Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2143 del 05/02/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 2143 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: GHINOY PAOLA

SENTENZA

sul ricorso 9175-2014 proposto da:
BARTOLI ETTORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
L. SETTEMBRINI 28, presso lo studio dell’avvocato
ULPIANO MORCAVALLO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CRISTINA ROGGIA, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

201.4
4052

contro

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA MAGGIORE DELLA
CARITA’ DI NOVARA C.F 01521330033, in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente

Data pubblicazione: 05/02/2015

domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo
studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta
e difende unitamente agli avvocati VERA ZANETTA,
FRANCO ZANETTA, giusta delega in atti;
– controricorrente –

di TORINO, depositata il 28/01/2014 R.G.N. 93/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/1212014 dal Consigliere Dott. PAOLA
GHINOY;
udito l’Avvocato MORCAVALLO ALESSANDA per delega
MORCAVALLO ULPIANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto.

avverso la sentenza n. 1380/2013 della CORTE D’APPELLO

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Giudice del lavoro di Novara, Ettore Bartoli chiedeva
dichiararsi nei confronti dell’Azienda ospedaliera universitaria “Maggiore della
Carità” il suo diritto ad essere confermato nell’incarico di Direttore del Dipartimento
assistenziale integrato medico dell’Azienda medesima per il periodo dal 12 novembre
2008 al 31 ottobre 2010, data del collocamento a riposo, con la conseguente

della deliberazione n. 331 del 12 novembre 2008 del Direttore generale della predetta
azienda, con cui, allo scadere del triennio di durata dell’incarico assegnato al
ricorrente e della successiva proroga, era stato nominato un altro candidato, Mauro
Campanini; domandava, in via subordinata, la condanna dell’Azienda al risarcimento
dei danni conseguenti all’esclusione dalla riconferma, siccome deliberata in
violazione dei canoni di buona fede oggettiva e di buon andamento della pubblica
amministrazione.
Il Tribunale di Novara rigettava le domande del ricorrente.
L’appello da questi proposto veniva dichiarato inammissibile dalla Corte
d’appello di Torino con la sentenza n. 1380 del 2013, che ravvisava la difformità del
ricorso rispetto ai canoni imposti dall’ art. 434 primo comma c.p.c., nel testo
introdotto dall’art. 54 c. 1 lett. e) bis del D.1. 22 giugno 2012 n. 83, conv. nella L. 7
agosto 2012 n. 134.
La Corte torinese premetteva che l’adempimento della previsione normativa
richiede l’individuazione sufficientemente puntuale delle parti della sentenza di
primo grado oggetto di censura, seguita dalla soluzione alternativa che si intende
proporre con l’impugnazione medesima. Nel caso in esame riteneva tuttavia che tali
prescrizioni non fossero state rispettate, considerato che difettava l’individuazione dei
passaggi della sentenza appellata e delle circostanze da cui sarebbe derivata la
violazione di legge. L’appellante si limitava infatti ad avviso della Corte a riproporre
i motivi posti a fondamento del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, che
erano stati disattesi dall’articolata motivazione della sentenza di primo grado,
riportandone sporadici riferimenti e formulando critiche generiche.
Per la cassazione di tale sentenza Ettore Bartoli ha proposto ricorso, affidato
ad un unico motivo, illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito

Paola Ghinoy,

estensore

3

ricostruzione della carriera ai fini economici e previdenziali, previa disapplicazione

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

con controricorso l’Azienda ospedaliera universitaria “Maggiore della carità” di
Novara.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. A sostegno del ricorso, Ettore Bartoli deduce la nullità della sentenza
impugnata per violazione o comunque erronea applicazione dell’articolo 434 primo
comma c.p.c. novellato, per avere ritenuto che il ricorso violasse le prescrizioni ivi

dell’impugnazione consentissero di percepire con esattezza il contenuto delle censure
e la loro rilevanza, con riferimento alle statuizioni adottate dal giudice di primo
grado.
2. La controricorrente ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del
ricorso ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c., ritenendo che il provvedimento impugnato
abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte
già elaborata anteriormente alla novella che ha inciso sull’articolo 434 c.p.c., ed il
ricorrente non abbia offerto elementi per ritenere che tale orientamento debba essere
mutato.
2.1. L’eccezione preliminare non è fondata.
E’ vero infatti che il ricorrente sollecita una lettura della disposizione
contenuta nel testo novellato dell’articolo 434 c.p.c. che adotti alcuni dei parametri
interpretativi che già erano stati elaborati con riferimento alla vecchia disposizione.
Su tale opzione interpretativa, tuttavia, questa Corte non si è ancora pronunciata.
3. La decisione della causa richiede quindi che siano in primo luogo poste le
premesse logico-giuridiche del ragionamento decisorio, che attengono
all’interpretazione dell’ art. 434 primo comma c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 54
c. 1 lett. c) bis del D.I. 22 giugno 2012 n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012 n. 134 che
per il rito del lavoro, in coerenza con il paradigma generale contestualmente
introdotto nell’art. 342 c.p.c„ specifica i requisiti della motivazione che il ricorso in
appello deve presentare, a pena di inammissibilità del gravame, individuandoli: l)
nell’ “indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle
modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di
primo grado” e , 2) “nell’ indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione
della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”, laddove la

