Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21435 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 21435 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

“velina”

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– ricorrente contro
GALIBERTI LUCIANO STEFANO;
– intimato

avverso la sentenza n. 699 del 2011 del Tribunale di Reggio
Calabria, depositata in data 2 maggio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22 maggio 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;

43g 5

113

– 1 –

Data pubblicazione: 19/09/2013

sentito l’Avvocato dello Stato Pasquale Pucciarello;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha
concluso, in via principale, per la rimessione alle Sezioni

subordine, per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 2008 e
depositato in copia per l’iscrizione a ruolo sempre in data
19 dicembre 2008, il Ministero dell’interno proponeva
appello avverso la sentenza n. 757 del 2007, con la quale
il Giudice di Pace di Reggio Calabria aveva annullato il
verbale di accertamento n. 373826414 emesso in data 24
maggio 2005 dai Carabinieri della Stazione di Palmi nei

confronti dell’odierno intimato per
141. colmi 3

e

violazione

dell’art.

r.d.g.

Il Tribunale di

Reggio Calabria, con sentenza

depositata il 2 maggio 2011, dichiarava l’improcedibilità
del gravame ex art. 348 cod. proc. civ. Secondo il giudice
adito, l’appello era da considerare improcedibile poiché il
Ministero

appellante si

era enntituito

in giudizio

depositando una copia dell’atto di citazione in appello
priva di qualsiasi indicazione in ordine alla avvenuta
notifica alla controparte, provvedendo solo
successivamente, alla prima udienza di trattazione, al

Unite della questione dedotta con il ricorso ovvero, in

deposito dell’originale con la prova della notifica,
perfezionatasi il 22 dicembre 2008.
Per la cassazione della predetta sentenza, il Ministero

dell’interno ha proposto ricorso, sulla base di un solo
motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Con l’unico

motivo di ricorso, il Ministero

ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli
artt. 348, 347, 165 e 156 cod. proc. civ., dolendosi che il
Tribunale di Reggio Calabria abbia dichiarato improcedibile
l’appello introdotto mediante il deposito della sola copia,
anziché dell’originale, dell’atto di citazione. Invero, il
deposito della sola copia dell’atto (c.d. “velina”)
integrerebbe non già una fattispecie di improcedibilità,
bensì un’ipotesi di mera irregolarità sanabile attraverso
il successivo deposito dell’originale notificato entro la
prima udienza di trattazione, momento in cui il giudice è
chiamato a controllare la regolare costituzione in giudizio
delle parti.
2. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Il

Tribunale,

nel

dichiarare

l’improcedibilità

dell’appello con la sentenza impugnata, si è conformato ad
uno specifico orientamento emerso nella giurisprudenza di
questa Corte, espressosi soprattutto nelle sentenze n.
18009 del 2008 e n. 10 del 2010.
3

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Secondo queste due pronunce, infatti, il deposito
dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla
controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di
secondo grado, determinerebbe l’improcedibilità del gravame
ex art. 348 cod. proc. civ., essendo privo di effetti

udienza, oltre il termine perentorio stabilito dalla legge.
Per come ampiamente motivato nella sentenza oggetto del
ricorso (nella quale è stato ripercorso l’intero Iter
logico-sistematico posto a fondamento della citata sentenza
n. 18009 del 2008), la costituzione in giudizio
dell’appellante con il deposito di un atto non notificato
(ovvero non recante la prova documentale allegata della
richiesta od eseguita notificazione) sarebbe sprovvista del
necessario requisito per il raggiungimento dello scopo cui
è destinato il controllo di procedibilità che la legge
conferisce al giudice dell’impugnazione, con la conseguenza
che, sulla scorta di una lettura sistematica e coordinata
degli artt. 347 e 348 cod. proc. civ., l’atto di appello
dovrebbe essere dichiarato improcedibile allorquando
l’appellante non depositi, nel termine stabilito per la sua
costituzione (in relazione al richiamato art. 165 cod.
proc. civ.), l’atto di impugnazione notificato ad almeno
una delle controparti.
Ed era proprio questa la situazione processuale che si
era venuta a verificare nel caso di specie, laddove il

