Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21437 del 16/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 16/08/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 16/08/2019), n.21437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINI Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6775-2018 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIA COLONNA 39, presso lo studio dell’avvocato MARCO

PASSALACQUA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ANTONELLA NEGRI, MARCELLO GIUSTINIANI, ANNA GRAZIA SOMMARUGA;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI 47,

presso lo studio dell’avvocato MARIALUCREZIA TURCO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO PANDOLFO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1290/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/12/2017 R.G.N. 948/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato ANNA GRAZIA SOMMARUGA;

udito l’Avvocato CRISTIANA PILO per delega verbale Avvocato

MARIALUCREZIA TURCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Siena respingeva l’opposizione proposta secondo il rito di cui alla L. n. 92 del 2012 da C.G., confermando l’ordinanza del 5.5.2014, emessa all’esito della fase sommaria, con la quale era stata respinta l’impugnazione del licenziamento intimato per giusta causa al predetto il 3.4.2013 dalla s.p.a. Monte dei Paschi di Siena, per avere, quale dirigente titolare della funzione di responsabile della Direzione dello Staff Controlli Finanziari, concluso tra MPS e Nomura International un contratto prevedente la ristrutturazione del titolo denominato “(OMISSIS)” a fronte dell’acquisto, da parte di MPS, di BTP con varie scadenze, per lo più concentrate al 2034, che aveva determinato ingenti danni per MPS e gravi ripercussioni anche a livello di immagine della banca.

2. La contestazione disciplinare era relativa ad un comportamento reticente e mendace che il dirigente avrebbe tenuto, rispetto alla suddetta operazione finanziaria, nei confronti dei nuovi vertici della Banca, insediatisi nel 2012.

3. In particolare, era contestato al C. di avere consegnato al suo nuovo diretto superiore, Dott. V., su espressa richiesta dello stesso, solo una bozza del contratto di “Mandate Agreement”, dichiarando che tale documento sarebbe stato allegato ad una e – mail ricevuta, per errore, da Nomura e di non sapere se tale contratto fosse stato sottoscritto tra le parti, laddove, dalla documentazione successivamente fornita, rinvenuta dalla Banca, era emerso che egli aveva, al contrario, ricevuto più versioni dello stesso contratto, poi sottoscritto il 31.7.2009.

4. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 22.12.2017, riteneva che il licenziamento de quo non fosse sorretto da giusta causa, ma che neppure potesse ritenersi del tutto ingiustificato, essendo emerso che il reclamante aveva fornito ai nuovi vertici della banca la documentazione che di volta in volta gli veniva richiesta, ma che la sua collaborazione non era stata del tutto leale e trasparente, in quanto egli si riteneva ancora vincolato dal mandato di segretezza ricevuto in precedenza e le informazioni fornite al V. erano state certamente reticenti.

4. Le valutazioni espresse in ordine alla giustificatezza del licenziamento portavano, secondo la Corte, ad escludere ogni profilo di nullità per essere insussistente il dedotto carattere ritorsivo e per la stessa ragione doveva escludersi il riconoscimento dell’indennità supplementare, laddove spettava, invece, l’indennità di preavviso nella misura di sette mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, come richiesta in via gradata, prendendo a riferimento la somma di Euro 8.443,42 indicata dalla società, per essere quella rilevabile dal CUD superiore a quella dell’anno successivo per la presenza di un bonus che non era stato più pagato. L’importo finale al titolo era quantificato in Euro 59.103,94.

5. Di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste con controricorso il C., che, a sua volta, propone ricorso incidentale con unico motivo.

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE:

1. Vengono denunziate violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., anche in relazione agli artt. 2104,2105 e 2106 c.c., con riferimento al rapporto di lavoro dirigenziale, per avere la Corte di appello di Firenze escluso che il licenziamento fosse sorretto da giusta causa. Si evidenzia come la Corte del merito avesse accertato che il C. aveva ben più che ampia consapevolezza dell’operazione nel suo complesso, che le informazioni fornite al V. erano certamente reticenti e che il suo coinvolgimento nell’ambito della ristrutturazione del titolo (OMISSIS), proprio in virtù delle sue competenze dell’epoca, in qualità di responsabile Staff Controlli Finanziari, non poteva non consentirgli di fornire le informazioni richieste. Corollario di tali premesse e considerazioni è quello che nell’operazione valutativa della condotta del lavoratore compiuta il giudice del gravame abbia violato le norme indicate in rubrica. Queste imponevano di considerare, ai fini della configurabilità della giusta causa del recesso, la grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro ed, in particolare, del rapporto di fiducia che deve sussistere tra le parti, la qualità del singolo rapporto e la ripercussione del comportamento tenuto dal dipendente, sia in relazione ad un giudizio prognostico negativo sulla futura correttezza dell’adempimento, sia con riguardo al disvalore ambientale che la condotta possa assumere in forza della posizione professionale rivestita dal soggetto attinto dalla misura disciplinare, quale modello diseducativo e disincentivante al rispetto degli obblighi di diligenza e fedeltà per gli altri dipendenti dell’impresa.

