Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2143 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 30/01/2020), n.2143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filipp – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21571/2015 R.G. proposto da:

I.L.CO. SRL Industria Lavorazione Carni Ovine, (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dall’Avv. SALVATORE TAVERNA e dall’Avv. ANNA STEFANINI,

elettivamente domiciliato presso in Roma, Viale Regina Margherita,

262/264;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (C.F.), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (C.F.), in persona del Direttore

pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Friuli-Venezia Giulia, n. 322/11/14, depositata il 22 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 ottobre

2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La contribuente ebbe ad impugnare, unitamente al terzo C.P., alcuni avvisi di accertamento e rettifica relativi a bollette di importazione doganale del 1995, con cui era stato riscontrato che importazioni di capi di bestiame avvenute in esenzione daziaria in quanto di origine ungherese, si erano rivelate di origine rumena, con recupero di prelievi agricoli e IVA all’importazione;

che il ricorso, rigettato in primo grado, veniva accolto in grado di appello dalla CTR del Friuli-Venezia Giulia quanto al terzo C. e veniva rigettato quanto alla odierna ricorrente, sul presupposto che la società contribuente era il soggetto dichiarante e che non si era verificata la decadenza triennale dall’accertamento;

che la Corte di Cassazione, con sentenza del 19 febbraio 2013 n. 8720, dichiarava l’inammissibilità del ricorso del terzo, rigettava il ricorso principale proposto dalla odierna ricorrente e accoglieva il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate per insufficiente motivazione, rilevando come la dedotta estraneità del terzo C. rispetto al disegno criminoso per il quale lo stesso era stato tratto a giudizio unitamente ad altri soggetto, potesse essere messa in discussione dal fatto che per alcune ipotesi criminose il terzo C. non sarebbe stato assolto ma ne sarebbe stata pronunciata la prescrizione;

che, a seguito di ricorso in riassunzione proposto dalla odierna società contribuente, la CTR del Friuli-Venezia Giulia, con sentenza in data 22 luglio 2014, ha rigettato in sede di rinvio il ricorso in riassunzione proposto dalla contribuente I.L.C.O., rilevando come il ricorso in riassunzione è stato proposto dalla contribuente e non da parte dell’Ufficio, che era risultato vittorioso nel giudizio di legittimità, osservando inoltre come non fosse possibile un nuovo esame in fatto per il principio del ne bis in idem;

che la CTR ha, in ogni caso, rigettato la “richiesta implicita dell’Ufficio sulla rilevanza dell’impugnato avviso di accertamento/rettifica anche nei confronti di C.P.”;

che propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63, e art. 392 c.p.c., nella parte in cui ha sentenza del giudizio di rinvio ha rigettato il ricorso in riassunzione sul presupposto che solo l’Ufficio, in quanto parte vittoriosa, avrebbe potuto proporre il ricorso in riassunzione; rileva parte ricorrente come l’Ufficio non abbia, in tesi, interesse a riassumere il giudizio di rinvio, con conseguente inammissibilità della impugnazione proposta dall’amministrazione, in quanto l’eventuale estinzione del processo tributario conseguente alla mancata riassunzione del giudizio comporta la definitività della pretesa tributaria;

con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, e art. 392 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto il giudice del rinvio che fosse stato violato il principio del ne bis in idem;

che i due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati, per quanto debba procedersi alla correzione della motivazione, sul presupposto che è stata rigettata “la richiesta implicita dell’Ufficio sulla rilevanza dell’impugnato avviso di accertamento/rettifica”;

