Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21430 del 10/10/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21430 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso 2678-2013 proposto da:
ANM – AZIENDA NAPOLETANA MOBILITA’ SPA 06937950639
in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96,
presso lo studio dell’avvocato LUCA DI PAOLO, rappresentata e
difesa dall’avvocato FRANCESCO CASTIGLIONE, giusta delega a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 10/10/2014

–•■•■

…..~•■■••■”^

DE VITA VINCENZO, elettivamente domiciliato in ROMA, presso
la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.
RICCARDI VINCENZO, giusta procura a margine del controricorso;
– contro:icor-i-ente –

NAPOLI del 7.12.2011, depositata il 26/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
dell’1/07/2014 dal Consigliere Relatore Doti ANTONELLA
PAGETTA;
udito per la ricorrente l’Avvocato Francesco Castiglione che si riporta
agli scritti.
SVOLGIMENTO DEI. PROCESSO
Il lavoratore intimato nel presente giudizio di legittimità, dipendente
della Azienda Napoletana Mobilità S.p.A. (A.N.M.) come conducente
di autobus di linea senza l’ausilio del bigliettaio, chiedeva al Tribunale
del lavoro di Napoli che venisse dichiarato il suo diritto alla
corresponsione mensile della voce “agente unico” in misura pari a 20
minuti della retribuzione normale di autista di 7 livello con tre scatti di
anzianità a far tempo dal 1990 (indennità che non era stata adeguata
nel tempo) e condannata l’azienda alle differenze retributive da
quantificarsi in separato giudizio. L’A.N.M. si costituiva deducendo la
infondatezza nel merito della pretesa azionata.
Il Tribunale accoglieva la domanda.
La decisione era confermata dalla Corte di appello di Napoli
La Corte territoriale ricostruiva in motivazione la complessa vicenda
contrattuale conseguita al processo di soppressione della figura del
bigliettaio ed alla conseguente istituzione della figura dell’agente unico.

Ric. 2013 n. 02678 sez. ML – ud. 01-07-2014
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avverso la sentenza n. 7744/2011 della CORTE D’APPELLO di

Rilevava, poi, che la Giunta regionale campana aveva nel 1986
determinato l’indennità spettante (all’agente unico per il fatto di essere
l’unico operatore presente nel condurre l’autobus, cui si aggiunge
un’ulteriore indennità nel caso in cui lo stesso agente “unico” operi

un autista di settimo livello con 3 scatti di anzianità, all’epoca
corrispondenti a L. 2.397 lorde giornaliere. Nell’Accordo regionale del
1988 fu prevista la detta indennità nella misura della paga pari a 20
minuti spettanti ad un autista di settimo livello con 3 scatti di anzianità
dall’1/1/1990 pur nella consapevolezza che gli inquadramenti erano in
corso di modifica per via della ricordata soppressione generalizzata della
figura di bigliettaio. Per la Corte di appello era da escludere che si
volesse cristallizzare l’importo nella misura fissata all’1/1/1990 senza
tener conto della successiva evoluzione contrattuale e retributiva, come
peraltro già stabilito da questa Corte di cassazione con le decisioni n.
3775/2004 e 4257/2004 (in cui era stato esaminato il caso in cui l’agente
percepiva le due indennità operando anche da bigliettaio), affermando
principi mutuabili perfettamente anche alla fattispecie in esame. Ad
avviso dei giudici di appello, inoltre, il comportamento tenuto dalle parti
sociali non poteva togliere efficacia ad un disposto contrattuale
chiarissimo ed mequivoco.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’A.N.M. con tre
motivi.
Resistono i lavoratori con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società denuncia: violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 18 Accordo Nazionale 2.10.1989, e dell’art. 13
Ric. 2013 n. 02678 sez. ML – ud. 01-07-2014
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anche da bigliettaio) nella misura della paga pari a 20 minuti spettanti ad

