Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21439 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 21439 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: FALASCHI MILENA

Preliminare —
Inadempimento —
Penale – Riduzione

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6085/07) proposto da:
IODICE GIOVANNI, IODICE ANTONIETTA, IODICE GAETANO, CATTOLICO MICHELA
esercente la potestà su IODICE ANNA LUCIA, IODICE SALVATORE, IODICE MARIA CARMINA
e IODICE GAETANO, tutti eredi di Maria Merola, rappresentati e difesi, in forza di procura
speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Pasquale lannuccilli del foro di Roma ed elettivamente
domiciliati presso il suo studio in Roma, via Lima n. 7;

– ricorrenti contro
IANNASSO FRANCESCO SAVERIO, rappresentato e difeso dall’Avv.to Rosanna lannelli del foro
di Napoli o e dall’Avv.to Elisabetta Anagni del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta in

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Data pubblicazione: 19/09/2013

calce al controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, via
Gerolamo Belloni n. 78;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3195 depositata il 24 ottobre 2006.

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sergio Del
Core, che — in assenza delle parti – ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 24 marzo 2000 Francesco Saverio IANNASSO evocava, dinanzi
al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Giovanni IODICE e Maria MEROLA per sentire
dichiarare l’inadempimento ovvero il ritardo nell’adempimento del contratto di vendita di un
appartamento ed un box auto, obbligazione assunta da Ferdinando lodice, deceduto il
23.11.1996, con contratti preliminari del 16.9.1992 e 23.2.1995 e per l’effetto sentire condannare i
convenuti al pagamento della somma di £. 27.150.000 dovuta a titolo di penale, pattuita nella
misura di £. 50.000 al giorno a decorrere dal 18.7.1998 con scrittura privata del 18.7.1997.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali eccepivano che la Merola non
aveva sottoscritto la invocata pattuizione del 18.7.1997, essendo peraltro l’attore inadempiente al
pagamento dell’ICI e degli oneri condominiali, chiedendo in subordine, la riduzione della penale
ex art. 1384 c.c., il giudice adito, in accoglimento della domanda attorea, condannava i convenuti
al pagamento della somma di €. 39.095, ritenendo che la penale fosse dovuta a partire dal
16.2.1999, data di rilascio della certificazione di abitabilità dell’immobile, cui era condizionato
l’adempimento della obbligazione da parte dei promittenti venditori, rigettata la riconvenzionale
spiegata.

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Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20 giugno 2013 dal

In virtù di appello interposto da Giovanni IODICE e dalla MEROLA, con il quale lamentavano la
decisione impugnata sotto vari profili, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza dell’appellato,
respingeva il gravame.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che con la scrittura privata

di procuratore di Francesco lodice, dante causa di Maria MEROLA, da una parte, e Francesco
Saverio IANNASSO, dall’altra, avevano regolato transattivamente i rapporti tra loro insorti per
effetto della stipula delle promesse di vendita del 16.9.1992 e del 23.2.1995, della cui mancata
esecuzione il promissario acquirente si era doluto con lettere racc. del 5.8 e del 30.9.1996, per cui
avevano fissato un nuovo termine per la stipula del contratto definitivo, pattuendo anche una
penale di £. 50.000 al giorno. Aggiungeva che la dichiarazione rilasciata dall’appellato di
rinunciare a qualsiasi tipo di azione risarcitoria, di cui alla clausola riportata nell’art. 4 della
scrittura, non poteva essere intesa che con riferimento ai danni fino a quel momento subiti e non
già a quelli successivi ed eventuali.
Concludeva che essendo stato accertato l’inadempimento di parte promittente venditrice, avendo
la MEROLA convocato il promissario acquirente avanti al notaio solo dopo la notifica dell’atto di
citazione da parte dello stesso, non era stato chiarito quale comportamento del promittente
venditore avrebbe dovuto giustificare la riduzione della penale.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello partenopea hanno proposto ricorso per
cassazione Giovanni IODICE, Antonietta, Gaetano IODICE, Michela CATTOLICO quale
esercente la potestà su Anna Lucia IODICE, Salvatore, Maria Carmina e Gaetano IODICE, tutti
eredi di Maria Merola, articolato su tre motivi, illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c., al
quale ha resistito lo IANNASSO con controricorso.
Fissata pubblica udienza al 30 gennaio 2013, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per non
essere stata la predetta data comunicata alle parti nei termini di cui all’art. 377, comma 2, c.p.c..