che è, difatti, principio comune quello secondo cui nel giudizio tributario, a norma dell’art. 392 c.p.c., alla riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio può provvedere disgiuntamente ciascuna delle parti, configurandosi essa non come atto di impugnazione, ma come attività di impulso processuale, che coinvolge gli stessi soggetti che sono stati parte nel giudizio di legittimità (Cass., Sez. V, 7 ottobre 2016, n. 20166; Cass., Sez. V, 11 novembre 2015, n. 23049; Cass., Sez. V, 3 luglio 2013, n. 16689); principio, peraltro, proprio del procedimento ordinario a termini dell’art. 392 c.p.c., secondo cui alla riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio può provvedere disgiuntamente ciascuna delle parti, trattandosi di mera attività di impulso e non essendovi alcun carattere impugnatorio (Cass., Sez. II, 27 febbraio 2019, n. 5741; Cass., Sez. Lav., 8 novembre 2001, n. 13839), in forza della correlazione tra giudizio rescissorio e giudizio rescindente, del conseguente litisconsorzio processuale tra tutte le parti (Cass., Sez. Lav., 8 settembre 2014, n. 18853; Cass., Sez. I, 13 dicembre 2007, n. 26177; Cass., Sez. III, 10 giugno 2004, n. 11003; Cass., Sez. III, 19 gennaio 2000, n. 538) e dei limiti oggettivi della controversia, consistente in un giudizio chiuso quanto alle allegazioni, alle conclusioni, all’oggetto del giudizio e agli elementi di prova, salvi quelli resi necessari dalle statuizioni della sentenza di cassazione (Cass., Sez. II, 27 ottobre 2010, n. 21961; Cass., Sez. III, 23 febbraio 2006, n. 4018);

che questo principio della riassunzione disgiunta è ulteriormente confermata per il processo tributario, ove l’estinzione del giudizio – peraltro rilevabile di ufficio del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 45, comma 3, e art. 63, (Cass., Sez. V, 13 dicembre 2018, n. 32276; Cass., Sez. VI, 12 aprile 2017, n. 9521) – comporta il riconoscimento della legittimità della pretesa erariale per intervenuta definitività del diniego (Cass., Sez. VI, 21 febbraio 2019, n. 5223), privando di ammissibilità per difetto d’interesse l’eventuale proposizione del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria vittoriosa (Cass., Sez. VI, 19 ottobre 2015, n. 21143);

che, pertanto, va corretta la motivazione della sentenza del giudice del rinvio nella parte in cui afferma la legittimazione a proporre il giudizio di rinvio in capo alla parte risultata vittoriosa nel giudizio di legittimità;

che, tuttavia, la statuizione del giudice del rinvio non può essere oggetto di cassazione, essendo conforme a diritto in quanto ha definitivamente rigettato la pretesa dell’amministrazione finanziaria, così dando compimento al giudizio rescissorio e, nella sostanza, valorizzando il ricorso in riassunzione di parte contribuente quale atto di impulso finalizzato a decidere la causa nel merito;

che la statuizione è conforme a diritto, perchè la sentenza della Corte di Cassazione ha rigettato in fase rescindente il ricorso di parte contribuente, per cui non vi è alcuna ulteriore statuizione se non quella confermativa dell’avviso di accertamento e rettifica;

che, pertanto, il ricorso non può essere accolto, facendosi uso, per i superiori principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, della correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c.;

che la memoria ex art. 378 c.p.c., depositata dall’Ufficio è inammissibile, non avendo l’Ufficio depositato apposito controricorso, nè essendo equiparabile al controricorso una memoria di costituzione o di resistenza, depositata e non notificata al ricorrente (Cass., Sez. U., 10 aprile 2019, n. 10019), come anche non è qualificabile come controricorso un atto privo dei motivi di diritto, i quali costituiscono requisito essenziale, a pena di inammissibilità, di tale atto ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, richiamato dall’art. 370 c.p.c., comma 2; nei quali casi deve ritenersi precluso, oltre che la produzione di documenti, il deposito di una memoria di resistenza al ricorso, per la prima volta, nei termini di cui all’art. 378 c.p.c., (Cass., Sez. III, 10 aprile 2019, n. 9983; Cass., Sez. III, 18 aprile 2019, n. 10813; Cass., Sez. I, 14 marzo 2017, n. 6563; Cass., Sez. III, 5 dicembre 2014, n. 25735; Cass., Sez. I, 15 novembre 2017, n. 27140; Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 24422);

che il ricorso va, pertanto, rigettato, non essendovi pronuncia in ordine alle spese in assenza di proposizione di controricorso da parte dell’Agenzia intimata, oltre raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.

Così deciso in Roma, nell’adunanza Camerale, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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