Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21439 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. I, 06/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 06/10/2020), n.21439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11259/2019 proposto da:

H.T., elettivamente domiciliato in Roma Via Comano 95, presso

lo studio dell’avvocato Faraon Luciano, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Faraon Andrea;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

28/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 6.12.2018, ha rigettato la domanda di H.T., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo il suo racconto stato ritenuto credibile (il ricorrente, di religione cristiana, aveva riferito di essersi allontanato dal Gambia per sottrarsi alle vessazioni dello zio che lo aveva cresciuto dopo la morte dei genitori, il quale, non solo lo trattava male e lo picchiava, ma voleva, altresì, costringerlo a convertirsi alla religione mussulmana).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione H.T. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio al solo scopo di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, per omessa motivazione ovvero motivazione apparente con riferimento ai criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Contesta il ricorrente il giudizio di non credibilità formulato dal Tribunale di Venezia, il quale si è limitato ad appiattirsi sulle valutazioni della Commissione Territoriale, formulando dei rilievi del tutto illogici in ordine al credo religioso dallo stesso professato.

2. Il motivo è inammissibile.

Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato, con argomentazioni prive di vizi logici, le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile quanto alla causa del suo allontanamento dal Gambia (non plausibilità della sua resistenza a convertirsi al mussulmanesimo tenuto conto che non conosceva neppure alcuni simboli del Cristianesimo, come il significato della Pasqua; non plausibilità dell’intenzione del richiedente di fuggire dallo zio visto che, giunto in Italia, lo aveva ricontattato).

Il ricorrente si è limitato a contestare nel merito i summenzionati rilievi del giudice di merito, invocando la verosimiglianza dei suo racconto, allegando in modo apodittico la grave anomalia motivazionale del decreto impugnato.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Venezia non ha svolto alcun approfondimento in relazione al tema della persecuzione religiosa dei soggetti di religione cristiana in Gambia.

4. Il motivo è infondato.

Il giudice di merito coerentemente non ha svolto un approfondimento istruttorio in ordine alle persecuzioni religiose asseritamente perpetrate dai mussulmani ai danni dei cristiani in Gambia, avendo a monte, come sopra già evidenziato, ritenuto non credibile il racconto del richiedente e non ritenendo quindi sussistente in capo allo stesso un rischio individualizzante di persecuzione religiosa.

In proposito, questa Corte ha più volte statuito che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. ancora, fra le altre, Cass. 31 maggio 2018, n. 13858 e n. 14006; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340).

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 T.U. Immigrazione.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito non ha tenuto conto, nella valutazione della condizione di vulnerabilità, che lo stesso è stato imprigionato per circa due anni nei centri di detenzione libica, nè della presenza in Italia di un nucleo familiare di riferimento, come la cugina ed il figlio, con la conseguenza che assume rilievo, nel caso di specie, la fattispecie prevista dall’art. 8 CEDU.

6. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che neppure il ricorrente ha dedotto che lo stato di detenzione subito nel paese di transito avrebbe compromesso in concreto la sua stabilità psicologica ed emotiva, provocandogli particolari patologie, di talchè la allegata condizione di vulnerabilità si appalesa generica e fondata su apodittici e indimostrati fatti notori dallo stesso dedotti.

Infine, posto che nel provvedimento impugnato non vi è traccia della questione relativa alla presenza dei suoi parenti in Italia, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto a tale onere di allegazione, non indicando la sede processuale delle deduzioni riguardanti i presunti parenti residenti in Italia.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in conseguenza della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero dell’Interno.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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