sananti l’eventuale deposito dell’atto notificato in prima

Ministero appellante, al momento della sua costituzione nel
termine di legge, aveva depositato semplicemente una copia
(“velina”) dell’atto di citazione in appello, la quale,
tuttavia, era priva di qualsiasi indicazione in ordine alla
richiesta o all’avvenuta notificazione alla controparte,

dell’atto di appello notificato (ovvero munito del
riscontro documentale dell’intervenuta notificazione).
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale al quale ha
aderito il Tribunale di Reggio Calabria con la sentenza
impugnata, la sanzione della improcedibilità esprimerebbe
una valutazione legale in ordine alla necessità di un
adempimento – la costituzione in giudizio entro il termine
– che il giudice è chiamato ad accertare d’ufficio al fine
di poter dare seguito e sviluppo al procedimento. D’altra
parte, la perentorietà del termine di costituzione in
appello e la rilevabilità d’ufficio della mancata
osservanza dello stesso comporterebbero l’impossibilità di
sanare (ovvero di considerare alla stregua di mere
irregolarità suscettibili di successiva regolarizzazione),
imperfezioni e mancanze della costituzione in giudizio
dell’appellante tali da impedire l’accertamento della
validità ed efficacia dello stesso atto di impugnazione.
Sulla scorta di tali argomentazioni il giudice di
secondo grado ha ritenuto che la ipotizzata non
applicabilità della sanzione dell’improcedibilità e la
– 5 –

mentre solo in corso di causa aveva depositato l’originale

possibilità di configurare nella predetta situazione
processuale relativa all’attività di costituzione in
appello del Ministero dell’Interno una mera irregolarità,
non potevano considerarsi degne di rilievo perché la
possibile regolarizzazione avrebbe, comunque, presupposto

di una mera copia dell’atto di appello, sarebbe dovuta, in
ogni caso, intervenire nel termine di cui all’art. 165
cod. proc. civ. con l’allegazione della idonea indicazione
e del relativo riscontro documentale in ordine
all’effettuata rituale richiesta o avvenuta esecuzione
della notificazione.
3. Il collegio ritiene che il complessivo impianto
argomentativo che sorregge la sentenza impugnata non sia
condivisibile.
Contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale di Reggio
Calabria, la prevalente giurisprudenza di questa Corte è
schierata nel senso che l’accertamento dell’avvenuto
deposito, al momento della costituzione in giudizio
dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di
appello in luogo dell’originale contenente la relata
dell’avvenuta notificazione dello stesso atto, non comporta
la sanzione dell’improcedibilità del gravame (Cass. 9
dicembre 2004, n.

23027;

Cass. 24 agosto 2007, n. 17958;

Cass. 29 luglio 2009, n. 17666, ord.; Cass. 17 novembre

6

che la costituzione, pur potendo avvenire con il deposito

2010, n. 23192; Cass. 8 maggio 2012, n. 6912 e, da ultimo,
Cass. 23 novembre 2012, n. 20789, ord.).
Questo orientamento deve essere privilegiato, in quanto
saldamente basato: a) sull’indiscusso principio di
tassatività delle cause di improcedibilità (tra le quali,