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intervenuta fra le parti il 18.7.1997 Giovanni IODICE e Gaetano IODICE, quest’ultimo nella qualità

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 c.c. in
relazione all’art. 1460 c.c., oltre a vizio di motivazione, per avere ascritto la responsabilità del
ritardo nella stipula del contratto definitivo esclusivamente ai promittenti venditori, nonostante la

notifica della citazione ex art. 2932 c.c. (in data 9.2.2000). Proseguono che la corte di merito non
ha tenuto conto che la mancata stipula del definitivo era dovutk,a1 rifiuto del promissario
acquirente, entrato nel possesso dei cespiti sin dal 1995, di saldare il prezzo. Asserisce parte
ricorrente — a riprova della fondatezza dell’eccezione di inadempimento – che la sentenza n. 56
del 2003 ha respinto la pretesa del promissario acquirente ed egli ha prestato acquiescenza alla
pronuncia; riferisce inoltre della denuncia di un vizio occulto e della riduzione del prezzo mai
prima fatto presente, tanto che a tutt’oggi l’atto definitivo non sarebbe stato ancora perfezionato
ed il prezzo saldato. A conclusione del motivo viene posto il seguente quesito di diritto: “Dichiari

la corte se una parte obbligata al pagamento di una penale per ritardo nella stipula di un atto
definitivo di trasferimento in cui ha già avuto il possesso del cespite da trasferire, deve pagare
una penale nel caso in cui risulti che l’altro contraente a cui favore è stata stipulata la penale,
risulti inadempiente ai propri obblighi di controprestazione contrattuale, per cui la clausola penale
non può essere azionata quando il ritardo risulti comunque giustificato dall’inadempienza
dell’altra parte, ai sensi dell’art. 1460 c.c.” .
Il motivo è inammissibile, poiché, pur denunziando violazione di norme di diritto, oltre a vizio di
motivazione, si risolve in realtà nella proposizione di palesi censure in fatto, peraltro non
evidenzianti omissioni o illogicità della motivazione, avverso gli accertamenti di fatto con cui i
giudici di merito hanno ritenuto la esclusiva responsabilità di parte promittente venditrice per la
mancata conclusione del contratto definitivo di vendita, nel contesto di una vicenda in cui,
subordinata la stipula al rilascio del certificato di abitabilità dell’appartamento venduto, il

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non concordanza dei tempi dell’intimazione a comparire avanti al notaio (l’aprile 1999) e la

promissario acquirente — dopo un’iniziale inadempimento della controparte – era addivenuto ad
un patto aggiuntivo con il quale irinunciato al risarcimento dei danni (subiti fino quel momento),
veniva fissato un nuovo termine per la stipula del rogito ed una penale (con calcolo giornaliero) in
caso di ritardo, che era stato ancora una volta disatteso da parte alienante.

rinunciare a qualsiasi azione risarcitoria, di cui alla clausola contenuta nell’art. 4 della
convenzione, è stata incensurabilmente valutata dai giudici di merito con riferimento ai danni fino
a quel momento subiti e non già per quelli eventualmente conseguenti alla protrazione
dell’inadempimento, per cui veniva disattesa la tesi dei promittenti venditori anche quanto alla
richiesta di riduzione.
Dell’inammissibilità del motivo costituisce, del resto, conferma l’inadeguato quesito di diritto ex
art. 366 bis c.p.c., nel quale si chiede a questa Corte di pronunziarsi sulla corretta applicazione
delle citate disposizioni civilistiche, in tema di eccezione di inadempimento contrattuale, dando
tuttavia per scontate dell’assertiva premessa, circostanze controverse (e peraltro accertate, dai
giudici di merito, in termini opposti a quanto si sostiene), secondo cui l’acquirente non si sarebbe
presentato all’invito formulato dalla alienante a comparire avanti al notaio in epoca anteriore alla
notificazione dell’atto di citazione, senza tuttavia tenere conto che la corte di merito ha ritenuto
non dimostrata, dagli appellanti la mancata presentazione dello IANNASSO avanti al notaio
innanzi al quale era stato convocato per la stipula del contratto definitivo.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’al/. 1220
c.c. in relazione all’art. 1217 c.c., oltre a vizio di motivazione, per avere ritenuto la corte di merito
non provato l’inadempimento del promissario acquirente non documentata la mancata
comparizione dello stesso avanti al notaio con verbale negativo, mentre trattandosi di
un’obbligazione di facere l’offerta della stessa da parte dei promittenti venditori, ai sensi dell’ari.
1217 c.c., non poteva che essere fatta per intimazione. Il motivo culmina nel seguente quesito di

