Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2144 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 30/01/2020), n.2144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filipp – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 221/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

I.L.CO. SRL Industria Lavorazione Carni Ovine, (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dall’Avv. SALVATORE TAVERNA e dall’Avv. ANNA STEFANINI,

elettivamente domiciliato presso in Roma, Viale Regina Margherita,

262;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

n. 2869/17/17, depositata il 18 maggio 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 ottobre

2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La contribuente ha impugnato il diniego parziale della richiesta di estinzione dei tributi iscritti a ruolo di cui alla L. 27 dicembre 2013, n. 417, art. 1, comma 618, per la parte relativa agli interessi, con la motivazione che la definizione in punto interessi non può riguardare anche gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo, i quali si applicano a termini del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 86, (TULD);

che il ricorso è stato accolto in primo grado, la cui sentenza è stata confermata in grado di appello dalla CTR del Lazio con sentenza del 18 maggio 2017, la quale ha preliminarmente affermato la giurisdizione del giudice tributario, ritenendo ammissibile l’impugnazione da parte del contribuente, in quanto riguardante un atto di diniego di agevolazione impugnabile del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 19, comma 1, lett. h);

che nel merito la CTR ha osservato come la norma di cui alla L. n. 417 del 2013, art. 1, comma 618, benchè faccia espresso riferimento ai soli interessi da ritardata iscrizione a ruolo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 20, deve essere riferita anche agli interessi di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 86, (TULD), trattandosi anch’essi di interessi da ritardata iscrizione a ruolo, essendo la specialità della disciplina di tali interessi relativa alle modalità di calcolo ma non anche alla disciplina della L. n. 417 del 2013, la quale è di portata generale e opera anche per l’Agenzia delle Dogane in punto interessi;

che propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi, cui resiste con controricorso parte contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo si deduce difetto di giurisdizione del giudice tributario e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, nella parte in cui la sentenza ha affermato che il provvedimento impugnato sia qualificabile quale diniego di agevolazione; deduce il ricorrente che l’atto impugnato deve ascriversi al genere dei pareri e non anche ai provvedimenti in grado di incidere sulla posizione del contribuente; dalla non impugnabilità dell’atto il ricorrente deduce conseguentemente il difetto di giurisdizione del giudice tributario;

con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 618, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la sottrazione alla definizione agevolata anche degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo di cui al TULD, art. 86, si pone in contrasto con la disciplina di cui alla L. n. 147 del 2013, costituendo gli interessi di cui al TULD, art. 86, interessi della medesima natura di quelli espressamente ricompresi nella norma agevolatrice; ritiene il ricorrente che la mancata ricomprensione degli interessi di cui al TULD, art. 86, nella norma definitoria ne precluda la definizione ai fini della Disp. di cui alla L. cit., art. 1, comma 618, dovendo le disposizioni agevolatrici essere interpretate in senso restrittivo;

che va preliminarmente rigettata l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso, sussistendo tutti i requisiti attinenti al parametro normativo e alla specificità delle motivazioni per la valutazione dei profili dedotti;

che va, ulteriormente, rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto attinente a una revisione del giudizio di fatto, posto che la questione dedotta dall’Ufficio attiene, quanto al merito, alla interpretazione della disciplina applicabile in materia di definizione agevolata di cui alla L. n. 147 del 2013;

che il primo motivo è infondato, posto che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, – come effetto della riforma della giurisdizione tributaria in esito alla novella del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, in materia di giurisdizione tributaria della L. 28 dicembre 2001, n. 448, ex art. 12, comma 2, – pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche (Cass., Sez. VI, 6 ottobre 2017, n. 23469; Cass., Sez. V, 27 settembre 2017, n. 22497; Cass., Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 4513); sicchè si afferma il principio secondo cui la tassatività dell’elencazione contenuta nel D.Lgs. cit., art. 19, deve intendersi riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma alle categorie a cui sono astrattamente riconducibili, in cui vanno, pertanto, ricompresi anche gli atti atipici o con nomen iuris diversi da quelli indicati, che producano, però, gli stessi effetti giuridici (Cass., Sez. V, 23 marzo 2016, n. 5723; Cass., Sez. VI, 1 luglio 2015, n. 13548; Cass., Sez. V, 6 novembre 2013, n. 24916), tanto che sono stati ritenuti impugnabili anche alcuni atti prodromici di atti impositivi (Cass., Sez. U., 19 giugno 2015, n. 12759);