Paola inoy, estensore
4

poste, malgrado l’ esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

precedente formulazione imponeva “l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi
specifici dell’ impugnazione”.
3.1. Con riferimento al previgente testo degli artt. 434 I c. e 342 1 c. c.p.c., sui
requisiti di specificità dei motivi di impugnazione si sono contrapposti due
orientamenti, uno più risalente e meno rigoroso, che considera sufficiente
l’indicazione sommaria degli elementi che consentono di individuare i termini di

sentenza (Cass. n. 11158 del 1995; Cass. n. 8181 del 1993, Cass. n. 16190 del 2004,
Cass. n. 18674 del 2011) , ed un secondo che sostiene invece che, perché sia valido,
l’atto d’ appello non deve soltanto consentire di individuare le statuizioni in concreto
impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è indispensabile anche, pure quando la
pronuncia di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni su cui
si fonda l’impugnazione siano formulate con un sufficiente grado di specificità e
correlate con la motivazione della sentenza impugnata: con l’effetto che, se da un
lato il grado di specificità dei motivi di appello non può essere previsto in via
generale e assoluta, dall’altro lato esso richiede pur sempre che alle argomentazioni
proprie della sentenza impugnata siano contrapposte le censure mosse
dall’appellante, dirette a incrinarne il fondamento logico-giuridico, (v. ex plurimis
Cass. n. 5210 del 2003, Cass. n. 8926 del 2004, Cass. n. 967 del 2004, Cass. n. 11781
del 2005, Cass. n. 12984 del 2006, Cass. n. 9244 del 2007, e già Cass., S.U., n. 9628
del 1993, n. 9244 del 2007, Cass. n. 15166 del 2008, Cass. n. 25588 del 2010, Cass.
S.U. n.23299 del 2011, Cass. n. 1248 del 2013, Cass. n. 6978 del 2013) .
3.2. Esaminando le modifiche introdotte dalla novella, occorre premettere che
la dichiarata finalità ne è stata quella di migliorare, ispirandosi in particolare al
modello tedesco, l’efficienza delle impugnazioni, a fronte della reiterata violazione
dei tempi di ragionevole durata del processo.
3.3. Il primo mezzo mediante il quale tale risultato è stato perseguito è stato
quello di sanzionare espressamente il mancato rispetto degli oneri formali con
pronuncia d’inammissibilità dell’appello, che deve avvenire con sentenza alla
conclusione del processo (e non con ordinanza, come invece nell’ipotesi del cd.
secondo “filtro” in appello, regolato dagli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.); in tal modo,
vengono superate quelle soluzioni interpretative che ponevano il rispetto di detti
oneri come causa di nullità, sanabile con a costituzione dell’appellato (Cass. S.U.
Paola Qinoy, estensore

fatto della controversia e delle ragioni per le quali è richiesta la riforma della

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

n_ 4991 del 1987, ma, conti-a, Cass. S.U. n. 16 del 2000), così confermandosi che essi
hanno natura pubblicistica e sono posti anche in funzione di agevolazione
dell’attività del giudice.
3.4. In merito poi al valore da attribuirsi alla puntualizzazione del requisito
della “specificità” dei motivi, occorre premettere che l’economia dei tempi
processuali perseguita dalla novella può essere ottenuta solo esigendo il rispetto da

del gravame, di precisi oneri formali che impongano e traducano uno sforzo di
razionalizzazione delle ragioni dell’impugnazione.