M1111•111.11~

NEW •

dell’Accordo Nazionale 11.4.1994, violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 2697, 1° e 2° comma , cod civ., 112 , 167, 1° e 2′ comma,
416 , 2° e 3° comma, 345 1°, 2° e 3° comma , 436, l’ e 2° comma , 437
2° e 3° comma cod proc civ.. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) ed ancora

decisivo per il giudizio , omessa pronuncia/ esame su un documento
decisivo, ritualmente prodotto da A.N.M. in prime cure, .omessa, e/o,
insufficiente , e/o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo ai
fini della risoluzione della controversia (art 360, nn 4 e 5, cod. proc.
civ.) costituito dalla portata dell’accordo nazionale del 2/10/1989. Si
duole del fatto che la Corte territoriale non abbia tenuto conto della
decisiva portata, ai fini clan risoluzione della controversia de qua,
rivestita dall’Accordo nazionale del 2/10/1989 (che al punto 18. così
recita: <>) e dall’Accordo
Nazionale 1.4.1995. L’art. 13 del detto Accordo così dispone << Fermo restando quanto disposto per le aziende del settore dall'art. 7 della legge n. 4389e il C.C.N.L. avrà scadenza il 31 dicembre 1995. Viene concordato in lire 150.000 lorde mensili cond ecorrenza dal 1é ottobre 1995. Gli importi mensili delle retribuzioni conglobate risultano quindi aggiornati secondo l'allegata tabella. Per effetto degli aumenti Ric. 2013 n. 02678 sez. ML -4- - uci. 01-07-2014 insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, ~1~11.111~1. ! 91, IIIMIE11111111~ degli elementi retributivi di cui al presente accordo rientranti nella retribuzione normale, sono soggetti a rivalutazione esclusivamente i seguenti istituti A.P.A., lavoro straordinario, festivo, notturno, indennità di trasferta e di diaria ridotta, TFR. Ogni altro compenso nazionale e cifra fissa con il riproporzionamento della percentuale medesima sulla relativa base di calcolo>>,
Parte ricorrente censura la decisione per avere ritenuto non utilizzabile e
non acquisibile le fonti collettive costituite dall’Accordo nazionale del
2.10.1989 e dall’Accordo nazionale dell’11.4.1995 , aventi rilievo
decisivo, al fine del decidere
2. Con il secondo motivo la società denuncia: “Violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. dv. in riferimento
all’interpretazione dell’Accordo del 15 marzo 1988 (art. 360, n. 3, cod.
proc. civ.)”. Assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte
territoriale dall’indicato Accordo regionale non emergeva la volontà
delle parti contrattuali di volere determinare un meccanismo di
adeguamento automatico per il futuro. L’Accordo del 1988 era un dato
empirico, non un riferimento parametrico; era un limite massimo tenuto
conto della Delib. di Giunta del 1986; la qualifica di riferimento non era
più presente nel sistema di inquadramento del personale dell’A.N.M..
Nessuna protesta era poi intervenuta dopo la denegazione del preteso
diritto per circa 15 anni.
3. Con il terzo motivo la società denuncia: “Violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 4, comma 1, lett. a L. Reg. Campania 25/1/1983
come modificata dalla L.R. 15 marzo 1984, n. 13 (art. 360, n. 3, cod.
proc. civ.) nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio,
già oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)”.
Evidenzia che il compenso era stato definito in cifra fissa, il che
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ud. 01-07-2014

aziendale, eventualmente espresso in percentuale, resta confermato in

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comprovava come non fosse destinato a mutare in via automatica, ma
certamente non era stato escluso che potesse aumentare per via di una
nuova determinazione. Nel 1990 vi era stato un aumento dovuto però al
convergere all’1/1/1990 di A.N.M. e C.T.P. verso un unico importo

