conakry, ed in particolare dalla zona di (OMISSIS), ma ha revocato in dubbio la sua appartenenza politica, in quanto il S.:

1) non aveva saputo indicare dove fosse ubicata, nella città di (OMISSIS), la sede del partito (OMISSIS), nel quale aveva dichiarato di militare;

2) aveva dapprima dichiarato di esser stato minacciato in occasione della campagna elettorale del 2010, e poi negato tale circostanza;

3) aveva prodotto una tessera del partito e un attestato di appartenenza la cui veridicità non poteva essere verificata, “… in quanto non riferibili in maniera certa allo stesso essendo egli sprovvisto di validi documenti identificativi” (cfr. pag. 7 del decreto).

Pur dovendosi ritenere oggettivamente perplessa l’ultima affermazione del Tribunale, posto che in presenza di dubbi circa l’identità del richiedente o l’autenticità di alcuni documenti da lui prodotti è preciso onere del giudice di merito attivare i poteri ufficiosi di verifica e cooperazione istruttoria che caratterizzano la materia della protezione internazionale, la doglianza non attinge in modo sufficientemente specifico i primi due passaggi della motivazione resa dal giudice lombardo. Il ricorrente, infatti, si limita a richiamare la “copiosa documentazione” prodotta in uno al ricorso introduttivo del giudizio di merito, senza tuttavia fornire alcun elemento atto ad identificarne la natura, nè descriverne in alcun modo il contenuto: dal che consegue il difetto di specificità del motivo.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria a fronte della situazione di pericolo diffuso esistente in Guinea (OMISSIS).

La censura è inammissibile.

Il giudice milanese ha escluso la sussistenza dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di specifiche informazioni tratte da fonti internazionali, che risultano debitamente indicate nella motivazione del provvedimento impugnato (cfr. pagg. 8 e ss.). Tale ricostruzione non viene adeguatamente attinta dal motivo in esame, con il quale il ricorrente si limita a censurare la decisione impugnata, senza tuttavia indicare alcuna fonte alternativa rispetto a quelle richiamate dal giudice di merito. Sul punto, va ribadito che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26728 del 21/10/2019, Rv. 655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre, più aggiornate e decisive fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede perchè estranee alla natura e alla finalità del giudizio in Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

Il decreto impugnato dà atto che “In Italia il ricorrente non ha una situazione socio-lavorativa autonoma e indipendente in quanto vive nella struttura di accoglienza, non ha riferimenti affettivi importanti e lavora dal dicembre 2018 in forza di un contatto a termine di un mese che gli verrebbe rinnovato alla scadenza” (cfr. pag. 11). Il ricorrente non contrappone a tale ricostruzione alcun elemento concreto atto a dimostrare il contrario di quanto ritenuto dal giudice di merito, limitandosi alla mera allegazione di aver “trovato lavoro” (senza tuttavia chiarire se si tratti di impiego a tempo indeterminato ovvero determinato, ed in tal caso per quale periodo, nè indicare la retribuzione netta mensile percepita), di svolgere volontariato, di essere “ben apprezzato” e di avere una “ottima conoscenza della lingua italiana”: tali circostanze tuttavia sono soltanto dedotte, ma non risultano in alcun modo documentate dal richiedente) dal che consegue il difetto di specificità anche di questa doglianza.

Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ripropone l’eccezione di illegittimità costituzionale, già proposta nella fase di merito, del D.P.R. n. 21 del 2015, art. 2, comma 1 e art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008 e del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, convertito in L. n. 46 del 2017, con riferimento agli artt. 3,24,97,101,108 e 111 Cost., perchè dette disposizioni affiderebbero la decisione sull’istanza di protezione internazionale, nell’ambito della fase amministrativa, ad un organo sfornito del necessario requisito della terzietà. La commissione territoriale per l’esame delle istanze di protezione è infatti composta da almeno quattro membri, uno dei quali proveniente dalla carriera prefettizia, uno dalla Polizia di Stato, uno dall’organico di un ente territoriale ed uno designato dalla U.N.H.C.R., con l’eventuale partecipazione di un quinto membro appartenente al Ministero degli Esteri. Tale organo, che per legge decide con il voto favorevole di almeno tre membri, con prevalenza in caso di parità del voto del Presidente, verserebbe in conflitto di interesse in quanto la maggioranza dei suoi componenti proviene da una delle parti coinvolte nel giudizio e titolare del potere disciplinare su detti soggetti.

La censura è infondata.