3.5. Allo scopo di individuarne l’estensione, vi sono due aspetti da valutare: è
vero, da un lato, che il principio della ragionevole durata del processo , elevato a
rango costituzionale a seguito della riformulazione dell’art. 111 Cost. ad opera della
legge costituzionale n.. 2 del 1999, costituisce il parametro per adottare un’
interpretazione delle norme processuali funzionalizzata ad un’accelerazione dei
tempi della decisione, conducendo a privilegiare opzioni contrarie ad ogni inutile
appesantimento del giudizio, in sintonia con l’obiettivo perseguito anche a livello
sovranazionale dall’art. 6 della CEDU di assicurare una decisione di merito in tempi
ragionevoli (così Cass. n. 13825 del 2008, Cass. S.U. n. 5700 del 2014, Cass. S.U. n.
9558 del 2014, Cass. n. 17698 del 2014); inoltre, non è prevista costituzionalmente la
pluralità di gradi di giudizio (fatto salvo il ricorso per cassazione per violazione di
legge contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale), sicché il
legislatore nazionale gode di una certa discrezionalità nel prevedere limiti all’accesso
alle impugnazioni.
3.6. Dall’altro lato, occorre tuttavia rilevare (come evidenziato da Cass. S.U.
n. 5700 del 2014 e Cass. S.U. n. 9558 del 2014), che la Corte di Strasburgo afferma
che le limitazioni all’accesso alla tutela giurisdizionale per motivi formali non
devono pregiudicare l’intima essenza di tale diritto; in particolare tali limitazioni non
sono compatibili con l’art. 6, comma 1 CEDU qualora esse non perseguano uno
scopo legittimo, ovvero qualora non vi sia una ragionevole relazione di
proporzionalità tra il mezzo impiegato e lo scopo perseguito (v. tra le altre Corte
EDU Walchli c. Francia 26 luglio 2007, Faltejsek c. Repubblica Ceca 15 maggio
2008). La stessa Corte EDU ha poi affermato che il vincolo del rispetto del diritto ad
un processo equo imposto dall’ art. 6 comma 1 della CEDU si applica anche ai

sn estensore

Paola Gh” oy,

6

parte dell’appellante, in un’ottica di leale collaborazione ed a pena di inammissibilità

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provvedimenti di autorizzazione all’impugnazione (Corte EDU, Hansen c.
Norvegia, 2 ottobre 2014, Dobrié c. Serbia, 21 luglio 2011,punto 50).
3.7. 11 quadro costituzionale e sovranazionale orienta quindi verso canoni
interpretativi capaci di assicurare il compito correttivo del giudizio d’appello,
finalizzato a garantire la conformità della decisione di primo grado alla legge ed alle
risultanze processuali, ma sanzionando le pratiche che, comportando un abuso del

aggravio del lavoro del giudice.
3.8. Sulla base di tali argomentazioni, occorre concludere che gli oneri che
vengono imposti alla parte devono essere interpretati in coerenza con la funzione
loro ascritta e devono quindi consentire di individuare agevolmente, sotto il profilo
della latitudine devolutiva, il quantum appellatum e di circoscrivere quindi l’ambito
del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza
del Tribunale, ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono; sotto il profilo
qualitativo, le argomentazioni che vengono formulate devono proporre lo sviluppo di
un percorso logico alternativo a quello adottato dal primo Giudice e devono chiarire
in che senso tale sviluppo logico alternativo sia idoneo a determinare le modifiche
della statuizione censurata chieste dalla parte.
In tal modo, la novella ha, sostanzialmente e ragionevolmente, recepito e
formalizzato gli approdi cui era giunta la giurisprudenza più recente, rendendone
certa ed efficace la sanzione processuale.
3_9. Tali essendo i requisiti contenutistici del ricorso, deve ancora precisarsi
che con la reiterata locuzione “indicazione”, il legislatore non ha previsto che le
deduzioni della parte appellante debbano assumere una determinata forma o ricalcare
la decisione appellata con diverso contenuto, né ha adottato una logica di
riproposizione, fuori tempo e fuori luogo, del noto (ed oggi superato) requisito del
“quesito di diritto”: il legislatore ha solo statuito che i contenuti critici proposti
debbano essere articolati in modo chiaro ed esauriente, oltre che pertinente.
3.10. Quanto detto non esclude poi che il ricorso in appello possa riproporre
anche le argomentazioni già svolte in primo grado, purché esse siano comunque
funzionali a supportare le censure proposte nei confronti di specifici passaggi
argomentativi della sentenza appellata.