standards dei servizi resi dalla aziende per il trasporto pubblico urbano.
4.11 primo motivo è infondato.
Parte ricorrente incentra i propri rilievi sulla omessa considerazione
da parte della Corte territoriale dell’accordo nazionale del 2/10/1989 il
cui contenuto (“snodo-chiave” della presente causa) consentirebbe di
ritenere chela volontà delle parti collettive era nel senso della
“cristallizzazione” in cifra fissa dell’emolumento considerato. Tuttavia è
la stessa società ad ammettere che a tale accordo era stato fatto
riferimento solo in sede di ricorso in appello, come rilevato nella
sentenza impugnata.
In via preliminare, occorre ricordare che, come di recente chiarito da
Cass. n. 6335 del 19 marzo 2014 e da Cass. n. 7385 del 28 marzo 2014,
la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei “contratti o accordi
collettivi di lavoro” è stata aggiunta dall’art. 2 d.lgs. n. 40/2006
(sostitutivo del precedente testo dell’art. 360 cod. proc. dv. ed in
particolare modificativo del suo primo comma, n. 3) a quella delle
“norme di diritto”: così parificando i primi alle seconde sul piano
processuale.
E tale disposizione, che si accompagna all’introduzione dell’art. 420
bis cod. proc. civ. (ad opera dell’art. 18 dIgs. cit.), in coerente simmetria
con quanto già previsto dagli artt. 63, quinto comma, e 64 d.lgs.
165/2001, in materia di controversie nel lavoro pubblico
contrattualizzato, segna il punto di approdo del movimento di distacco
(sul piano processuale) del contratto collettivo dallo schema del negozio
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ricavato da quello che era stato per anni il comune indicatore dei costi

11111111151~1~~~~

giuridico con conseguente allontanamento clan’ “assolutismo legislativo”
ed estensione della funzione nomofilattica della Corte di cassazione a
quella che è stata definita quale “tutela dello svolgimento ragionevole e
ragionevolmente prevedibile dell’intero ordinamento della collettività, in

Ciò comporta, come è stato precisato, la necessità di ascrivere la
doglianza all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione
senza (più) la necessità di indicazione, a pena di inammissibilità della
doglianza stessa, del criterio ermeneutico violato (artt. 1362 ss. cod.
civ.), così come analoga indicazione non è necessaria per le altre norme
di diritto (con riferimento, in particolare, all’art. 12 disp. prel. cod. civ.) cfr. le citate Cass. n. 6335 del 19 marzo 2014 e da Cass. n. 7385 del 28
marzo 2014 che, con un percorso argomentativo coerente con
l’allontanamento dall’assolutismo legislativo” di cui sopra si è detto, si
pongono, invero, in contrasto rispetto al diverso orientamento espresso
da Cass. nn. 9070 e 9054 del 15 aprile 2013, Cass. n. 17168 del 9 ottobre
2012 e da Cass. n. 13242 del 31 maggio 2010, secondo cui
l’interpretazione di una nonna contrattuale, com’è quella contenuta in
un contratto collettivo di diritto comune, è operazione che si sostanzia
in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito ed
incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti ai criteri legali di
ermeneutica o ad una motivazione carente o contraddittoria -.
Di certo la parificazione, sul piano processuale, dei “contratti o
accordi collettivi di lavoro” alle “norme di diritto” ad opera dell’art. 2
d.lgs. n. 40/2006 comporta che la cassazione per violazione del c.c.n.l.
dà luogo all’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 384,
primo comma, cod. proc. civ. ed alla decisione della causa nel merito, ai
sensi del secondo comma, quando non siano necessari ulteriori
accertamenti di fatto.
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tutte le sue espressioni normative”.