Occorre premettere che nella materia della protezione internazionale ed umanitaria il giudice ordinario non esercita un sindacato limitato alla regolarità dell’atto impugnato, con il quale la commissione territoriale concede, o nega, la tutela in concreto invocata dal richiedente, o del procedimento che è stato in concreto seguito per l’adozione di detto atto. La cognizione del giudice ordinario, infatti, ha ad oggetto la spettanza del diritto soggettivo alla protezione invocato dallo straniero (Cass. Sez. U, Sentenza n. 32045 dell’11/12/2018, in particolare alle pagg. 6 e ss. e Cass. Sez. U, Sentenza n. 32177 del 12/12/2018, in particolare alle pagg. 9 e ss.; nonchè Cass. Sez. U, Ordinanza n. 5059 del 28/02/2017, Rv. 643118).

Ne consegue che eventuali nullità relative al procedimento svoltosi innanzi le commissioni territoriali non rilevano in quanto tali, poichè comunque in sede giurisdizionale si realizza la garanzia del contraddittorio pieno tra le parti ed il giudice si pronuncia sul diritto soggettivo alla protezione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 7385 del 22/03/2017, Rv. 643652; nonchè la recente Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, in particolare alle pagg.12 e ss.). Allo stesso modo, l’eventuale carenza di terzietà dell’organo amministrativo cui il legislatore affida il compito di istruire, esaminare e decidere, in prima istanza, sulla domanda di protezione internazionale o umanitaria non si riverbera in vizio del procedimento o del suo provvedimento conclusivo, posta l’esistenza della successiva fase giurisdizionale a cognizione piena, nella quale al richiedente asilo è comunque assicurata una pronuncia sulla spettanza del suo diritto alla protezione invocata, resa da un giudice terzo ed imparziale all’esito di un processo a cognizione piena.

Le commissioni territoriali, peraltro, non costituiscono una giurisdizione speciale, ma sono solo organi di carattere amministrativo. Non si pongono, quindi, le esigenze di terzietà che sono state ravvisate dalla Corte Costituzionale relativamente alla composizione delle giurisdizioni speciali, come nel caso della Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (C.C.E.P.S.), oggetto della sentenza della predetta Corte delle leggi n. 215 del 21 settembre 2016. In quel precedente, infatti, la garanzia di terzietà dell’organo è stata ravvisata in stretta correlazione con la sua natura, appunto di giurisdizione speciale, sul presupposto che i profili di indipendenza e terzietà imposti dell’art. 108, comma 2 e dall’art. 111 Cost., siano applicabili non soltanto agli organi ed uffici inseriti nell’ordine giudiziario nel suo complesso, ma anche agli altri organi, compresi quelli speciali, la cui attività costituisce comunque espressione della funzione giurisdizionale.

Da quanto precede deriva la carenza di decisività della questione di legittimità costituzionale proposta dal ricorrente con la censura in esame, che merita quindi di essere respinta.

Per completezza dell’analisi di costituzionalità, neppure può ritenersi che il Governo, prima, e il Parlamento, poi, abbiano ecceduto i limiti dell’ampio margine di discrezionalità che spetta loro, ai sensi dell’art. 772, Cost., comma 2, nel valutare i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che giustificano l’adozione di un decreto-legge, posto che il D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17.2.2017 e successivamente convertito, con modificazioni, nella L. 13 aprile 2017, n. 46) fa espressamente riferimento, nel suo preambolo, alla “… straordinaria necessità ed urgenza di prevedere misure per la celere definizione dei procedimenti amministrativi innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione Internazionale e per l’accelerazione dei relativi procedimenti giudiziari, nel rispetto del principio di effettività, in ragione dell’aumento esponenziale delle domande di protezione internazionale e dell’incremento del numero delle impugnazioni giurisdizionali”, nonchè alla “… straordinaria necessità ed urgenza ci; adottare misure idonee ad accelerare l’identificazione dei cittadini stranieri, per far fronte alle crescenti esigenze connesse alle crisi internazionali in atto e alla necessità di definire celermente la posizione giuridica di coloro che sono condotti nel territorio nazionale in occasione di salvataggi in mare o sono comunque rintracciati nel territorio nazionale” ed alla “… straordinaria necessità ed urgenza di potenziare la rete dei centri di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14 e di assicurare al Ministero dell’interno le risorse necessarie per garantire la effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione e allontanamento dei cittadini stranieri in posizione di soggiorno irregolare”. Tutti i riferiti profili di necessità ed urgenza, oggettivamente sussistenti, sono richiamati ed approfonditi dalla relazione illustrativa e dai pareri preparatori al disegno di legge di conversione, e giustificano ampiamente il ricorso allo strumento del decreto-legge, in applicazione dei principi di discrezionalità e di responsabilità politica, nonchè del criterio generale di precauzione che deve presidiare le scelte legislative riferibili ad ambiti -come quello della disciplina della protezione internazionale e del diritto di asilo- che sono connotati da una oggettiva delicatezza, in ragione della specifica rilevanza dei diritti costituzionali in gioco (sul punto, cfr. Corte Cost., sentenza n. 5 del 22.11.2018).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto ai svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia. va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

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