dell’originale dell’atto di appello notificato all’atto
dell’iscrizione a ruolo della causa da parte
dell’appellante); b) sulla esclusività del richiamo, in
detta norma, ai soli termini di costituzione
dell’appellante (da intendersi riferiti a quelli
contemplati dall’art. 165 cod. proc. civ., per il giudizio
di primo grado, in virtù del rinvio formulato nel primo
comma dell’art. 347 cod. proc. civ.) e non anche alle
forme; c) sulla non configurabilità di una lesione del
diritto di difesa e sul rilievo dell’instaurazione del
contraddittorio per effetto dell’avvenuta notificazione.
Del resto, la possibilità di provvedere alla
costituzione in giudizio da parte dell’attore (e,
corrispondentemente, da parte dell’appellante in secondo
grado) e alla contestuale iscrizione a ruolo della causa
prima del perfezionamento della notificazione (mediante il
deposito della c.d. “velina”) è un dato che deve ritenersi
acquisito alla luce della lettura (costituzionalmente
orientata) operata dal Giudice delle leggi (cfr. sentenza 2
aprile 2004, n. 107, e ordinanza 12 aprile 2005, n. 154; ma
– 7 –

per l’appunto, non è prevista quella del deposito

già prima v., in senso analogo, l’ordinanza 23 giugno 2000,
n. 239), secondo cui tale ultimo adempimento si perfeziona
per il notificante sin dalla consegna dell’atto
all’ufficiale giudiziario, sicché a partire da tale momento
egli è legittimato a compiere tutte le attività che

decorrenza del termine ultimo per la costituzione dalla
consegna effettiva al destinatario. Ed anche le Sezioni
unite di questa Corte – con la sentenza 18 maggio 2011, n.
10864 – hanno affermato che solo la mancata costituzione in
termini dell’appellante determina automaticamente
l’improcedibilità dell’appello (a nulla rilevando che
l’appellato si sia costituito nel termine assegnatogli).
In modo ancor più incisivo è stato chiarito (cfr., in
particolare, Cass. n. 23192 del 2010) come il nuovo testo
dell’art. 348 cod. proc. civ. (nella versione introdotta
dalla legge n. 353 del 1990 e successive integrazioni)
abbia apportato significative modifiche alla disciplina
dell’improcedibilità dell’appello, in quanto ha previsto,
quali ipotesi tassative (sull’operatività del principio di
tassatività in proposito cfr., anche di recente, Cass. n.
2171 del 2009 e Cass. n. 238 del 2010), solo due casi.
Infatti, mentre nella disposizione prevista al primo comma
viene

fatto

riferimento

alla

mancata

tempestiva

costituzione dell’appellante, nel capoverso è disciplinata
la mancata comparizione dello stesso,
– 8 –

una volta

\

presuppongono la notificazione, ferma restando la

costituitosi, alla prima udienza e in quella successiva;
pertanto, in relazione al primo degli indicati profili,
risulta univocamente evincibile come, sul piano letterale
della disposizione, la sanzione immediata ed insanabile,

dell’appellato, attiene alla sola mancata tempestiva
costituzione dell’appellante che deve aver luogo ‘‘in
termini”, non anche all’omessa osservanza delle “forme”
previste per i procedimenti davanti al tribunale,
nonostante alle stesse, compreso dunque il deposito
dell’originale della citazione, operi rinvio il precedente
art. 347 cod. proc. civ.
Oltretutto, bisogna rilevare che, sebbene l’art. 165
cod. proc. civ. imponga all’attore di costituirsi, entro
dieci giorni dalla notificazione della citazione,
depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo ed

il

proprio fascicolo contenerne l’originale della

citazione, la procura ed i documenti offerti in
comunicazione, tuttavia la giurisprudenza concorde di
questa Corte ha già avuto modo di evidenziare come la
costituzione in giudizio dell’attore avvenuta mediante
deposito in cancelleria, oltre che della nota di iscrizione
a ruolo, del proprio fascicolo contenente una copia anziché
l’originale dell’atto di citazione, depositato in seguito
dopo la scadenza del termine prescritto, non determina
alcuna nullità della costituzione stessa, ma integra,
9

anche quindi a prescindere dalla condotta processuale

semmai, una semplice ipotesi di irregolarità rispetto alle
modalità stabilite dalla legge, non conseguendo a tale
violazione – come già sottolineato – alcuna lesione dei
diritti della controparte e venendosi ad instaurare il
contraddittorio con la notifica della citazione (Cass. n.