A tale enunciazione la Corte di legittimità può pervenire anche
esaminando altre clausole (diverse da quella specificamente oggetto di
rilievo) del c.c.n.l. ovvero attraverso una interpretazione mediante
collegamento con altri contratti collettivi, conclusi in tempi diversi.

dalla Corte di legittimità solo in quanto ufficialmente pubblicato (così i

c.c.n.l. del pubblico impiego). Per il resto è necessario che la norma
pattizia (oggetto di diretta interpretazione ovvero elemento
interpretativo esterno) non solo risulti ritualmente acquisita al fascicolo
di parte nel giudizio di merito ma, laddove il ricorso per cassazione si
fondi su di essa, che venga anche prodotta in uno con il ricorso stesso
(art. 360, n. 4, cod. proc. civ.).
Fatte queste premesse va ritenuto, alla luce delle stesse, che il
motivo, per come formulato, superi il vaglio di ammissibilità (non
essendo, peraltro, censurata una erronea interpretazione da parte del
giudice di merito della norma pattizia denunciata bensì lamentata
l’assenza di ogni considerazione di tale norma) e rappresenti, altresì, un
elemento di novità rispetto alle questioni esaminate nelle decisioni di
questa Corte citate nella sentenza impugnata.
Va, poi, considerato che se pure è vero che la Corte di legittimità,
nell’esercizio del potere di interpretare i contratti collettivi nazionali,
deve potere disporre di tutti gli elementi occorrenti per la ricostruzione
della volontà contrattuale, per decidere una volta per tutte
sull’interpretazione delle clausole, onde assicurare quell’uniformità e
certezza che è lo scopo dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., come
attualmente formulato, tuttavia vi è un diverso atteggiarsi del concetto di
“conoscibilità” della fonte normativa (quanto ad esistenza e a
contenuto) – che, in ragione delle sopra espresse considerazioni, non
sembra possa essere considerato più un “fatto”, almeno nel giudizio di
Ric. 2013 n. 02678 sez. ML – od. 01-07-2014
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Il suddetto materiale interpretativo è tuttavia conoscibile d’ufficio

cassazione -, da parte del giudice esclusivamente con mezzi propri (iura
novit curia) a seconda che si versi in una ipotesi di violazione del c.c.n.l.
privatistico rispetto ad una in cui le questioni attengano ad un c.c.n.l. del
pubblico impiego. Ed infatti, a differenza della legge e dei contratti

c.c.n.l. privatistico non è conoscibile se non con la collaborazione (onere
di allegazione e di produzione) delle parti. Rilevante è, dunque, che la
fonte normativa possa essere conosciuta dal giudice a prescindere
dall’iniziativa di parte la quale, laddove necessaria (come nel caso del
c.c.n.l. privato), resta assoggetta alle regole processuali sulla
distribuzione dell’onere della prova e sul contraddittorio.
Se è vero, poi, che ai sensi dell’art. 420, comma 5, cod. proc. dv. il
giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e
accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa, tale

potere non può che essere esercitato in base alle allegazioni e deduzioni
delle parti, restando la relativa eventualità pur sempre nell’ambito di
applicazione del principio dispositivo in quanto è sempre onere delle
parti che vogliono far valere l’applicazione di un determinato contratto
collettivo, di provarne l’esistenza e di produrlo in giudizio (si tratta,
dunque, di una discrezionalità limitata alla rilevanza del contratto o
accordo collettivo ai fini della decisione e solo il giudizio positivo di
rilevanza dà luogo ad un dovere di acquisizione).
Esaminati i rilievi della ricorrente alla luce degli indicati principi,
deve, allora, ritenersi che, nello specifico, alla suddetta “conoscibilità”
dell’ accordo nazionale del 2/10/1989 e dell’11/4/1995 fosse di
ostacolo la assolutamente tardiva allegazione e deduzione e la originaria
mancanza di ogni contraddittorio in ordine alle questioni sollevate in
relazione agli stessi.