che, pertanto, correttamente la sentenza impugnata ha qualificato l’atto di diniego parziale di estinzione del carico iscritto a ruolo impugnato quale diniego di agevolazione impugnabile a termini del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. h), in quanto atto immediatamente lesivo dei diritti del contribuente;

che il secondo motivo è invece fondato, posto che la norma di cui alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 618, prevede espressamente che possano essere definiti i “carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali, agenzie fiscali, regioni, province e comuni, affidati in riscossione fino al 31 ottobre 2013”, mediante il pagamento “di una somma pari all’intero importo originariamente iscritto a ruolo, ovvero a quello residuo, con esclusione degli interessi per ritardata iscrizione a ruolo previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 20, e successive modificazioni, nonchè degli interessi di mora previsti dal medesimo D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, e successive modificazioni”, nonchè “delle somme dovute a titolo di remunerazione prevista dal D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, e successive modificazioni”;

che la norma in esame prevede la definizione del carico iscritto a ruolo mediante pagamento della sola imposta, con esclusione degli interessi di mora previsti dal medesimo D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, e delle somme dovute a titolo di remunerazione del servizio della riscossione, con esclusione degli interessi di mora da ritardata iscrizione a ruolo (dal momento della maturazione del credito sino alla consegna del ruolo) solo in relazione ai tributi interni di cui al D.Lgs. n. 602 del 1973, art. 20;

che, per quanto riguarda i carichi di ruolo formati dall’Agenzia delle Dogane, per i quali la disciplina degli interessi è regolata dal TULD, art. 86, non è prevista alcuna esclusione ai fini della definizione agevolata;

che, per quanto la estinzione dei carichi iscritti a ruolo riguardi anche i carichi formati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la stessa non può, pertanto, riguardare gli interessi di mora da ritardata iscrizione a ruolo, non essendo espressamente prevista l’esclusione del pagamento degli interessi di cui al TULD, art. 86;

che tale esclusione deve ritenersi frutto di una espressa scelta del legislatore, sia avuto riguardo alla specifica formulazione della norma, che ha inteso individuare con precisione quali sono gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo ricompresi nella suddetta definizione agevolata, sia avuto riguardo alla diversa formulazione della norma agevolatrice in esame rispetto a diverse ipotesi di definizione agevolata, quale quella prevista dalla L. 21 dicembre 2002, n. 289, art. 12, comma 1, che consentiva la definizione dei carichi di ruolo “senza corrispondere gli interessi di mora”, con un riferimento amplissimo (e generico) agli interessi da ritardato pagamento di qualsiasi natura;

che, in ogni caso, le disposizioni di esenzione dai carichi tributari non possono essere interpretate in senso estensivo, essendo costante la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che non può essere consentita un’interpretazione estensiva di norme agevolative, sia in quanto un ampliamento indiscriminato delle norme di esenzione dai carichi tributari potrebbe astrattamente dare luogo a un aiuto di Stato (Cass., Sez. V, 17 maggio 2019, n. 13362), sia in quanto la disposizione agevolativa, avendo natura soggettiva derogatoria di principi generali, deve ritenersi di stretta interpretazione (Cass., Sez. V, 10 maggio 2019, n. 12500; Cass., Sez. VI, 3 febbraio 2017, n. 3011; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2012, n. 21778; Cass., Sez. V, 31 gennaio 2011, n. 2222; Cass., Sez. V, 30 dicembre 2010, n. 26413);

che non può, inoltre, ritenersi che il trattamento dei carichi formati dall’Agenzia delle Dogane, assoggettabili anch’essi a definizione agevolata, sia discriminatorio rispetto ad altri carichi tributari, rientrando nella discrezionalità del legislatore la scelta di trattare diversamente la definizione agevolata di controversie relative ad imposte differenti (Cass., Sez. V, 31 gennaio 2013, n. 2354);

che il secondo motivo di ricorso va, pertanto, accolto, cassandosi la sentenza impugnata e, decidendosi la causa nel merito, rigettandosi la domanda del contribuente; le spese del doppio grado del giudizio di merito e del giudizio di legittimità vanno compensate per novità della questione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda del contribuente; compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito e del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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