Paola G oy, estensore

processo, determinino un’ingiustificata dilatazione dei suoi tempi ed un ingiustificato

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

3.11. Deve quindi riassuntivamente concludersi che l’ art. 434 primo comma
c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 54 c. l lett. c) bis del D.1. 22 giugno 2012 n. 83,
conv. nella L. 7 agosto 2012 n. 134, in coerenza con il paradigma generale
contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c. non richiede che le deduzioni della
parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata
con diverso contenuto, ma, in ossequio ad una logica di razionalizzazione delle
chiaro ed esauriente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, il

quantum

appellatum e di circoscrivere l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non
solo agli specifici capi della sentenza del Tribunale, ma anche ai passaggi
argomentativi che li sorreggono; sotto il profilo qualitativo, le argomentazioni che
vengono formulate devono proporre le ragioni di dissenso rispetto al percorso
adottato dal primo Giudice ed esplicitare in che senso tali ragioni siano idonee a
determinare le modifiche della statuizione censurata chieste dalla parte.
4. Occorre a questo punto rilevare che con il motivo di ricorso con il quale si
lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 434 I. c. c.p.c., si denuncia un
vizio che attiene alla corretta applicazione delle norme da cui è disciplinato il
processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito, vizio che è pertanto
ricompreso nella previsione dell’art. 360 comma 1) n. 4 c.p.c. .
Poiché in tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal
modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono
aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale,
in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di
cassazione è anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale (v. Cass. n. 24481
del 2014, Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006; Cass. n. 15859 del 2002;
Cass. n. 6526 del 2002).
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, a composizione di un
contrasto di giurisprudenza, hanno definitivamente chiarito che ove i vizi del
processo si sostanzino nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola
processuale rigorosamente prescritta dal legislatore, così come avviene nel caso che
si tratti di stabilire se sia stato o meno rispettato il modello legale di introduzione del
giudizio, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame
della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato
Paola Ghinoy,

estensore

8

ragioni dell’impugnazione, impone al ricorrente in appello di individuare in modo

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

la questione, ma è investito del potere-dovere di esaminare direttamente gli atti ed i
documenti sui quali il ricorso si fonda. Affinché questa Corte possa riscontrare
mediante l’esame diretto degli atti l’intero fatto processuale, è necessario comunque
che la parte ricorrente indichi gli elementi caratterizzanti il fatto processuale di cui si
chiede il riesame, nel rispetto delle disposizioni contenute negli artt. 366, primo
comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (ex plurimis, Cass. n. 24481

2012, cit.).
4.1. Sotto tale aspetto deve rilevarsi — risultando quindi infondata la seconda
eccezione preliminare proposta dalla controricorrente — che il ricorso rispetta i
richiamati canoni di autosufficienza, considerato che ivi vengono trascritti i passaggi
della sentenza gravata (pgg. 6,7,25), ai quali si attribuisce la violazione processuale
lamentata, che viene puntualmente illustrata con riferimento al contenuto del ricorso
in appello (pg. 14 ss.) ed alla correlata sentenza di primo grado.
Ciò è sufficiente per consentire di comprendere la portata della doglianza ed
accedere all’esame diretto degli atti imposto dalla censura così come formulata.
5. Esaminando la fattispecie alla luce delle esposte premesse, si rileva che,
come riportato anche nella motivazione della Corte d’appello, il Tribunale aveva
respinto il ricorso ritenendo che la deliberazione del Direttore generale n.331/08, che
aveva assegnato al dott. Campanini l’incarico di Direttore del Dipartimento
assistenziale integrato medico dell’Azienda Ospedaliera, fosse immune dalle censure
d’illegittimità dedotte dal ricorrente, perché richiamava tutti i criteri indicati nella
disciplina di riferimento (art.3 della L. n. n. 517/1999 e art. 52 dell’atto aziendale
adottato con la delibera n.203/2008 e integrato dalla delibera 289/2008), ossia la
capacità gestionale ed organizzativa dei candidati, la loro esperienza professionale ed
il curriculum scientifico. Essa poi richiamava anche il curriculum presentato
dall’altro concorrente, poi nominato, dott. Campanini, che conteneva l’indicazione
dei lavori scientifici, della partecipazione a convegni e delle esperienze di docente
del candidato e che, pur essendo solo menzionato nella delibera, era stato certamente
valutato ai fini della scelta. La delibera incentrava poi l’attenzione specialmente sulle
capacità gestionali ed organizzative, ma ciò ad avviso del Tribunale era coerente con
il fatto che a detti requisiti, previsti sul piano valoriale sia dall’articolo 3 comma 5

Paola Ghinoy, estensore
9

del 2014, Cass. n. 8008 del 2014, Cass. n. 896 del 2014, Cass. Sez. Un. n. 8077 del