Ric. 2013 n. 02678 sez. MI – ud. 01-07-2014
-9-

collettivi del pubblico impiego (pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale), il

Nessun rilievo può essere, dunque, mosso alla Corte territoriale che
ha valutato di non prendere in considerazione gli accordi predetti e di
decidere la causa sulla base delle deduzioni, in fatto ed in diritto, così
come delineate e delimitate dalle posizioni assunte dalle parti nel corso

Né questa Corte può esaminare il contenuto dei suddetti accordi in
virtù del principio iura novit arda che, come detto, presuppone una
conoscibilità della fonte normativa rispetto alla quale non risultino di
ostacolo preclusioni allegative e deduttive già verificatesi.
5. Gli altri due motivi di ricorso sono infondati alla luce
dell’orientamento di questa Corte già espresso nelle decisioni n. 3775 del
25 febbraio 2004 e a 4257 del 2 marzo 2004 (citate nella sentenza
impugnata) e nella più recente Cass. n. 13406 del 29/05/2013.
Il thema decidendum, prescindendo dai rilievi di cui sopra si è detto, é
se l’Accordo regionale del 15 marzo 1988 abbia offerto un parametro
per determinare il compenso spettante al conducente unico o invece
abbia indicato una cifra determinata, incrementabile ma solo con una
nuova deliberazione ad hoc. La Corte di appello, dopo aver ricostruito
l’evoluzione del sistema contrattuale e retributivo del settore a seguito
del varo della figura dell’agente unico” (eventualmente con mansioni
anche di bigliettaio) e ricordato che la L.R. n. 13 del 1983 e la Delib.
Giunta campana 2 dicembre 1986, istituenti limiti di bilancio (da tenere
in considerazione), non potevano incidere nella determinazione in
concreto dell’ammontare dell’indennità concessa all’agente unico
demandata alla contrattazione collettiva, ha poi riprodotto il tenore
letterale del citato Accordo regionale del 15 marzo 1988 nel quale era
stato pattuito che <>. Per la Corte
territoriale le parti collettive non potevano non sapere (anche per
l’incontro del 2 marzo 1986 presso il Ministero dei Trasporti e per
l’Accordo nazionale del 24 aprile 1987 che disciplinava in sede di prima

livello) del mutamento degli inquadramenti in atto con la soppressione
della qualifica di bigliettaio: se pure si era utilizzata la terminologia
contrattuale recepita dalla Giunta regionale nel 1986 era evidente che si
fosse voluto far riferimento ai nuovi inquadramenti ormai maturati ed
operativi al momento dell’Accordo. La Corte territoriale ha, così,
sottolineato che le somme erogate dal 1990 non erano computate sul
compenso di L. 2397 previsto dalla Delib. del 1986, ma sul compenso di
L. 3280 “corrispondente esattamente ai venti minuti di retribuzione del
lavoratore che, precedentemente inquadrato come autista del 7 livello
con tre scatti di anzianità, alla data dell’1/1/1990 percepiva la maggiore
retribuzione relativa all’anno in corso”. Per la Corte, dunque, non vi era
stata alcuna cristallizzazione del compenso con riferimento a quanto
stabilito dalla Delibera del 1986, avendo voluto le parti aggiornare il
compenso con decorrenza 1/1/1990 tenuto conto dei mutamenti
intervenuti nella contrattazione collettiva e del paramento scelto già nel
1986 (venti minuti di retribuzione di un agente), con quella determinata
qualifica e quella determinata anzianità di servizio. Ad avviso dei giudici
partenopei, si era insomma consentito al compenso di lievitare, tenuto
conto de1l2 fisiologica dinamica salariale, ma solo nei limiti stabiliti dal
paramento già ricordato. La Corte territoriale ha anche ricordato le due
già citate sentenze di questa Corte (Cass. n. 3775/2004 e Cass. n.
4257/2004) che hanno affermato principi rafforzativi dell’orientamento
come sopra espresso in una controversia in cui conducenti che
svolgevano mansioni anche di bigliettaio reclamavano il compenso di 20
Ric. 2013 n. 02678 sez. ML – ud. 01-07-2014
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applicazione il passaggio alla qualifica di agente di movimento di quinto

minuti più un altro compenso di venti minuti per il “doppio incarico”.
In tali decisioni questa Corte di legittimità ha affermato che

il

riferimento a venti minuti di paga oraria è un tipico criterio di
determinazione parametrica sensibile alle variazioni della retribuzione

