Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21434 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. I, 06/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 06/10/2020), n.21434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 109/2019 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in Roma Via Del Casale Strozzi,

31, presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Tartini Francesco;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

19/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 19.11.2018, ha rigettato la domanda di S.B., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, essendo la sua vicenda estranea alla fattispecie disciplinata dalla Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 (il ricorrente, di professione taxista, aveva riferito di essersi allontanato dal Senegal dopo che la sua auto si era rotta ed era rimasto senza un lavoro e senza che nessuno potesse far fronte al suo mantenimento).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione S.B. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha preliminarmente sollevato l’eccezione di elegittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, in relazione agli artt. 3,24,111 e 113 Cost., per la soppressione come mezzo di impugnazione dell’appello e in relazione all’art. 77 Cost., per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza.

2. La sollevata questione di legittimità Costituzionale è infondata sotto entrambi i profili.

Quanto alla soppressione del grado d’appello, va osservato che questa Corte, con ordinanza n. 27700 del 30/10/2018 (conf. ord. n. 28119 del 05/11/2018), la cui esaustiva motivazione deve essere richiamata integralmente, ha già statuito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., sul rilievo che è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

Quanto al dedotto difetto dei requisiti della necessità ed urgenza, questa Corte ha già statuito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime. (Sez. 1 -, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521 – 01).

3. Con il primo motivo è stata censurata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Critica il ricorrente la valutazione effettuata dal Tribunale di Venezia in ordine al percorso di integrazione sociale dallo stesso intrapreso (ritenuto inidoneo sul rilievo che il richiedente non aveva un’occupazione lavorativa in Italia).

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che il ricorrente non può sindacare una valutazione in fatto effettuata dal giudice di merito, ove la motivazione del Tribunale soddisfi il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014 e non si appalesi come motivazione apparente o perplessa o obiettivamente incomprensibile (vedi anche Cass. n. 3340 del 05/02/2019). In proposito, nel caso di specie, il Tribunale di Venezia ha coerentemente evidenziato che il richiedente si trovava in Italia in una condizione di disoccupazione sostanzialmente analoga a quella vissuta in Senegal, ove sarebbe comunque in grado di spendere le proprie competenze come meccanico ed autista, tenuto conto che viveva nella capitale Dakar.

In ogni caso, il ricorrente, nel formulare le sue censure, non considera che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il percorso di integrazione nel paese d’ accoglienza può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

5. Con il secondo ed il terzo motivo, illustrati dal ricorrente congiuntamente, è stata censurata la natura apparente della motivazione in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento alla ritenuta irrilevanza delle violenze subite in Libia, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis, per omessa collaborazione nell’accertamento dei fatti.

6. I suesposti motivi presentano profili di infondatezza ed inammissibilità.

Ritiene questo Collegio che non si appalesa affatto apparente la motivazione con cui il Tribunale di Venezia ha ritenuto che la rapina subita dal ricorrente in Libia non abbia determinato conseguenze tali da ingenerare un’attuale e specifica condizione di vulnerabilità.

Sul punto, neppure il ricorrente ha dedotto che la rapina subita nel paese di transito avesse compromesso la sua stabilità psicologica ed emotiva, provocandogli particolari patologie, di talchè l’allegata condizione di vulnerabilità non può ritenersi sussistente.

Quanto alla dedotta omessa collaborazione del giudice di merito nell’accertamento dei fatti, tale doglianza si appalesa estremamente generica e come tale inammissibile.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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