2. Si evidenzia come non sia pertinente il richiamo degli elementi valutativi valorizzati dalla Corte d’appello nel pervenire ad un giudizio di insussistenza della giusta causa di licenziamento, sia con riguardo all’affermazione, asseritamente errata, della efficacia scriminante attribuita alla richiamata necessità di non disattendere ordini dei superiori, in relazione ai doveri che il C. aveva nei confronti del nuovo dirigente, avente diritto ad essere reso edotto su tutti i dettagli dell’operazione, sia per essere l’ordine suddetto illegittimo in quanto volto a sottrarre (OMISSIS) al rispetto di plurime normative, interne e di legge, ed idoneo a provocare alla Banca un ingentissimo danno; si aggiunge che doveva essere considerato come una collaborazione “non piena e corretta” fosse contraria all’interpretazione degli articoli di cui alla rubrica e tale da incrinare gravemente il rapporto fiduciario, tanto più per le funzioni di un dipendente dotato di particolari responsabilità.

4. Il ricorso principale è fondato.

5. La pronuncia disattende i principi che delineano i contorni della giusta causa in relazione agli elementi di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro in relazione alla qualità del soggetto che ha posto in essere la condotta e della lesione della fiducia in relazione ad una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento. Le specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica, e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici. L’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., che, in tema di licenziamento per giusta causa, detta una tipica “norma elastica”, non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’applicazione della clausola generale, poichè l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la concreta fattispecie si colloca (cfr. Cass. 23.3.2018 n. 7305, Cass. 13.12.2010 n. 25144 e, tra le altre, Cass. n. 9266 del 2005; Cass. n. 5299 del 2000).

6. Quanto alla ritenuta necessità, assunta dal lavoratore a giustificazione del proprio comportamento, di prestare fede alle indicazioni ricevute da un diretto superiore facente parte di vertici ancora in carica, la giurisprudenza di legittimità è nel senso che l’esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico non basta di per sè ad impedire la configurabilità di una giusta causa di recesso, non trovando applicazione nel rapporto di lavoro privato l’art. 51 c.p. in assenza di un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge (cfr. Cass. 28.9.2018 n. 23600, Cass. 24.6.2016 n. 13149). La valutazione di sussumibilità o meno nell’art. 2119 c.c. della condotta di esecuzione di un ordine dato dal superiore gerarchico non può prescindere dal grado di divergenza dell’ordine rispetto ai principi e ai vincoli dell’ordinamento e dal carattere palese o meno di tale illegittimità.

7. Nel caso in esame il comportamento reticente non è stato adeguatamente esaminato in relazione alla sua possibile contrarietà alle regole di chiarezza e trasparenza necessarie nell’ambito di valutazioni, concernenti fatti rilevanti per una corretta gestione dei titoli in portafoglio della Banca, di competenza dei vertici aziendali e la disamina della giusta causa di recesso avrebbe dovuto tener conto della natura dell’ordine impartito dal superiore, quale elemento idoneo, in ipotesi di sua connotazione nel senso della illegittimità, ad incidere sulla lesione del vincolo fiduciario.

8. Il giudice del gravame avrebbe dovuto stabilire prioritariamente, nel percorso valutativo seguito ai fini della sussumibilità della condotta accertata – ritenuta ingiustificata – nella giusta causa di recesso, se la società datoriale potesse riporre affidamento sul futuro esatto adempimento della prestazione nei confronti di chi si era posto anche non intenzionalmente in condizioni di violare i doveri di diligenza e fedeltà, senza opporre alcun rifiuto o ostacolo agli ordini in tal senso dati da precedente superiore gerarchico, ordini della cui illegittimità il dipendente era in condizione di rendersi perfettamente conto. Difatti, “l’esecuzione di un ordine impartito dal superiore gerarchico non vale a scriminare la condotta del dipendente ove questi era in grado di rendersi conto della illegittimità dell’ordine in quanto palese” (cfr. Cass. 23600/18 cit.). La sentenza impugnata ha escluso la sussunzione del fatto accertato nel paradigma della giusta causa di licenziamento nonostante la contrarietà ai valori dell’ordinamento di una condotta posta in essere dal dipendente in aperta violazione delle norme interne e in esecuzione di un ordine del superiore della cui legittimità era lecito dubitare, alla luce delle imprescindibili esigenze di conoscenza completa di operazioni pregresse palesate dal superiore gerarchico, che ne aveva ritenuto l’indispensabilità per la valutazioni di titoli da ristrutturare, al fine di evitare il rischio di operazioni dannose per la società.

9. Il controricorrente si sofferma sulla differenza tra il termine mendace, attribuito al comportamento del C. dalla ricorrente ed il termine reticente che sarebbe espressione di un atteggiamento meno grave, ma la qualificazione terminologica non muta nella sostanza i termini della valutazione.

10. Il ricorso principale merita, pertanto, accoglimento, con la conseguente cassazione della decisione impugnata in parte qua e rinvio alla Corte designata in dispositivo – che provvederà anche alle spese del presente giudizio – per un nuovo esame conforme ai principi richiamati.

RICORSO INCIDENTALE.

11. E’ dedotta dal C. violazione dell’art. 30 CCNL Dirigenti del credito 10.1.2008, sostenendosi che il licenziamento sia arbitrario in quanto una collaborazione non del tutto leale o trasparente risulta inidonea a far considerare integrata la condizione di giustificatezza del licenziamento, a ciò conseguendo il diritto del dirigente all’indennità supplementare, oltre che a quella sostitutiva del preavviso.

12. Il motivo posto a fondamento di tale ricorso è all’evidenza assorbito dall’accoglimento del ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2019

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