Pertanto l’interpretazione della clausola dell’Accordo regionale accolta
dalla Corte di appello è congruamente e logicamente motivata e
risponde ai canoni ermeneutici codidstid posto che parte da una
interpretazione di natura letterale (come è riconosciuto nello stesso
motivo) cui aggiunge una valutazione di natura sistematica che tiene
conto dell’evoluzione contrattuale derivata da fasi di ristrutturazione
produttiva che aveva portato alla creazione dell’agente unico” e da
ultimo è sorretta da elementi direttamente tratti dalla prima applicazione
dell’Accordo del 1988 che portò ad una commisurazione del compenso
riferito al parametro scelto ma aggiornato alla luce dell’evoluzione
salariale e di inquadramento intervenuta dal 1.988 al 1990. A ciò si deve
aggiungere che la soluzione offerta appare coerente con i principi già
fissati da questa Corte in controversie di natura analoga riguardanti
l’istituzione dell’agente unico e la determinazione del suo compenso (nel
caso in cui avesse operato anche da bigliettaio). La soluzione
interpretativa adottata secondo la quale si è scelto un riferimento
parametrico per stabilire il compenso e non si è invece stabilito un mero
dato empirico da rinegoziare e rideterminare ha, quindi, alla base
elementi di natura letterale, sistematica, legati alla prassi applicativa
dell’Accordo in parola ed infine trova conforto in principi già affermali
da questa Corte perfettamente applicabili alla fattispecie (molto simile
nei suoi contorni) in esame.
Quanto alle ulteriori doglianze, va rilevato, sempre in conformità a
quanto ritenuto da Cass. n. 13406 del 29/05/2013, che non appare
Ric. 2013 n. 02678 sez. ML – ud. 01-07-2014
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parametro, al pari di quello espresso in misura percentuale.

sussistere alcuna violazione della disciplina regionale che fissava solo un
limite massimo per il 1986, poi non più aggiornato attraverso Delibere
di Giunta; ad avviso della Corte territoriale – per le ragioni già dette l’Accordo del 1988 ha introdotto un riferimento parametrico per il

di appello – nella prima applicazione dell’Accordo stesso determinandosi
l’importo già riferito al valore dei “20 minuti”, come stabilito nel 1986
sulla base di un inquadramento non più operante, secondo un principio
di adeguamento automatico (al pari di quanto riscontrato da questa
Corte nei precedenti già citati e che riguardano la medesima vicenda di
un nuovo inquadramento professionale del personale addetto alla guida
di automezzi – ed al soppresso servizio di biglietteria -), globalmente
considerato. Del resto la lettera della clausola contrattuale – ha
correttamente osservato la Corte – milita senz’altro per l’indicazione di
un parametro piuttosto che di una mera cifra fissa in quanto, se davvero
le parti contrattuali avessero voluto indicare un compenso in cifra fissa e
cristallizzarlo sino a successive determinazioni, l’avrebbero indicato
direttamente in una certa somma senza passare attraverso formule di più
complessa e inevitabilmente controversa lettura.
6. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
7. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in
base a quanto previsto dal d.m. n. 55 del 10 marzo 2014 (art. 28),
devono essere poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente

a1l2

rifusione delle spese che liquida in curo 4000,00 per compensi
professionali, in curo 100,00 per spese documentate, oltre accessori e
spese forfettizzate nella misura del 15%.

Ric. 2013 n. 02678 sez. ML ud. 01-07-2014
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compenso che trova riscontro – come hanno accertato gli stessi giudici

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 ° luglio 2014.

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