Orbene, l’applicazione al giudizio d’appello di tali
condivisibili principi non consente di ricondurre la
fattispecie in esame – come dedotto dall’Amministrazione
ricorrente all’ipotesi di mancata tempestiva
costituzione, dal momento che solo essa giustificherebbe,
ai sensi dell’art. 348 cod. proc. civ. (nel testo come
novellato dalla legge n. 353 del 1990), la declaratoria di
improcedibilità del gravame.
Non appare, perciò, convincente la diversa soluzione
adottata da questa Corte con la sentenza n. 18009 del 2008,
che si fonda su una distinzione tra l’art. 165 cod. proc.
civ., in relazione al quale condivide la giurisprudenza che
esclude l’essenzialità, in sede di costituzione, del
deposito dell’originale notificato dell’atto di citazione,
e l’art. 348 cod. proc. civ., in riferimento al quale,
ravvisando la ragione giustificatrice della comminatoria
dell’improcedibilità nell’esigenza di certezza
dell’instaurazione

del

giudizio,

assume

invece

l’essenzialità del deposito dell’originale in funzione di
un necessario controllo preventivo, da parte del giudice di
– 10 –

15777 del 2004, cit.).

appello, dell’effettiva proposizione dell’impugnazione (e,
quindi, della prova dell’attivazione del correlato
adempimento notificatorio nei confronti della controparte).
Questa impostazione non valorizza, innanzitutto,
l’espressa limitazione del dettato normativo del suddetto

dell’appello alla sola tempestività della costituzione (di
per sé rivelatrice della effettiva volontà di impugnare), e
non alle modalità della costituzione stessa, ma,
soprattutto, presuppone una necessaria attività di
controllo preventivo inaudItae partes da parte del giudice
a seguito della sola costituzione, che – però – il diritto
positivo non prevede (e che avrebbe dovuto necessariamente
contemplare per giungere alla conclusione predicata, alla
stregua del pacifico principio di tassatività che deve
caratterizzare, nell’ambito processuale, i casi di
improcedibilità e, in genere, quelli che comportano
decadenze processuali). Solo in tal caso, infatti, si
potrebbe giustificare anche un’immediata declaratoria
d’improcedibilità, ma – alla stregua dell’assetto normativo
vigente – tale controllo può aver legittimamente luogo
successivamente, già alla prima udienza (e, invero, l’art.
350, comma secondo, cod. proc. civ., demanda a tale sede la
verifica della regolare costituzione del giudizio, con la
possibilità di disporre anche la rinnovazione della
notificazione dell’atto di appello: cfr., per questa

art. 348 cod. proc. civ., che ricollega la procedibilità

sottolineatura, Cass.

n. 6912 del 2012,

cit.) con la

visione, da parte del giudice, della copia notificata pur
se tardivamente depositata.
Soluzione, questa, alla quale si perviene anche in base
al principio di proporzionalità delle sanzioni processuali,

definitiva – quale la improcedibilità del gravame
riferita non al mancato compimento dell’attività
prescritta, ma allo svolgimento della stessa in forme
diverse da quelle prescritte, in tutti i casi in cui lo
scopo della instaurazione del contraddittorio nel giudizio
di appello sia raggiunto con la notificazione della
citazione in appello e il giudice del gravame sia posto in
grado, in sede di prima udienza, di verificare la
conformità della citazione notificata a quella depositata.
Alla declaratoria d’improcedibilità si potrebbe dunque
pervenire, all’esito del giudizio di appello, soltanto ove
fosse accertata una difformità tra la copia depositata (al
momento di iscrizione a ruolo, pur se priva di qualsivoglia
indicazione in ordine alla già avvenuta o richiesta
notifica alla controparte) e l’originale dell’atto di
impugnazione (successivamente depositato) ovvero, a
fortiori,