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

del D.Igs 517199, sia dall’articolo 52 dell’atto aziendale, veniva attribuita maggiore
importanza.
Il primo giudice aveva, infine, respinto la censura riguardante la pretesa
violazione dell’articolo 3 comma 12 del D.Igs. 502/92, per l’asserita mancata
assunzione del parere del Consiglio dei sanitari per l’adozione della delibera,
evidenziando che la materia è stata regolata dal D.Igs 517/99 per il quale il Direttore

dell’università (intesa ravvisabile dalla documentazione prodotta). Aveva anche
ritenuto che non vi fosse alcuna traccia, nella documentazione in atti ed in quanto
allegato, della presenza e/o del condizionamento nell’adozione dell’atto censurato da
parte di forze esterne così come vanamente lamentato dalla difesa attorea.
Concludendo, per il Tribunale, la motivazione dell’atto risultava, sia nella
forma che nella sostanza, pienamente aderente ai principi connaturati alla sua
funzione, e ciò per il fatto che lo stesso ha indicato: le ragioni giuridiche (norme e
principi applicabili al caso di specie), i presupposti in senso stretto del
provvedimento, i dati acquisiti e gli interessi valutati, i motivi del provvedimento,
cioè, in definitiva, le ragioni per le quali era stata praticata la scelta.
5.1. Passando poi ad esaminare il contenuto del ricorso in appello, si rileva che
dopo una premessa in fatto in cui si riassumevano i termini della controversia (pgg.
1-4) e nell’ambito dell’esposizione in diritto, si richiamavano i passaggi
argomentativi della sentenza gravata alle pp. 5 e 6, laddove il giudice di primo grado
aveva ritenuto che il contenuto del curriculum del dott. Campanini fosse stato
valutato, contestando tale affermazione con le argomentazioni svolte sino a p. 8.
A pag. 8 si censurava poi l’affermazione della sentenza gravata nella parte in
cui aveva ritenuto che fosse stato considerato più rilevante il requisito della capacità
gestionale e organizzativa rispetto all’esperienza professionale, esplicitando con le
considerazioni svolte sino a p. 11 in che cosa sarebbe consistito il travisamento in cui
sarebbe incorso il giudice di primo grado, ovvero nel confondere la capacità
gestionale e organizzativa con l’attività formativa in campo gestionale;
successivamente, sino a pag. 20, si indicavano gli elementi di valutazione, giuridici e
fattuali, che non sarebbero stati utilizzati dal Tribunale nella valutazione, indicazione
necessaria per dare conto della rilevanza del travisamento della prima circostanza
nell’ambito del risultato della valutazione complessiva.
PaotaOjiinoy, estensore

lo

del dipartimento è nominato dal Direttore generale d’intesa con il Rettore

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

A pag. 20 si censurava poi l’ affermazione del Tribunale secondo la quale non
sarebbe stato più necessario il parere dei Consiglio dei Sanitari, esplicitando le
ragioni in diritto di tale censura alle pagine successive sino alla 24.
A pag. 25 si sosteneva infine che tutte le esposte considerazioni
determinerebbero l’erroneità della sentenza appellata laddove ha ritenuto la
legittimità della deliberazione numero 331 del 2008 e quindi dell’esclusione del

5.2. Non risulta pertanto coerente con il contenuto del ricorso l’affermazione
della Corte d’appello laddove a pagina 12 ha ritenuto la totale assenza
“dell’individuazione nel ricorso in appello dei passaggi della sentenza che si
intendono appellare e delle circostanze da cui deriverebbe la violazione della legge”.
La decisione, lungi dal coinvolgere una valutazione per la quale le
argomentazioni formulate non sarebbero idonee a vincere l’argomentazione
contenuta nella sentenza del tribunale (statuizione affatto mancante, e pervero
attinente al profilo della fondatezza dei rilievi), si è dichiaratamente attestata sulla
sola constatazione che tali rilievi non vi fossero o non fossero stati adeguatamente
esplicitati, che attiene alla legittimità formale dell’atto quale presupposto per
pervenire all’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 434 primo comma del
codice di procedura civile. Tale constatazione è, ad avviso del Collegio, priva
tuttavia di fondamento, considerato che il ricorso in appello è stato correttamente
strutturato, in relazione a ciascuna delle censure – attinenti la ricostruzione del fatto
e/o la violazione di norme di diritto – sviluppate dall’impugnazione, mediante
l’indicazione testuale riassuntiva del contenuto delle parti della motivazione che si
sono ritenute erronee, cui ha fatto seguito l’indicazione analitica delle ragioni poste a
fondamento delle critiche svolte dall’appellante e della loro rilevanza al fine di
confutare la soluzione censurata.
6. Le esposte considerazioni determinano l’accoglimento del ricorso e la
cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in
diversa composizione, che dovrà fare applicazione dei principi sopra affermati nella
disamina del proposto appello, conclusivamente regolando anche le spese
processuali.
P.Q.M.

Paola

.,,,…

i y, estensore
..)

11

ricorrente dalla conferma nell’incarico.

R. Gen. N. 9175/2014
Udienza 16/12/2014

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvii, anche per le
spese, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16.12.2014

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