Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21430 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 17/10/2011), n.21430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21484-2007 proposto da:

M.L., S.P., L.F., G.

C., C.L., tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO,

che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

CAPITALIA S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 22779-2007 proposto da:

CAPITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio

dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta

procura notarile in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.C., M.L., S.P., C.

L., L.F., tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO,

che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5437/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/08/2006 R.G.N. 7129/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato VALLEBONA ANTONIO;

udito l’Avvocato TIZIANA SERRANI per delega PESSI ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per rigetto del ricorso principale,

assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27/6 – 29/8/06 la Corte d’appello di Roma rigettò l’impugnazione principale proposta da L.F., L. M., C.L., Cu.Ca., S.P., G.C., A.R., M.L., Ca.

G.P., B.A. e T.S. avverso la sentenza n. 9447/04 del giudice del lavoro del Tribunale di Roma, con la quale era stata rigettata la loro domanda diretta alla condanna della Capitalia s.p.a al pagamento delle somme pretese a titolo di differenze per compensi professionali, oltre che a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, all’immagine, alla dignità ed alla reputazione; nel contempo, la Corte territoriale rigettò anche l’appello incidentale svolto dalla Capitalia s.p.a in ordine all’eccepito difetto della sua legittimazione passiva.

In particolare il giudice d’appello esaminò preliminarmente l’eccezione del difetto di legittimazione, ritenendone l’infondatezza sulla scorta della considerazione che le azioni proposte nei confronti dell’istituto bancario erano riferibili a contratti di prestazione d’opera professionale intercorsi con quest’ultimo, per cui gli appellanti avevano agito come periti di fiducia dell’istituto di credito e non come periti scelti dai clienti che chiedevano al predetto istituto i finanziamenti. In merito alla richiesta di adeguamento dei compensi di tali periti il giudice d’appello osservò che i rapporti dedotti in giudizio erano riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 2230 c.c. in materia di prestazioni d’opera intellettuale e che la norma di cui al successivo art. 2233 c.c. poneva una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai criteri di liquidazione, indicando in primo luogo l’accordo delle parti, per cui il ricorso ai criteri sussidiari derivanti dalle tariffe professionali, dagli usi o dai pareri delle associazioni professionali era precluso allorquando, come nella fattispecie, esisteva un previo accordo delle parti, immune da vizi del volere, riferito alle tariffe vigenti all’interno della banca committente.

Infine, anche la domanda risarcitoria era infondata, posto che il comportamento della banca, concretizzatosi nella cancellazione dei nominativi dei ricorrenti dall’elenco dei periti, con formazione di un nuovo elenco, non appariva contrario ai canoni di correttezza e buona fede, versandosi nell’area della libera recedibilità, ragione, questa, a far ritenere, altresì, insussistente il lamentato danno patrimoniale, dal momento che il rischio economico era proprio dei rapporti di collaborazione autonoma. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso S.P., G.C., C. L., M.L. e L.F. i quali affidano l’impugnazione ad un solo motivo di censura.

Resiste con controricorso la Capitalia s.p.a che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato al cui accoglimento si oppongono i ricorrenti. Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con l’unico motivo di censura i ricorrenti di cui in epigrafe denunziano la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1418 c.c., art. 1419 c.c., comma 2, artt. 1339 e 2223 c.c., della L. 2 marzo 1949, n. 143 e dei conseguenti D.M. 21 agosto 1958 (art. 6) e D.M. 11 giugno 1987 per la tariffa professionale degli ingegneri ed architetti, nonchè della L. 2 marzo 1949, n. 144 e dei conseguenti D.M. 7 settembre 1988, n. 407 e D.M. 6 dicembre 1993, n. 596 per la tariffa professionale dei geometri, per avere il giudice d’appello erroneamente affermato che “la violazione dei precetti normativi che impongono la inderogabilità dei minimi tariffari non comporta la nullità ex art. 1418 c.c. del negozio in deroga” che sarebbe sempre e comunque valido secondo la disposizione dell’art. 2223 c.c..

A conclusione del motivo essi formulano il seguente quesito di dritto “Dica codesta ecc.ma Corte Suprema se per fattispecie anteriori al 2006 i patti tra professionista e cliente in violazione dei minimi inderogabili di tariffa siano validi, come erroneamente sostenuto dalla sentenza impugnata, oppure siano nulli con sostituzione automatica del minimo inderogabile, come sostenuto nel presente ricorso”.

In sostanza, i ricorrenti contestano l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale sarebbe valido il patto riduttivo del minimo inderogabile della tariffa professionale e ritengono, invece, che, prima che entrasse in vigore della L. 4 agosto 2006, n. 248 di conversione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 che aveva abrogato le precedenti norme sulle tariffe minime inderogabili, l’inderogabilità dei minimi tariffar comportava di per sè la nullità di ogni patto contrario, con conseguente sostituzione di diritto del minimo inderogabile alla clausola nulla ex art. 1419 c.c., comma 2, e art. 1339 c.c..

Il motivo è infondato.

Invero, la Corte territoriale, con argomentazione assolutamente congrua ed immune da vizi di carattere logico-giuridico che la sottraggono ai rilievi di legittimità, oltre che rispondente ai principi già affermati in materia da questa Corte, è pervenuta al convincimento per il quale i rapporti dedotti in giudizio erano riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 2230 c.c. in materia di prestazioni d’opera intellettuale, tale essendo l’attività svolta dagli appellanti, e che la norma di cui al successivo art. 2233 c.c. poneva una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai criteri di liquidazione: invero, era indicato in primo luogo l’accordo delle parti, con la conseguenza che il ricorso ai criteri sussidiari dell’applicazione delle tariffe professionali, degli usi o dei pareri delle associazioni professionali era precluso allorquando, come nella fattispecie, esisteva un previo accordo delle parti, immune da vizi del volere, riferito alle tariffe vigenti all’interno della banca committente. Come è stato, infatti, spiegato da questa Corte (Cass. sez. 2 n. 1223 del 28/1/2003) “il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli ingegneri, quello contenuto nella L. 5 maggio 1976, n. 340) non importa la nullità, ex art. 1418 c.c., comma 1, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale.” Si è, altresì, statuito (Cass. sez. 2 n. 7823 del 4/4/2006) che “l’inderogabilità dei minimi tariffari sancita dalla legge professionale non comporta l’invalidità della rinuncia, totale o parziale, al compenso che sia motivata da particolari esigenze etico – sociali o di liberalità. La rinuncia può essere anche tacita e desumibile da comportamenti non equivoci e concludenti, incompatibili con l’intenzione di avvalersi del relativo diritto”.

Pertanto, il ricorso principale va rigettato.

Resta, di conseguenza, assorbito il ricorso incidentale, proposto solo in via condizionata avverso la decisione di rigetto dell’eccezione del difetto di legittimazione passiva della banca appellata.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno poste a loro carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3500,00 per onorario, Euro 60,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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