Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21431 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 15/09/2017, (ud. 21/06/2017, dep.15/09/2017),  n. 21431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. est. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

B.P., rappr. e dif. dagli avv. Antonio Vincenzi e Fabrizio

Capucci, elett. dom. in Roma, presso lo studio avv. G. Brancadoro,

in via Borgognona n. 47, come da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., rappr. e dif.

dall’Avvocatura Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi

uffici, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza Comm. trib. reg. Emilia Romagna

20.4.2010, n. 51 in RG 3400/08;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 21 giugno 2017 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. B.P. impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale Emilia Romagna 20.4.2010, n. 51 in RG 3400/08 che, respingendo il suo appello avverso la sentenza C.T.P. Forlì n. 48/06/2008 in tema di impugnazione di avvisi di accertamento emessi per IVA, IRPEG e IRAP per il 2004 – con cui l’Ufficio locale aveva rideterminato il reddito del contribuente, non dichiarato per l’anno, in base ai consumi di energia e ai salari corrisposti nella gestione del ristorante di cui era titolare – ne dichiarò la legittimità;

2. osservò la C.T.R. che, ferma la tempestività del ricorso nei 150 giorni di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, anche l’accertamento era congruo, poggiando il volume d’affari ricostruito (150 mila Euro) su valori dedotti dalle dichiarazioni degli anni precedenti e considerando solo il costo-lavoro dei 4 dipendenti risultati a libro paga (di contro ai complessivi 10, scoperti da ispezione dell’Ufficio provinciale del lavoro nel 2006), conseguendone spese e costi per 127 mila euro ed un reddito d’impresa calcolato in 23 mila euro;

3. il ricorso è articolato su sei motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. la memoria del ricorrente è inammissibile, in quanto intempestiva rispetto al limite dei 10 giorni di cui all’art. 380 bis c.p.c., n. 1;

2. con i motivi, il ricorrente ha dedotto: a) il vizio di motivazione, non avendo le commissioni tenuto in conto la documentazione contabile e fiscale prodotta dal contribuente, in particolare conferendo rilievo unico al costo del lavoro e dunque all’incostanza nel tempo della relazione con i ricavi, specie a fronte della cessazione dell’attività nel 2006 ed esagerando nel ricarico; b) la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39-41, essendo erroneo l’accertamento induttivo che ha preso a base i redditi degli anni precedenti e non elementi dell’anno accertato; c) violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, oltre che vizio di motivazione, avendo la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul mancato riconoscimento dell’IVA in detrazione, regolarmente annotata e della mancata considerazione delle scritture contabili, non richieste dall’Ufficio prima dell’accertamento; d) ulteriore violazione dell’art. 112 c.p.c., con riguardo alla disciplina del D.P.R. n. 633 del 1972, nonchè vizio di motivazione, avendo la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla erogazione della sanzione per IVA e prima l’Ufficio mai chiesto le scritture del contribuente;

3. il primo motivo è inammissibile, posta in primo luogo l’improprietà del mezzo scelto, il vizio di motivazione, di contro alla violazione di legge, rispetto ai diversi metodi di riaccertamento del reddito utilizzabili dall’amministrazione nelle ipotesi, come pacifico nella specie, di omessa dichiarazione dei redditi ed IVA per l’anno 2004; in secondo luogo, va ribadito che proprio “nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, per cui incombe sul contribuente l’onere della prova contraria, che, però, non essendo tipizzata, può essere offerta con qualsiasi mezzo idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale dell’elemento valutato” (Cass. 7258/2017); sul punto, il ricorrente si è limitato a contrapporre presunti limiti all’apprezzamento di fatto condotto dalla C.T.R., valutazione che, sorretta da motivazione, è insindacabile in questa sede, tenuto conto della logicità evidente del rinvio al costo del lavoro (peraltro calcolato nella minima misura di 4 dipendenti) e dell’energia riferiti agli analoghi dati degli anni anteriori;

4. il secondo motivo è inammissibile, poichè nell’omettere di riportare gli elementi salienti dell’avviso di accertamento, ne riassume in modo incompleto il tenore, comunque ripreso nella sentenza (e trascritto dal controricorrente), emergendo invece e da esso che proprio un elemento fondamentale del 2004 (il dato occupazionale) era stato considerato, congiuntamente ai dati del triennio pregresso, in piena conformità alla più ampia latitudine permessa all’Ufficio, come ricordato al punto precedente, dall’omessa dichiarazione annuale;

5. il terzo e quarto motivo sono inammissibili, oltre che per improprietà del mezzo (Cass. 22759/2014, 13482/2014), in quanto, se va ribadito il principio per cui “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per, un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchè, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili” (Cass. s.u. 17757/2016), proprio tale arresto consente di rinvenire i limiti del ricorso; la censura per un verso non indica se e quando il contribuente ha attuato la citata pretesa mediante lo strumento della dichiarazione degli anni successivi e, per altro verso, non riporta gli estremi essenziali dei movimenti dell’anno 2004 idonei a giustificare la sussistenza del credito IVA in detrazione, avendo ad essi e piuttosto l’Ufficio contrapposto un volume d’affari ricostruito per un diverso valore e corrispondentemente la C.T.R. deciso con pronuncia implicita avente funzione regolativa, oltre che cognitiva, anche del debito IVA, riclassificato in base all’accertamento;

6. il quinto e il sesto motivo sono inammissibili, ove il ricorrente ha, da un lato, dedotto come vizio di motivazione ovvero violazione di legge un vizio della sentenza che andava invece censurato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (come per i motivi sopra trattati) e, dall’altro, non ha considerato la natura di pronuncia implicita assunta dalla sentenza della C.T.R., avendo essa ribadito i presupposti dell’imposizione per come accertati e con essi condividendo il fondamento delle sanzioni;

7. il ricorso va pertanto rigettato, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800, oltre alle eventuali spese prenotate a debito.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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