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La sottoscrizione dell’accordo quanto alla dichiarazione rilasciata dal promissario acquirente di

diritto: “Dichiari la corte se, in caso di offerta non formale di un obbligo di fare consistente nella

prestazione del consenso per la redazione di atto pubblico di trasferimento di immobile in
relazione ad un preliminare di vendita, l’invito reiterato, da parte dei promittenti venditori, a
convenire avanti al Notaio per la detta stipula alle condizioni di cui alla scrittura transattiva e

il ritardo non è dovuta con decorrenza da questo invito serio e completo”.
Anche detto motivo è inammissibile.
La doglianza, infatti, con il relativo quesito, è priva di specificità, per quanto attiene alla violazione
dell’art. 1220 c.c., in relazione al disposto dell’art. 1217 c.c., giacché i ricorrenti non indicano le
ragioni per le quali avrebbe dovuto trovare applicazione alla fattispecie oggetto del giudizio la
disciplina dettata in tema di offerta non formale rispetto alla disponibilità manifestata dal
promittente venditore di prestare il proprio consenso alla conclusione del definitivo, non chiarito il
soggetto destinatario dell’invito a comparire avanti al notaio, né la parte che era onerata
dell’obbligo di formulare l’invito. Non attinge, invece, alla ratio decidendi, per quanto concerne la
diversa ragione addotta dai medesimi ricorrenti a fondamento della mancata conclusione, ossia il
rifiuto del promissario acquirente di pagare somme pretese dai promittenti venditori per ICI e per
residuo prezzo, giacchè dalla sentenza n. 56 del 2003 del Tribunale di Santa Maria C.V. —
Sezione di Marcianise, risultava accertato il versamento dell’ICI da parte dello IANNASSO, per
cui la corte distrettuale ne ha escluso la rilevanza sotto il profilo della reciprocità
dell’inadempimento, dovendo essere il saldo dell’esiguo residuo prezzo versato solo al momento
della stipula del contratto definitivo.
Con il terzo motivo viene dedotta in via gradata la violazione e falsa applicazione dell’ari.
1384 c.c., anche per vizio di motivazione, per non avere la corte distrettuale dato adeguata
ponderazione allo scarso interesse del promissario acquirente alla stipula del contratto defintivo.
Prosegue parte ricorrente che a fondamento di detta asserzione vi era la considerazione che

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ricognitiva di pregressi preliminari, è idoneo a liberarlo dagli effetti della mora, onde la penale per

nonostante dal lontano 2003 il controricorrente avesse ottenuto la sentenza di trasferimento
coattivo ex art. 2932 c.c., condizionata al pagamento del residuo prezzo, il corrispettivo non era
ancora stato saldato, per cui alla pronuncia non era stata data ancora esecuzione. li motivo
culmina nel seguente quesito di diritto: “Dichiari la corte — a seguito dell’accertamento del vizio di

comportamento, anche successivo, tenuto dal promissario acquirente a dimostrazione del suo
non interesse a stipulare l’atto notarile di perfezionamento di preliminari e, comunque, a rendere
efficace il trasferimento ex art. 2932 c. c. degli immobili, oggetto di promessa di vendita, la penale
contenuta nella scrittura transattiva e ricognitiva dei pregressi preliminari vada ridotta in
applicazione dell’art. 1384 c.c.”.
Nemmeno questo motivo è fondato perché l’apprezzamento dell’eccessività dell’importo fissato
con la clausola penale dalle parti contraenti per il caso di inadempimento o di ritardato
adempimento, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rientra nel potere discrezionale del
giudice del merito, il cui giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente basato
sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza
dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale,
indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (cfr
Cass. 10 maggio 2012 n. 7180; Cass. 16 marzo 2007 n. 6158). Nella specie la Corte d’appello si
è adeguata a questi principi, in quanto — come si evince in modo sufficientemente chiaro dalla
sentenza impugnata – in adesione ad analogo convincimento del Tribunale, ha ritenuto corretta la
esclusione della manifesta eccessività della penale, avendo ritenuto congruo l’importo di
cinquantamila lire dovuto dalla parte promittente venditrice per ciascun giorno di ritardo,
considerato il relativo motivo di gravame “inammissibile per mancanza di specificità, non
essendo stato chiarito quale comportamento del promissario acquirente dovrebbe giustificare la

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motivazione della sentenza denunciato ex art. 360 n. 5 c.p.c. — se, in relazione al particolare

riduzione della penale”, provata, di converso, la pervicacia degli appellanti nel non procedere alla
stipula del contratto definitivo.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente a rimborsare le spese di questo

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di
Cassazione, che liquida in complessivi €. 3.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 20 giugno 2013.

giudizio al controricorrente (art.385 c.p.c.).

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