in caso di mancato deposito, non nel caso in cui

– come nella controversia in questione – non sia in
discussione il deposito dell’atto di appello notificato e
la conformità di questo a quello depositato al momento

apparendo invero del tutto non adeguata una sanzione

della costituzione; in questo caso, invero, si deve
ravvisare una mera irregolarità, non dando luogo il
deposito della copia in luogo dell’originale a una
costituzione priva dei requisiti essenziali al
raggiungimento dello scopo dell’atto e non comportando

dell’appellato, nei confronti del quale il contraddittorio
viene a radicarsi con la notifica dell’atto di
impugnazione.
Si deve solo aggiungere che questa interpretazione è
idonea ad offrire una soluzione al problema pratico del
ritardo nella consegna, da parte degli ufficiali
giudiziari, degli originali notificati, che altrimenti
finirebbe per far incorrere l’appellante in incolpevoli
tardive costituzioni.
Pertanto,
orientamento

in

consonanza

assolutamente

con

il

condivisibile

maggioritario

della

giurisprudenza di questa Corte (avallato anche
dall’interpretazione costituzionalmente orientata fatta
propria dalla giurisprudenza del Giudice delle leggi) e con
l’impianto normativo sistematicamente inquadrato che il
codice di rito riserva al giudizio di appello (e, in
particolare, alle forme, alla costituzione delle parti e
alla fase della trattazione, non disgiunte dalla
valorizzazione, quale imprescindibile corollario, del
principio della tassatività dei casi di improcedibilità),
– 13 –

essa, di per sé, alcuna violazione dei diritti difensivi

deve enunciarsi (come già statuito con la recente Cass. n.
6912 del 2012) – ravvisandosi la fondatezza del proposto
ricorso seguente principio di diritto:
«l’improcedibilità dell’appello è comminata dall’art. 348,
primo coma, cod. proc. civ. per l’inosservanza del termine

mancato rispetto delle forme di costituzione, sicché,
essendo il regime dell’improcedibilità di stretta
interpretazione in quanto derogatorio al sistema generale
della nullità, il vizio della costituzione tempestiva ma
inosservante delle forme di legge soggiace al regime della
nullità e, in particolare, al principio del raggiungimento
dello scopo, per il quale rilevano anche comportamenti
successivi alla scadenza del termine di costituzione; ne
consegue che non può essere dichiarato improcedibile
l’appello se l’appellante, nel costituirsi entro il termine
di cui agli artt. 165 e 347 cod. proc. civ., ha depositato,
all’atto dell’iscrizione a ruolo, una c.d. “velina”
dell’atto d’appello in corso di notificazione – priva,
quindi, della relata di notifica -, qualora egli abbia
depositato, successivamente alla scadenza del termine
medesimo, l’originale dell’atto notificato, conforme alla
‘’velina”».
4. Nel caso di specie, il Ministero dell’interno ha
depositato, in data 19 dicembre 2008, copia della citazione
dell’atto di appello priva di qualsiasi indicazione in
– 14 –

di costituzione dell’appellante, ma non anche per il

ordine alla notifica in corso. In data 10 novembre 2009, e
cioè alla prima udienza di trattazione, il Ministero
appellante ha poi provveduto a depositare l’originale
dell’atto con la prova della notifica, effettivamente
perfezionatasi il 22 dicembre 2008.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha quindi violato il
principio ora affermato, sicché il ricorso deve essere
accolto, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale
di Reggio Calabria (in composizione monocratica), in
persona di altro magistrato che, nel conformarsi al
principio di diritto sopraenunciato, provvederà, ai sensi
dell’art. 385 cod. proc. civ., anche sulle spese della
presente fase del giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte

accoglie

il ricorso;

cassa

la sentenza

impugnata e rinvia, anche per le spese del presente
giudizio, al Tribunale di Reggio Calabria in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione,
il 22 maggio 2013.

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